Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20482 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20482 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21492/2019 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MODUGNO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1422/2019 depositata il 24/06/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’art. 23, comma 8 -bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge
18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Udit o l’avv. COGNOME per delega, per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quindici motivi, contro la sentenza della Corte d’appello di Bari, con la quale è stato rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso la decisione del Tribunale della stessa città, il quale aveva a sua volta rigettato la domanda intesa a ottenere il pagamento di onorari professionali per l’attività difensiva svolta in favore dell’ente in un giudizio amministrativo.
Il Comune di Modugno ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. ─ Con i primi sette motivi di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 50bis e 50quater c.p.c., e inoltre degli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942 e infine del dell’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011. I motivi nel loro insieme, pongono la questione del rito applicabile nel caso in esame, che avrebbe dovuto essere il rito speciale come disciplinato dalla legge del 1942 e, successivamente, dall’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011. La tesi di fondo che ispira le censure è che il procedimento, promosso dall’avvocato per il pagamento degli onorari, deve essere svolto sempre con il rito speciale, anche in presenza di contestazioni sull’ an debeatur.
Con l’ottavo e il quindicesimo motivo il ricorrente lamenta, ex art 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2712 c.c. e dell’art. 214 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di considerare che l’attuale ricorrente aveva disconosciuto sia la convenzione del 1996, sia i documenti che comprovavano i pagamenti eccepiti dall’ente, trattandosi di documenti prodotti dalla difesa avversaria in fotocopia. Con l’ottavo motivo si prospetta inoltre l’operatività nella specie dei parametri fissati dal d.m. n. 55 del 2014, non potendo il giudice utilizzare i criteri stabiliti dal d.m. 140 del 2012.
Con motivi dal nono al dodicesimo motivo il ricorrente, deducendo violazione di legge e omesso esame di un fatto decisivo, censura la decisione per avere la Corte di merito respinto l’eccezione di nullità e di inefficacia della convenzione professionale del 1996 (regolante il regime delle competenze economiche, anche successivamente alla scadenza temporale del contratto, per tutti gli incarichi difensivi nel frattempo ricevuti dal Comune di Modugno). In particolare, sono formulate le seguenti censure: a) violazione dell’obbligo di rispetto, anche sotto il profilo dell’art. 7 d.lgs n. 231/2002, dei minimi tariffari inderogabili ex lege ; b) per sopravvenuta inefficacia della stessa a causa dell’inutile decorso del termine di durata ivi previsto e/o di quello da lui assegnato, ex art. 1454, al Comune con una diffida ad adempiere del 17.3.2003; c) per difetto di forma scritta.
Il tredicesimo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella transazione prodotta in fotocopia, rispetto alla quale i giudici di merito avrebbero dato seguito a un disconoscimento operato tardivamente.
Il quattordicesimo motivo denunzia la violazione dell’art. 2233 c.c. per non avere i giudici di merito dichiarato la nullità del contratto per la mancanza dell’impegno di spesa.
2. ─ a) Con i primi sette motivi di ricorso si insiste nel denunziare l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito nel non disporre il mutamento del rito. Nel proporre tale censura il ricorrente non si avvede che, fra le ragioni del diniego, è indicata la considerazione che il rito speciale riguarda la liquidazione degli onorari maturati nei giudizi civili, mentre, nella specie, la pretesa si riferiva ad attività svolta in un giudizio amministrativo. Tale ratio decidendi , idonea a giustificare la decisione, è perfettamente in linea con la giurisprudenza della Suprema corte e tale da far degradare a considerazioni aggiuntive, prive di incidenza sulla decisione, ogni ulteriore considerazione proposta dalla Corte d’appello per giustificare il diniego del richiesto mutamento. Si sa che le affermazioni ad abundantiam , in quanto priva efficacia determinante sulla decisione, sono estranee alla ratio decidendi e non possono condurre, anche se inesatte, all’annullamento della sentenza (Cass. n. 802/1972; n. 804/1972; n. 10420/2005).
b) I motivi otto e quindici sono a loro volta disallineati rispetto alla ratio decidendi , che si esaurisce nel riconoscimento, da parte della Corte d’appello, della genericità del disconoscimento operato dal ricorrente, che è riferito dai giudici di merito non alla provenienza dei documenti prodotti in fotocopia, ma alla loro conformità dell’originale. In effetti, come rileva la Corte d’appello, «Il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c. deve avvenire con una dichiarazione chiara ed univoca che identifichi il documento
contestato e gli aspetti differenziali rispetto all’originale (Cass. n. 26593/2024)».
Al cospetto di tale ratio decidendi , in linea di principio coerente con la giurisprudenza della Corte e non efficacemente censurata, si rivelano del tutto sterili le considerazioni del ricorrente sul fatto che le circostanze, in ipotesi comprovate dai documenti ‘disconosciuti’ , sarebbero rimaste mere enunciazioni. Si tratta infatti di considerazioni che suppongono l’efficacia del disconoscimento, ciò che la Corte di merito ha invece negato.
c) In quanto a tutti gli altri motivi, la gran parte denunzia di essi denunzia violazione di legge (decimo, undicesimo, dodicesimo, e quattordicesimo), altri (nono e tredicesimo) omesso esame di fatto decisivo. I motivi sono infondati o inammissibili.
Scendendo nel dettaglio dei singoli motivi si osserva che:
-quanto al decimo motivo, la regola richiamata dal ricorrente, secondo cui , nella fattispecie prevista dall’art. 1454 c.c. della diffida ad adempiere, l’effetto risolutorio si verifica di diritto e non in conseguenza del vittorioso esercizio dell’azione di risoluzione giudiziale, non vale comunque ad accreditare l ‘assunto , invece sotteso al motivo in esame, che il decorso del termine di diffida avrebbe imposto ai giudici di merito di considerare ipso facto risolta la convenzione. È stato infatti chiarito che «L’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento» (Cass. 25703/2023; n. 18696/2014). Si deve
aggiungere che i medesimi riferimenti temporali che emergono nella vicenda palesano che la diffida è stata intimata dopo la cessazione della convenzione, quando una risoluzione non era più configurabile, come osserva condivisibilmente il Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte.
-i n ordine alle censure di cui all’undicesimo motivo, la sentenza è in linea con il principio secondo cui le disposizioni del D.Lgs. n. 231/2002 relative agli interessi di mora si applicano solamente ai contratti conclusi successivamente all’8 agosto 2002. Per i contratti stipulati antecedentemente a tale data, anche qualora il pagamento del corrispettivo sia avvenuto dopo l’entrata in vigore del decreto, si applicano le norme del diritto comune (Cass. n. 19211/2924). In rapporto a tale principio, richiamato nella sentenza impugnata, il motivo si esaurisce nell’affermazione che, nella specie, non esisteva contratto anteriore al 2002, con ciò ancora una volta negandosi vanamente l’efficacia della convenzione , invece riconosciuta dai giudici di merito.
-quanto al dodicesimo motivo, i giudici di merito, nel riconoscere l’esistenza del requisito formale richiesto ai fini della validità del contratto fra la pubblica amministrazione e il legale, ha fatto applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, secondo cui« In tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., atteso che l’esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l’identificazione del contenuto negoziale e lo svolgimento dei
contro
lli da parte dell’Autorità tutoria» (Cass. n. 11668/2024; n. 21007/2019).
-quanto alla violazione dei minimi tariffari, la decisione impugnata ha escluso la sussistenza di una siffatta violazione, richiamando letteralmente il contenuto della convenzione. In effetti la censura pone piuttosto una questione diversa, e cioè che l’applicazione dei minimi maggiorati, riconosciuta dalla sentenza, riguardava la sola attività svolta dopo la scadenza della convenzione e non quella precedente. Il che, però, allude a censura che non ha niente a che vedere con la denunziata violazione di legge, ponendo, appunto, una questione di interpretazione della convenzione, che, di per sé, non ha costituito oggetto di censura sotto questo specifico profilo. Si deve ancora aggiungere che la violazione dei minimi è poi affermata in termini apodittici, risultando nella specie che le parti avevano stabilito un compenso forfetario mensile.
-il quattordicesimo motivo pone questione che non è menzionata nella sentenza impugnata, senza che il ricorrente abbia assolto all’onere di precisare se e in che termini essa fu posta al giudice d’appello, il che giustifica di per sé l’inammissibilità del motivo stesso, dovendosi applicare la regola secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di
contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio» (Cass. n. 18018/2024).
Quanto ai motivi che denunziano omesso esame di fatti decisivi le censure sono tutti inammissibili in presenza di doppia conforme. Trattandosi di giudizio d’appello iniziato con citazione notificata il 16 aprile 2013, i motivi incorrono nella preclusione stabilita dall’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c., applicabile, ratione temporis (Cass. n. 11439/2018; n. 26860/2014). In base a tale norma non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme. L’ipotesi ricorre quando nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (Cass. n. 26744/2016; n. 20994/2019; n. 29322/2019; n. 8320/2022).
– In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda