Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26046 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26046 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
Oggetto: Distanze
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6677/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2321/2018 del 10/12/2018 della Corte d’Appello dell’Aquila, notificata il 27/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Fatti di causa
Con atto 17/07/2007 NOME COGNOME, premesso che era proprietario di un’abitazione davanti alla quale il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva intrapreso dei lavori consistenti nello
sbancamento di un preesistente terrapieno di sostegno a scarpata, retto da un muro di contenimento di altezza non superiore a mt. 1,80, e nella edificazione ex novo di un parcheggio in elevazione con sottostanti quattro locali ad uso cantinole; che detto manufatto, costituente nuova costruzione, violava le distanze legali in quanto realizzato a distanza di soli mt. 3,00 e non mt. 10,00 dalla sua abitazione, convenne in giudizio il predetto RAGIONE_SOCIALE onde ottenere la sua condanna alla demolizione del manufatto e al pagamento delle spese del giudizio comprensive di danno, anche esistenziale, e consulente, e, in subordine, il risarcimento dei danni subiti quantificati nella misura di € 100.000,00, sia per la riduzione di valore del proprio bene, sia per danni morali e materiali.
Costituitosi in giudizio, il RAGIONE_SOCIALE chiese il rigetto della domanda, sostenendo che l’opera, in quanto sita in centro storico, poteva essere realizzata mantenendo inalterato l’originario tessuto urbano e negando si trattasse di nuova costruzione in quanto consistente nel mero ampliamento di un precedente parcheggio.
Con sentenza n. 483/2013, il Tribunale di Sulmona accolse la domanda e condannò il RAGIONE_SOCIALE alla eliminazione del manufatto adibito a parcheggio e alla ricostruzione, a distanza minima di mt. 4,5 dall’edificio dell’attore, di un muro di contenimento di mt. 1,8 di altezza, con terrapieno di altezza e inclinazione identiche a quelle raffigurate nella rappresentazione fotografica allegata alla c.t.u., nonché al risarcimento dei danni nella misura di €. 7.000,00 .
Il giudizio di gravame, instaurato dal RAGIONE_SOCIALE, si concluse con la sentenza n. 2321/2018, pubblicata il 10 dicembre 2018, con la quale la Corte d’Appello di L’Aquila rigettò l’appello, osservando , per un verso, che l’appellante non ave va riproposto, in sede di precisazione delle conclusioni, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, alla quale aveva dichiarato di
avere rinunciato, e che la costruzione ricadeva in zona priva di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale, e si trovava a distanza inferiore a quella del preesistente terrapieno, e, per altro verso, che l’opera non era pubblica proprio a causa della presenza delle cantinole destinate alla vendita e dell’assenza della dichiarazione di pubblica utilità; rilevò che il RAGIONE_SOCIALE aveva perciò agito iure privatorum e che il danno poteva dirsi sussistente, stante la perdita di valore dell’immobile dell’appellato (per affaccio, esposizione e veduta), e non compensabile con il valore dato dal parcheggio.
Contro la predetta sentenza, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, contrastato dal COGNOME con controricorso.
Motivi della decisione.
Preliminarmente, va dichiarata l’invalidità della procura speciale rilasciata dal ricorrente RAGIONE_SOCIALE di Rivisonoli all’AVV_NOTAIO in quanto autenticata dal difensore e non dal notaio.
Infatti, nel giudizio di cassazione, la procura speciale, data l’elencazione tassativa contenuta nell’art. 83, terzo comma, cod. proc. civ. nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 45 della legge n. 69 del 2009 applicabile ratione temporis non può essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, sicché, se non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal secondo comma del citato articolo e, dunque, con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass., Sez. 2, 16/7/2024, n. 19519; Cass., Sez. 2, 09/08/2018, n. 20692, Rv. 650007-01; Cass., Sez. 3, 6/6/2014, n. 12831; Cass., Sez. 5, 26/3/2010, n. 7241).
