Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5741 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12509/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ex lege;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 7485/2021, depositata l’ 11/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto la sua opposizione avverso il decreto sanzionatorio n. 13859/2015 del 24.03.2015 emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’importo di €. 254.005,00 (pari al 5% della violazione, di cui €. 248.026,00 da corrispondersi in solido con Banca dell’Adriatico s.p.a.) in relazione alla violazione di cui all’art. 3, comma 2, della legge n. 197 del 1991 – omessa segnalazione all’Ufficio Italiano Cambi ( UIC) di operazioni sospette nel periodo 08.04.2005/31.12.2007, commessa nella sua qualità di responsabile pro tempore della filale di Fabriano della Intesa San Paolo s.p.a., e dalla Banca dell’Adriatico sede di Pesaro, coobbligata in solido.
Le operazioni sospette – la cui segnalazione era stata omessa erano state effettuate dai correntisti NOME COGNOME nel periodo compreso tra l’11.04.2005 il 31.12.2007 per un totale di €. 1.082.695,91, e NOME COGNOME dall’08.04.2005 al 19.09.2007 per un totale di €. 3.997.421,48. Esse riguardavano numerose movimentazioni di accredito e addebito mediante assegni e danaro contante per un ammontare complessivo di €. 5.080.117,39 (importo della violazione successivamente ridotto per la sola banca a €. 4.960.527,39 per intervenuta prescrizione di operazioni compiute fino al 15.04.2010, atteso che la notifica della contestazione a Banca dell’Adriatico s.p.a. era stata effettuata il 16.04.2010).
Il Nucleo Polizia Tributaria di Ancona -Gruppo Tutela dell’Economia, Sezione Riciclaggio, nel corso di specifiche indagini delegate dall’autorità giudiziaria di Ancona nell’ambito di un procedimento penale, effettuava accertamenti ai sensi della normativa antiriciclaggio nei confronti dei due correntisti, e in data 19.02.2010 l’A.G. inquirente rilasciava apposito nullaosta al predetto NPT di Ancona. Dall’esame della documentazione acquisita, la Guardia di
Finanza riscontrava che diverse operazioni, poste in essere sui conti correnti di COGNOME e della ditta Romeo COGNOME, erano riconducibili a soggetti pluripregiudicati e, tra l’altro, molte risultavano avvenute per mezzo della Banca del Titano, con sede in San Marino.
La Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, annullava il decreto sanzionatorio osservando (per quanto rileva in questa sede) che il Tribunale aveva assegnato un peso decisivo a due elementi della cui per l’operatore bancario era lecito dubitare. Quanto all’emissione di assegni bancari a favore di soggetti pluripregiudicati e a società a loro riconducibili, non era stato verificato se le negative qualità dei beneficiari degli assegni costituissero un fatto notorio o comunque noto all’operatore bancario. Quanto, invece, alla negoziazione dei titoli di credito presso un paese esterno all’unione europea privo di sistema antiriciclaggio equivalente a quello domestico, prima dell’inserimento di San Marino nella black list era in vigore all’epoca dei fatti contestati una Convenzione tra l’Italia il suddetto paese (del 02.05.1991, divenuta inefficace solo a séguito all’entrata in vigore del D.M. 12.08.1998) regolante i rapporti valutari e finanziari in base alla quale il nostro paese riconosceva alle persone fisiche e giuridiche residenti a San Marino la stessa posizione valutaria di quelle residenti in Italia, da ciò conseguendo l’equiparazione a tutti gli effetti delle banche operanti a San Marino a quelle operanti in Italia. Era stata dunque postulata una presunzione di conoscenza della inidoneità del sistema antiriciclaggio della Repubblica di San Marino ancor prima che ciò fosse sancito dall’inserimento nella cd. black list .
Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. La sentenza viene censurata nella parte in cui il giudice di seconde cure evidenzia singoli elementi contestati (precisamente: emissione di assegni bancari a favore di soggetti pluripregiudicati e a società a loro riconducibili; negoziazione dei titoli di credito presso un paese esterno all’Unione Europea privo di sistema antiriciclaggio equivalente a quello domestico, prima dell’inserimento di San Marino nella black list ), senza affrontare la problematica della necessità di rilevare l’oggettiva anomalia delle operazioni considerate nel loro complesso, caratterizzate da molteplicità di trasferimenti spesso contestuali e a cifra tonda, come già messo in evidenza dall’odierno ricorrente nei precedenti atti del giudizio di merito.
Con riguardo ai medesimi profili di cui sopra, con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. , sottolineandosi il mancato esame delle tesi difensive del Ministero.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, della legge n. 197/1991 e delle disposizioni operative del c.d. Decalogo della Banca d’Italia , in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Osserva il ricorrente che l’intento del legislatore -anche alla luce della finalità cautelare e general-preventiva della disciplina – è quello di ancorare l’obbligo di segnalazione ad una valutazione complessiva da parte dell’operatore di tutti gli elementi a sua disposizione, senza imporre all’intermediario l’obbligo di verifica dell’originaria illeceità dei fondi
oggetto dell’operazione, né di una valutazione di liceità sostanziale dell’operazione effettuata: il responsabile della banca deve limitarsi a riscontrare eventuali anomalie atte ad ingenerare il semplice sospetto in ordine alla loro origine e alla loro utilizzazione in funzione di una valutazione complessiva, prescindendo dal fatto che i clienti fossero o meno soggetti indagati, o che perpetrassero reati di riciclaggio o di usura. La segnalazione, dunque, non è di per sé finalizzata a denunciare fatti illeciti, ma è concepita come comunicazione utile ad innescare eventuali ed ulteriori indagini, in un’ottica di gestione del rischio. Essa è il risultato di un processo cognitivo complesso che si basa sulla valutazione congiunta dei connotati oggettivi dell’operazione (caratteristiche, entità, natura), dei profili soggettivi del cliente o delle persone che hanno posto in essere tali operazioni (tipologia di rapporti tra gli stessi, capacità economica ed attività svolta) e di ogni altra circostanza conosciuta dall’intermediario in ragione delle funzioni esercitate, sulla scorta delle indicazioni contenute nel c.d. decalogo della Banca d’Italia. Nel caso di specie – osserva il Ministero – le operazioni effettuate sia dal conto corrente della ditta individuale che da un conto personale non risultano assimilabili alla comune prassi commerciale e al profilo economico-finanziario del cliente (molteplicità di importanti trasferimenti, spesso contestuali, con importi a cifre tonda effettuati con operazioni di versamento di assegni bancari e circolari). Inoltre, dette operazioni sono caratterizzate da evidenti indici di anomalia (in particolare, la circostanza di operare con controparti situate all’estero, ossia con la Banca del Titano in San Marino, paese extra-UE notoriamente a regime antiriciclaggio non equivalente, benché non ancora inserito nella black list ), in ordine ai quali non sono state effettuate adeguate valutazioni. Infine, anche l’eventuale
mancato rilievo di operazioni sospette da parte del sistema informatico COGNOME non costituisce circostanza esimente.
3.1. I motivi sono fondati.
Lo scopo cui tende la normativa in esame è quello di contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante (e dei titoli al portatore) nelle transazioni, prevenendo «l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio»; a tal fine, il legislatore (cfr. D.L. 3 maggio 1991, n. 143, recante provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, conv. con modif. dalla legge 5 luglio 1991, n. 197) intende reprimere alcune condotte di pericolo, fra le quali quelle operazioni che «per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza… induca(no) a ritenere» la possibile provenienza di denaro, beni o utilità, oggetto di dette operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648bis e 648ter cod. pen. (art. 3, comma 1, D.L. n. 143 del 1991 vigente ratione temporis , come modificato dall’art. 1 d.lgs. n. 153 del 1997).
Tenuto a segnalare simili operazioni è «il responsabile della dipendenza», il quale ne riferisce al «titolare dell’attività» (il responsabile legale della banca intermediaria) al quale spetta il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle solo se le ritenga fondate, in base all’insieme degli elementi a disposizione (art. 3 D.L. n. 143 del 1991 cit., comma 2).
