Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12951 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12951 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6745/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
Unicredit s.p.a.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 133/2021, depositata il 26 gennaio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
– la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata il 26 gennaio 2021, che, in
Oggetto: contratti bancari
riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del Collegio Arbitrale in ordine alle domande relative a quattro contratti di swap , conclusi sul fondamento del contratto quadro del 13 gennaio 2002, e respinto le domande della predetta società relative ad altri contratti di swap conclusi sul fondamento del contratto normativo del 26 ottobre 2000;
-dall ‘esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto introduttivo del giudizio la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto dichiararsi la nullità degli otto contratti di swap per difetto di forma scritta, per mancata riconoscimento della facoltà di recesso, pur trattandosi di contratti stipulati fuori sede, e per essere stati proposti da funzionari che non ricoprivano il ruolo di promotori finanziari ovvero la nullità dei contratti di rimodulazione per violazione degli artt. 1322 e 1343 cod. civ. e, in alternativa, la condanna della banca per responsabilità precontrattuale, in relazione all’omessa verifica dell’assenza della sua qualità di operatore qualificato e per omessa adeguata informativa ex artt. 28 e 32 Reg. Consob 1° luglio 1998, n. 11522 o risolversi i contratti quadro e i singoli relativi contratti di swap per inadempimento della banca o annullare tali contratti ex artt. 1439 e/o 1431 cod. civ. o ex artt. 1427, 1428, 1429 e 1439 cod. civ. e, in ogni caso, la condanna della Unicredit s.p.a. e di tre suoi dipendenti (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) al risarcimento dei danni;
la Corte territoriale ha riferito che il giudice di prime cure aveva, con sentenza non definitiva, dichiarato la nullità dei contratti e, con successiva sentenza definitiva, aveva condannato la banca alla restituzione della somma di euro 653.584,98, quali importi versati in esecuzione dei contratti di swap, e di euro 79.509,25, quale importo addebitato alla società per effetto dell’antergazione di valuta operato in relazione al contratto di swap denominato «Inflazione swap», oltre interessi, mentre aveva respinto le domande proposte nei confronti dei dipendenti della banca;
ha, quindi, ritenuto che, in ordine al (secondo) contratto normativo del 13 gennaio 2003 e ai quattro contratti di swap conclusi sul fondamento dello stesso, operasse la clausola compromissoria prevista dall’art. 15 del predetto contratto normativo, con conseguente difetto della giurisdizione del giudice ordinario;
quanto al (primo) contratto normativo del 2000 e ai relativi quattro contratti di swap, ha escluso che gli stessi fossero viziati per difetto del requisito formale e ha osservato che la banca non aveva ragione di dubitare della qualità di operatore qualificato dichiarata dalla RAGIONE_SOCIALE per cui non era dovuto l’avviso della facoltà di recesso, non trovando applicazione la disciplina propria delle offerte fuori sede sul punto;
-ha aggiunto che la qualità di operatore qualificato ostava all’applicazione delle invocate disposizioni di cui agli artt. 28 e 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998, invocati dall’attrice, che l’azione di annullamento per vizio del consenso era prescritta e che, quanto al dedotto mancato assolvimento da parte della banca degli obblighi informativi, la RAGIONE_SOCIALE non aveva specificato quale informazione era stata omessa;
infine, ha escluso che i contratti di swap presentassero una causa illecita;
il ricorso è affidato a sette motivi;
resiste con controricorso la Unicredit s.p.a.;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
il primo motivo del ricorso è così intitolato «Quanto al difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla applicazione/validità della clausola compromissoria di cui all’art. 15 del contratto quadro del 13.01.2003»;
con tale censura contesta la decisione resa sul punto dalla Corte territoriale evidenziando che la clausola non era puntualmente
riprodotta nei singoli contratti di swap;
il motivo è inammissibile;
il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (cfr. Cass., Sez. Un., 8 novembre 2021, n. 32415);
il motivo in esame non contiene elementi che consentono di individuare il vizio di cui la sentenza impugnata sarebbe affetta, limitandosi a contestare genericamente l’operatività della clausola compromissoria presente nel contratto normativo ai singoli contratti di swap e, dunque, l’interpretazione dei contratti in esame, accertamento riservato al giudice di merito;
con il secondo motivo la ricorrente denuncia la «violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., quanto alla configurazione dei profili di nullità dei contratti per assenza di forma scritta ovvero per assenza di sottoscrizione da parte della banca»;
lamenta, in proposito, la mancata indicazione da parte della Corte di appello della data a decorrere dalla quale la nullità del contratto per assenza di sottoscrizione della banca deve ritenersi sanata;
il motivo è inammissibile;
in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza
impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere, risultando assente, sia nella rubrica, sia nell’illustrazione delle censure, l’indicazione delle norme di legge asseritamente violate e delle ragioni per cui la sentenza di appello si porrebbe in contrasto con queste;
si osserva, comunque, che la doglianza non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha escluso la sussistenza della dedotta causa di nullità e, a tal fine, non ha fatto ricorso all’istituto della sanatoria della nullità;
con il terzo motivo la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione di norme di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver considerato la soc. RAGIONE_SOCIALE un operatore qualificato in violazione dell’art. 31 Reg. Consob n. 11552 del 1998 e, comunque, per aver omesso e/o effettuato un incompleto esame di un fatto de cisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per non avere considerato/verificato negli elementi addotti dalla ricorrente incompatibili con la dichiarazione di appartenenza alla categoria di operatore qualificato»;
evidenzia, in proposito, che la dichiarazione non era stata resa separatamente dal legale rappresentante della società, ma era stata inserita nelle premesse del contratto unilateralmente predisposto dalla banca e che il giudice di appello aveva omesso di valutare gli elementi allegati -e su cui era stata chiesta prova orale non ammessa dal giudice di appello -da cui emergeva l’assenza di una esperienza nel settore del mercato finanziario tale da poter giustificare il riconoscimento della qualità di operatore qualificato;
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
va premesso che nei contratti di intermediazione finanziaria, la dichiarazione formale di cui all’art. 31, secondo comma, Reg. Consob n. 11522 del 1998 (applicabile ratione temporis ), sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitore l’onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario (cfr. Cass. 4 aprile 2018, n. 8343; Cass. 26 maggio 2009, n. 12138);
ne consegue che in giudizio, sul piano probatorio, l’esistenza dell’autodichiarazione è sufficiente ad integrare una prova presuntiva semplice della qualità di investitore qualificato in capo alla persona giuridica, gravando su quest’ultima l’onere di allegare e provare specifiche circostanze dalle quali emerga che l’intermediario conosceva, o avrebbe dovuto conoscere con l’ordinaria diligenza, l’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse;
-la società ricorrente omette di indicare di aver allegato l’assolvimento di un siffatto onere;
-l’art. 31, secondo comma, Reg. Consob non prevede , poi, particolari modalità e tempistiche nel rispetto delle quali la dichiarazione relativa al possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari debba essere rilasciata, limitandosi a prevedere che debba essere resa per iscritto dal legale rappresentante ed essere espressa, ossia specifica, avuto riguardo alla ratio della relativa previsione di rendere edotto l’intermediario della volontà dell’investitore di rinunciare a una serie di diritti che a questi competono in tema di servizi finanziari (cfr., su tale ultimo aspetto, Cass. 20 marzo 2024, n. 7412);
tale previsione non osta, dunque, come accertato dalla sentenza
impugnata, a che la dichiarazione sia validamente rilasciata anche nell’ambito del contratto quadro, laddove soddisfi tali requisiti;
inammissibile è la censura per vizio motivazionale, atteso che la parte omette di indicare in modo puntuale le circostanze di fatto -da intendersi in senso storico-naturalistico -asseritamente non esaminate e di illustrare le ragioni per cui le stesse sarebbero decisive, ossia tali da imporre, laddove ritenute esistenti, una diversa valutazione in ordine alla conoscenza o conoscibilità da parte dell’intermediario dell’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse in capo alla cliente;
con il quarto motivo la ricorrente critica la sentenza impugnata per « violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., quanto alla valutazione della responsabilità precontrattuale e/o contrattuale della banca per violazione degli obblighi informativi di condotta di cui all’art. 21 t.u. f.»;
-evidenzia, in particolare, l’erroneità della decisione nella parte in cui, da un lato, aveva omesso di considerare che il legislatore pone a carico degli intermediari finanziari l’onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dal l’altro, aveva omesso di rilevare che la banca non aveva assolto a un siffatto onere;
il motivo è inammissibile;
in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal t.u.f., nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di
presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 24 maggio 2019, n. 14335; Cass. 25 aprile 2018, n. 10111; Cass. 19 gennaio 2016, n. 810; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773);
-con particolare riferimento agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario è stato sottolineato che gli stessi sono preordinati al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole (cfr. Cass. 6 dicembre 2022, n. 35789; Cass. 11 novembre 2021, n. 33596; Cass. 27 agosto 2020, n. 17949);
nel caso in esame, la Corte di appello, dopo aver affermato, coerentemente con il riferito principio, che era onere della banca intermediaria di dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi informativi, ha osservato che «a fronte della documentazione contrattuale dimessa, il cliente non ha tempestivamente specificato quale informazione sarebbe mancata, che se fosse stata in suo possesso lo avrebbe orientato diversamente nelle sue scelte di investimento»;
siffatto passaggio argomentativo deve intendersi nel senso che la Corte territoriale ha ritenuto che l’intermediario, attraverso la documentazione prodotta in giudizio, aveva dimostrato di aver assunto tali obblighi e, a sostegno di tale suo accertamento, ha sottolineato che, a seguito di tale produzione documentale, la società attrice non aveva contestato specificamente l’inadeguatezza della prova offerta e, per tale via, l’esistenza di obblighi informativi non assolti;
orbene, la doglianza in esame non si confronta con la ratio della decisione, così interpretata, la quale, lungi dal sollevare l’intermediario dall’onere di aver assolto ali obblighi informativi sullo stesso gravante, ha ritenuto l’avvenuto rispetto degli stessi;
con il quinto motivo la ricorrente lamenta la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., quanto alla valutazione della nullità dei contratti, ai sensi dell’art. 1418 c.c., per assenza dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c. », nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibili, in quanto nuove, le censure relative alla mancata indicazione del mark to market al momento della stipula dei contratti di swap, benché fosse stata prospettata una causa di nullità contrattuale rilevabile d’ufficio ;
il motivo è inammissibile;
la doglianza muove da una inesatta interpretazione della sentenza, in quanto la Corte di appello ha rilevato la tardività della deduzione con riferimento non già alla prospettata questione della nullità dei contratti di swap, bensì con riferimento alle allegazioni poste a sostegno della contestata violazione degli obblighi informativi, evidenziando la intempestiva attività assertiva;
in relazione, invece, alla prospettata nullità contrattuale, la Corte di appello ha evidenziato che «la causa del contratto sussisteva, ed era lecita, mentre il fatto che poi gli investimenti non abbiano sortito gli effetti sperati è connesso alla aleatorietà dello strumento finanziario … »;
la questione controversa è stata, dunque, esaminata dalla Corte territoriale e la doglianza non si confronta con la decisione impugnata; – con il sesto motivo critica la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1343 e 1418 cod. civ., nella parte in cui ha escluso che i contratti dedotti in giudizio fossero affetti da nullità per violazione dell’art. 21 t.u. f. in relazione alla assenza di informazioni chiare e complete sulla natura, finalità, effetti e conseguenze dei contratti e/o ordini e alla contraddittorietà tra le indicazioni riportate nelle premesse del contratto quadro e gli ordini esecutivi dello stesso;
il motivo è inammissibile;
la censura si risolve in una generica contestazione della valutazione
operata sul punto dalla Corte di appello, priva di una specifica indicazione delle informazioni asseritamente assenti, e sollecita, nella sostanza, una rivisitazione degli accertamenti di fatto riservati al giudice di merito, in quanto tali non sindacabili in questa sede per violazione o falsa applicazione della legge;
-con l’ultimo motivo la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., quanto alla valutazione dell’intervenuta prescrizione dell’azione di annullabilità dei contratti per vizi del consenso e, in particolare, del termine di decorso ai sensi dell’art. 1442 c.c. », nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto decorrere il termine prescrizionale dalla data di conclusione dei contratti e non dalla data di scoperta dell’errore, successiva alla valutazione resa da un esperto finanziario incaricato;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha ritenuto che la domanda di annullamento non era fondata sia per decorso del termine quinquennale dalla data di conclusione dei relativi contratti, in quanto momento rilevante in cui le informazioni rilevanti sarebbe stato omesse, sia «perché non sono specificamente dedotte le carenze informative» idonee, secondo la tesi dell’attrice , a generare il prospettato vizio del consenso;
si è, dunque, in presenza di due autonome e distinte rationes decidendi , con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del motivo (cfr. Cass. 14 agosto 2020, n. 17182; Cass. 18 aprile 2019, n. 10815);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere omettendo di aggredire la seconda delle riferite rationes decidendi ;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 10.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 aprile 2025.