La norma inserita nell’art. 83 cod. proc. civ. dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, art. 45, comma 9, lett. (a), che consente il rilascio della procura anche a margine di atti diversi da quelli sopra indicati è applicabile, infatti, soltanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 4 luglio 2009, stante l’espressa previsione di cui all’art. 58, comma 1, della ridetta legge n. 69 del 2009, secondo cui le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore “, sicché non può trovare ingresso nel presente giudizio siccome iniziato in primo grado nel 2007. Tale nullità si ripercuote conseguentemente sulla memoria redatta da un avvocato privo di regolare procura.
Passando all’esame del ricorso, c on l’unico, articolato motivo, si lamenta l’ error in iudicando , in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 legge n. 205 del 2000; dell’art. 7 d.lgs. n. 380 del 2001; dell’art. 22 legge n. 2248 del 1865; dell’art. 44 n. 327 del 2001; dell’art. 47 d.P.R. n. 554 del 1999; dell’art. 19 del Regolamento edilizio del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE; degli artt. 872, 873, 879, 2697, 2712 cod.civ., 112 e 116 cod. proc. civ.; l’errata valutazione delle risultanze processuali, l’omessa, insufficiente ed erronea motivazione circa i motivi posti a sostegno dell’atto di citazione, la violazione dell’art. 111 Cost., la motivazione assente e/o apparente, illogica, la violazione dei principi in tema di convincimento del giudice e l’ error in procedendo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e l’erroneità dei presupposti, il travisamento dei fatti, la contraddittorietà, l’ingiustizia manifesta e la carenza istruttoria, per avere i giudici di merito ritenuto che non
ricorressero ragioni per rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, non essendo stato indicato nell’atto di appello quale fosse il provvedimento che l’appellato avrebbe dovuto impugnare davanti al giudice amministrativo, e per avere disconosciuto la natura pubblica dell’opera eseguita, sostenendo che la costruzione non ricadesse in centro storico o in zona di particolare pregio ambientale, che le opere preesistenti, circondanti il fabbricato, costituissero pertinenze di INDIRIZZO, che fosse stata realizzata un’opera composta da quattro cantine il cui tetto era adibito a parcheggio, distante dalla abitazione dell’appellato mt. 3,70 e mt.4.01, così da costituire nuova costruzione; che la questione afferente all’indennizzo ex art. 44 d.P.R. n. 327 del 2001 fosse nuova perché mai affrontata in primo grado e infondata perché afferente alla materia espropriativa; che l’opera non fosse pubblica in quanto nessuna dichiarazione di pubblica utilità era stata aAVV_NOTAIOata e in quanto le cantine erano destinate alla vendita a privati, con la conseguenza che il parcheggio doveva seguire le sorti dei locali sottostanti avendo il comune agito iure privatorum . Il ricorrente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha, innanzitutto, ribadito l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, evidenziando all’uopo la natura di bene pubblico dell’opera realizzata, siccome rispondente al soddisfacimento di uno standard urbanistico carente nell’area in questione e, dunque, esercizio della potestà pubblicistica della pianificazione del territorio; la mancata edificazione delle cantine e la conoscenza, da parte dell’attore, del progetto, in sé impugnabile, dunque, davanti al T.A.R. entro sessanta giorni dalla richiesta di accesso agli atti; l’applicabilità alla specie dell’art. 879 cod. civ. in tema di opere pubbliche con conseguente non assoggettabilità del manufatto realizzato alle norme sulle distanze, ma al solo indennizzo; l’insussistenza dei presupposti per il pagamento dell’indennizzo, stante la
compensazione del deprezzamento del bene della controparte con la realizzazione del parcheggio pubblico; l’impossibilità per il giudice di pronunciare condanna di risarcimento unitamente a quella di riduzione in pristino, essendo stata la prima domanda proposta in subordine e dovendo comunque essere provata.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Occorre innanzitutto disattendere il rilievo sul difetto di giurisdizione, rispetto al quale va richiamato il principio ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo cui l’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., nella formulazione ratione temporis applicabile, in virtù del quale il difetto di giurisdizione ” è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo “, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, può allora ribadirsi che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il
giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia inAVV_NOTAIOo il giudice a decidere il merito per saltum , non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (vedi Cass., Sez. U, 9/10/2008, n. 24883; anche Cass., Sez. U, 30/10/2008, n. 26019; Cass., Sez. U, 20/11/2008, n. 27531; Cass., Sez. U, 28/1/2011, n. 2067; Cass., Sez. U, 29/11/2017, n. 28503; Cass., Sez. U, 10/12/2020, n. 28179).
Nella specie, i giudici di merito hanno evidenziato che l’appellante non aveva riproposto l’eccezione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in sede di udienza di precisazione delle conclusioni e aveva dichiarato, negli scritti conclusivi, di avervi rinunciato, sicché non può il ricorrente pretendere oggi una pronuncia su siffatta questione sulla quale si è ormai formato il giudicato, senza oltretutto prendere posizione sulle argomentazioni prospettate dai giudici di merito.
Nel resto, il motivo è, come si diceva, fondato.
Dispone l’ art. 44 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che ‘ è dovuta un’indennità al proprietario del fondo che, dall’esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la riAVV_NOTAIOa possibilità di esercizio del diritto di proprietà ‘.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 21/11/2011, n. 24410, hanno ritenuto che detto regime a partire dalla L. n. 2248 del 1865, art. 4, All. E e fino alle recenti disposizioni dell’art. 44 del T.U. sulle espr. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, nonché dell’art. 7 del T.U. sull’edilizia appr. con D.P.R. n. 380 del 2001, è nel senso che la normativa dell’art. 873 cod. civ. e le relative sanzioni restano inapplicabili a fronte di interventi realizzativi di opere pubbliche, quand’anche non preceduti da espropriazione, in presenza delle quali deve cedere anche la posizione di diritto soggettivo del proprietario confinante cui il legislatore ha riservato la sola tutela indennitaria per il pregiudizio sofferto a causa della costruzione a distanza illegale (L. n. 2359 del 1865, art. 46) (in questi termini anche Cass., Sez. 2, 19/5/2021, n. 13626).
Ciò significa che la qualificazione dell’opera come pubblica preclude al giudice la possibilità di disporre, in caso di accoglimento della domanda, la riduzione in pristino, con la conseguenza che la tutela spettante al proprietario che abbia subìto la lesione del proprio diritto resta limitata al riconoscimento dell’indennità già prevista dall’art. 46 della legge n. 2359 del 1865, ed oggi contemplata dall’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2001, limitazione che, come già sostenuto da questa Corte, è stata giustificata con la ritenuta idoneità delle scelte compiute dall’Autorità amministrativa in ordine all’ubicazione dell’opera a comprimere le posizioni soggettive del proprietario confinante e con il divieto d’intervenire sull’atto amministrativo, imposto al Giudice ordinario dall’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, all. E, con l’ulteriore precisazione che ciò non lascia senza protezione l’interesse qualificato del privato alla legittima localizzazione dell’opera, giacché il sistema positivo offre all’uopo rimedi sia amministrativi che di giustizia amministrativa (Cass., Sez. U, 9/4/2024, n. 9448).
E’ stato ancora -e più di recente – affermato, in tema di produzione di energia elettrica, che le opere private realizzate, senza alcuna espropriazione, per la produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili in violazione delle distanze legali non soggiacciono alla disciplina di cui all’art. 873 c.c. e alle relative sanzioni, in virtù dell’espressa loro equiparazione “alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche”, disposta prima dall’art. 1, comma 4, della l. n. 10 del 1991 e successivamente dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, sicchè è possibile ottenere la sola tutela indennitaria per il pregiudizio sofferto, trattandosi di interventi rispetto ai quali deve cedere anche la posizione di diritto soggettivo del proprietario confinante (cfr. Sez. 2 – , Ordinanza n. 13626 del 19/05/2021, i cui principi sono logicamente applicabili anche al caso in esame).
Come già chiarito da questa Corte proprio con quest’ultima pronuncia, infatti, non bisogna confondere la necessità della dichiarazione di p.u. quale presupposto indefettibile di attribuzione del potere della p.a. di procedere alla espropriazione di immobili per la realizzazione di opere pubbliche (L. n. 2359 del 1865, artt. 1 e 13; art. 42 Cost.; art. 1, All. 1 Conv. Edu ), estranea alla fattispecie, con la disciplina riservata dal legislatore alle opere pubbliche nei confronti del regime delle distanze nonché dei diritti dei proprietari confinanti.
Insomma, la normativa dell’art. 873 c.c. e le relative sanzioni restano inapplicabili a fronte di interventi realizzativi di opere pubbliche, in presenza delle quali deve cedere anche la posizione di diritto soggettivo del proprietario confinante cui il legislatore ha riservato la sola tutela indennitaria per il pregiudizio sofferto a causa della costruzione a distanza illegale (v. cass. cit.).
2.4 Alla luce dei suesposti principi, appare allora evidente l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di merito, la quale ha, per un
verso, ritenuto che l’opera non fosse pubblica (sull’erroneo presupposto che nessuna dichiarazione di pubblica utilità era stata aAVV_NOTAIOata e che il parcheggio partecipava della medesima natura delle cantine sottostanti, di cui costituiva copertura, le quali non potevano considerarsi pubbliche perché destinate alla vendita a privati) e, per altro verso, che l’indennità non poteva trovare applicazione alla specie, trattandosi di tematica nuova perché non svolta in primo grado, oltre ad essere prevista in materia di espropriazioni.
Non può dirsi, infatti, che la natura del parcheggio, avente chiaramente e pacificamente finalità di pubblica utilità siccome rispondente agli standard urbanistici e rivolto alla collettività, sia attratta da quella dei sottostanti locali, destinati, viceversa, ad un uso privato, non avendo l’edificazione o meno nel sottostante terrapieno alcuna incidenza sul permanere della funzione pubblica impressa al manufatto soprastante.
Né può dirsi che l’indennità di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 327 del 2011 sia applicabile soltanto in caso di espropriazione, essendo detto istituto finalizzato a tutelare il privato per il pregiudizio sofferto a causa della costruzione a distanza illegale, indipendentemente da una dichiarazione di pubblica utilità, posto che, alla luce dei principi sopra espressi (v. in particolare la citata giurisprudenza in materia di produzione di energia elettrica), la stessa destinazione di un’opera al soddisfacimento di un interesse pubblico, impressa dalla RAGIONE_SOCIALE, costituisce in sé esercizio di potestà pubblica idonea a far insorgere il diritto all’indennizzo in caso di violazione delle norme sulle distanze.
Ciò comporta che la Corte d’Appello non avrebbe potuto ordinare la riduzione in pristino, restando la posizione del privato tutelabile esclusivamente in via indennitaria, ma non certo ripristinatoria.
2 Quanto, infine, alla censura sulla pronuncia sul risarcimento del danno per deprezzamento dell’immobile dell’attore , appare evidente il vizio di extra-petizione e quindi anche sotto tale profilo il motivo è fondato.
Tale tale vizio, come è noto, si profila quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum o causa petendi ), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (per tutte Cass., Sez. 7/5/2019, n. 12014; Cass., Sez. 1, 11/4/2018, n. 9002).
Ebbene, nel caso di specie, come riporta la stessa narrativa della sentenza impugnata (v. pag. 3), la domanda risarcitoria per la riduzione di valore era stata proposta dall’attore soltanto ‘in subordine’, il che logicamente sta a significare soltanto in caso di mancato accoglimento della domanda di riduzione in pristino.
L’errore di diritto è palese e a ben vedere si risolve anche in ingiustificato arricchimento.
Si rende pertanto necessario un nuovo esame da parte del giudice di merito, sulla scorta dei citati principi.
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello dell’Aquila, che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 11/9/2024.
Il Presidente NOME COGNOME