3.2. Tanto premesso, come evidenziato dal c.d. Decalogo della Banca d’Italia del gennaio 2001 disponibile nel periodo di tempo in cui il COGNOME era in servizio (documento che pur non allargando né integrando le disposizioni normative, nella parte in cui introduce una casistica esemplificativa di anomalie formali delle operazioni bancarie
prevede l’obbligo dell’intermediario di procedere, in presenza di tali anomalie, ad ulteriori approfondimenti al fine di formulare una valutazione sulla natura delle operazioni in base alle altre informazioni di cui dispone: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8732 del 2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3634 del 2008): «Gli intermediari effettuano l’analisi del grado di anomalia di una operazione con riferimento alle caratteristiche del cliente che la pone in essere. Il dato oggettivo va integrato con le informazioni sul cliente in possesso dell’intermediario, nel valutare la coerenza e la compatibilità dell’operazione con il profilo economicofinanziario che deve essere dichiarato dal cliente medesimo ».
Orbene: è vero -come sottolinea il controricorso -che all’epoca dei fatti contestati non era ancora in vigore il canone dell’adeguata verifica introdotto dal d.lgs. n. 231/2007; ma è anche vero che già il citato Decalogo della Banca d’Italia avvertiva che: «La valutazione delle operazioni è effettuata in base al patrimonio informativo sulle capacità e sulle necessità economiche del cliente in possesso degli intermediari; questi ultimi, pertanto, non devono farsi carico di ulteriori attività di accertamento, di competenza delle Autorità di ciò istituzionalmente incaricate».
Sì che il dubbio espresso dalla Corte d’Appello in merito al fatto che gli assegni bancari a favore di soggetti pluripregiudicati e a società ad essi riconducibili fosse o meno fatto notorio, ovvero noto all’operatore bancario è, in effetti, irrilevante, posto che non spettava al responsabile della filiale effettuare indagini in proposito. Come già sottolineato da questa Corte, in tema di disciplina antiriciclaggio, l’obbligo di segnalazione, a carico del responsabile di dipendenza, ufficio o altro punto operativo, di operazioni che potrebbero provenire da taluno dei reati di ripetutamente cui all’art. 648-bis c.p., stabilito ex art. 3, commi 1 e 2, d.l. n. 143 del 1991, non è subordinato all’evidenziazione dalle
indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione, in base al loro personale convincimento, dell’estraneità delle operazioni ad un’azione delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sull’idoneità di esse ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio. (tra le varie, Sez. 2, Ordinanza n. 11440 del 29/04/2024; cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 2129 del 2024); l’intermediario, insomma, deve controllare che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione intesa nella sua globalità.
Da un altro lato, si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge -caratteristiche, entità, natura o «qualsivoglia altra circostanza» oggettivamente significativa -o ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia nel già citato Decalogo del 2001, alla luce di un’approfondita conoscenza del cliente che costituisce sia un momento fondamentale del percorso logico che porta alla valutazione dell’operazione, ai fini dell’inoltro di una segnalazione di operazione sospetta; sia un requisito essenziale dell’attività di intermediazione, in quanto consente di individuare i profili di rischio e le possibilità di sviluppo della relazione d’affari.
La Corte d’Appello doveva considerare che alla necessità per gli intermediari di assumere ogni opportuna iniziativa per affinare la conoscenza della clientela e cogliere eventuali contraddizioni tra il profilo economico del cliente e le prestazioni da questo richieste, adoperandosi, altresì, per instaurare con la clientela un rapporto di comunicazione in un clima di reciproca fiducia era già dedicato, al tempo dei fatti di cui è causa, l’intero punto 2 del Decalogo del 2001. Insomma, gli indici di anomalia segnalati nel decalogo andavano adeguatamente considerati dal giudice di merito, anche attraverso
adeguate verifiche nel sistema informatico NOME finalizzato proprio al riscontro delle anomalie.
La sentenza impugnata, che non si è attenuta ai citati principi, merita, pertanto, di essere cassata per nuovo esame, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda