Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20480 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20480 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19053/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MODUGNO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 885/2019 depositata il 11/04/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge
18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’avv. COGNOME per delega, per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattordici motivi, contro la sentenza della Corte d’appello di Bari, con la quale è stato rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso la decisione del Tribunale della stessa città, il quale aveva a sua volta rigettato la domanda intesa a ottenere il pagamento di onorari professionali per l’attività difensiva svolta in favore dell’ente in un giudizio amministrativo.
Il Comune di Modugno ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i primi quattro motivi di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 50-bis e 50-quater c.p.c., e inoltre degli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942 e infine del dell’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011. I motivi nel loro insieme, pongono la questione del rito applicabile nel caso in esame, che avrebbe dovuto essere il rito speciale come disciplinato dalla legge del 1942 e, successivamente, dall’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011. La tesi di fondo che ispira le censure è che il giudizio in materia di onorari professionali di avvocato deve essere svolto sempre con il rito speciale, anche in presenza di contestazioni sull’ an debeatur.
Con il quinto motivo, rubricato ‘Difetto di legittimazione processuale’, il ricorrente censura la decisione nella parte in cui la Corte d’appello ha rigettato l’ «eccezione di difetto di legittimazione processuale per omesso esame delle delibere giuntali in copia conforme e definitivamente esecutive».
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta, ex art 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 c.c., dell’art. 214 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di considerare, sotto il profilo dell’efficacia probatoria, sia il disconoscimento della convenzione del 1996, sia dei documenti che comprovavano i pagamenti eccepiti dall’ente, trattandosi di documenti prodotti dalla difesa avversaria in fotocopia.
Con il settimo motivo si denunzia il mancato rilievo della nullità della convenzione per violazione dell’obbligo di rispetto, anche sotto il profilo dell’art. 7 d. lgs n. 231/2002, dei minimi tariffari inderogabili ex lege.
L’ottavo motivo denunzia la violazione dell’art. 1454 c.c., deducendosi la sopravvenuta inefficacia della convenzione a causa dell’inutile decorso del termine assegnato al Comune con una diffida a adempiere del 17.3.2003.
Il nono motivo denunzia violazione dell’art. 6 del d. lgs, n. 231 del 2002, in quanto non applicato dai giudici di merito in favore del professionista, pur in presenza dei presupposti.
Il decimo motivo censura la decisione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte di merito respinto l’eccezione di nullità e di inefficacia della convenzione professionale del 1996 per difetto di forma scritta.
L’undicesimo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo, consistente nell ”asserita non debenza dei diritti’.
Il dodicesimo motivo denunzia violazione del d. lgs. 231 del 2002.
Il tredicesimo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo, consistente in una intervenuta transazione con il Comune di Modugno.
Il quattordicesimo motivo denunzia violazione dell’art. 1193 c.c. sostenendosi, da parte del ricorrente, che l’eccezione di pagamento, sollevata dal Comune, non rispettava i requisiti previsti dalla norma.
2. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. a) Con i primi quattro motivi di ricorso si insiste nel denunziare l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito nel non disporre mancato mutamento del rito. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Il ricorrente, infatti, nel proporre una tale censura, non si avvede che la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile il relativo motivo d’appello, in assenza di apposita censura su quanto rilevato dal primo giudice in ordine alla non applicabilità del rito speciale agli onorari riferiti ad attività svolta in un giudizio amministrativo. Tale ratio decidendi , idonea a giustificare la decisione, è perfettamente in linea con la giurisprudenza della Suprema corte e tale da far degradare a considerazioni aggiuntive, prive di incidenza sulla decisione, ogni ulteriore considerazione proposta dalla Corte d’appello per giustificare il diniego del richiesto mutamento del rito. Si sa che le affermazioni ad abundantiam , in quanto priva efficacia determinante sulla decisione, sono estranee alla ratio decidendi e non possono condurre, anche se inesatte, all’annullamento della sentenza (Cass. n. 802/1972; n. 804/1972; n. 10420/2005).
È infondato anche il quinto motivo, avendo la decisione impugnata fatto corretta applicazione de principio secondo cui «In tema di legittimazione processuale, ove lo statuto comunale
preveda l’autorizzazione della giunta per l’esperimento di azioni civili da parte del Comune, ente rappresentato dal sindaco, la presenza di tale autorizzazione costituisce condizione di efficacia, e non di validità, della costituzione in giudizio, ne consegue che detto atto può intervenire, ed essere prodotto, anche nel corso del processo, fino a quando la sua mancanza non sia stata oggetto di un accertamento passato in giudicato. (Nella specie, la S.C. ha affermato, in tema di opposizione alla stima in materia di espropriazione, che è tempestiva l’azione proposta dal Sindaco in assenza dell’autorizzazione della giunta municipale prevista dallo statuto, pur se detta autorizzazione intervenga nel corso del giudizio, in ragione dell’effetto di ratifica)» (Cass. n. 24817/2023). c) Il sesto motivo è disallineato rispetto alla ratio decidendi , che si esaurisce nel riconoscimento, da parte della Corte d’appello, della genericità del disconoscimento di conformità operato dal ricorrente. La Corte barese si è rifatta al riguardo principio di giurisprudenza, secondo il quale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., deve avvenire con una dichiarazione chiara ed univoca che identifichi il documento contestato e gli aspetti differenziali rispetto all’originale (Cass. n. 26593/2024). Al cospetto di tale ratio decidendi , in linea di principio coerente con la giurisprudenza della Corte e non efficacemente censurata, si rivelano del tutto sterili i rilievi del ricorrente sul fatto che le circostanze, in ipotesi comprovate dai documenti ‘disconosciuti’, sarebbero rimaste mere enunciazioni. Si tratta infatti di considerazioni che suppongono l’efficacia del disconoscimento, ciò che la Corte di merito ha invece negato. c) È infondata anche la censura di cui al settimo motivo. La
decisione impugnata ha escluso la sussistenza della violazione dei
minimi tariffati, richiamando persino letteralmente il contenuto della convenzione, avuto riguardo soprattutto al fatto che, nella specie, le parti avevano stabilito un compenso forfetario mensile. In riferimento a tale ratio decidendi , la denunzia si atteggia a petizione di principio, in contrasto con la regola secondo cui il vizio di violazione di legge che si deduce con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., consiste nell’affermazione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 24155/2017) se non sotto l’aspetto, per quanto ancora sussistente, del vizio di motivazione (Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 195/2016). Quanto alla denunziata violazione de ll’art. 7 d.lgs. n. 231 del 2002, si trascura che la norma non è applicabile nella specie, in quanto l’art. 11 prevede che « Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002 », essendo la convenzione stata stipulata nel 1996
d) C on l’ottavo motivo, il ricorrente si duole perché i giudici di merito non hanno considerato risolta la convenzione in conseguenza della diffida a adempiere, senza tuttavia confrontarsi con la decisione impugnata, che ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui non è possibile provocare, con lo strumento della diffida a adempiere, la risoluzione di rapporti già cessati.
e) In ordine alle censure di cui al nono motivo la sentenza è in linea con il principio secondo cui le disposizioni del D. Lgs. n. 231/2002
relative agli interessi di mora si applicano solamente ai contratti conclusi successivamente all’8 agosto 2002. Per i contratti stipulati antecedentemente a tale data, anche qualora il pagamento del corrispettivo sia avvenuto dopo l’entrata in vigore del decreto, si applicano le norme del diritto comune (Cass. n. 19211/2924). In rapporto a tale principio, richiamato nella sentenza impugnata, il motivo si esaurisce nell’affermazione che, nella specie, non esisteva contratto anteriore al 2002, con ciò sostenendosi ancora una volta, contro l’accertamento operato dalla decisione, l’ inefficacia della convenzione.
Quanto al decimo motivo, giudici di merito, nel riconoscere integrato il requisito formale richiesto ai fini della validità del contratto fra l’amministrazione e il legale, ha nno fatto applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, secondo cui «in tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., atteso che l’esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l’identificazione del contenuto negoziale e lo svolgimento dei controlli da parte dell’Autorità tutoria» (Cass. n. 11668/2024; n. 21007/2019).
Il dodicesimo motivo pone questioni sovrapponibili a quelle proposte con il settimo motivo e il nono motivo e ne condivide le sorti.
Quanto ai motivi che denunziano omesso esame di fatti decisivi (undicesimo e tredicesimo) le censure sono inammissibili in presenza di doppia conforme. Trattandosi di giudizio d’appello
iniziato con citazione notificata il 16 aprile 2013, il motivo incorre nella preclusione stabilita dall’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c., applicabile, ratione temporis (Cass. n. 11439/2018; n. 26860/20:14). In base a tale norma non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme. L’ipotesi ricorre quando nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (Cass. n. 26744/2016; n. 20994/2019; n. 29322/2019; n. 8320/2022).
i) Il quattordicesimo motivo pone questione che non è menzionata nella sentenza impugnata, senza che il ricorrente abbia avuto cura di precisare se e in che termini essa fu posta al giudice d’appello, il che giustifica di per sé l’inammissibilità del motivo stesso, dovendosi applicare la regola secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass.. n. 18018/2024).
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese. Quanto alla richiesta del controricorrente, di condanna del ricorrente ex art 96, comma terzo, c.p.c., il collegio condivide i rilievi proposti dal Procuratore generale nelle conclusioni scritte, il
quale osserva giustamente che non è ravvisabile nella fattispecie il requisito soggettivo della malafede o colpa grave della parte soccombente. «Agire in giudizio per far valere una pretesa non è, infatti, di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli infondata. Deve, infatti, attribuirsi a tale figura carattere eccezionale e/o residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi dell’art.24 Cost. (Sez. 3 n. 19948 del 2023)».
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda