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Oneri riflessi: non dovuti alla PA per avvocati interni

Una società si è opposta a diverse cartelle di pagamento con cui un ente pubblico richiedeva il versamento di costi legali aggiuntivi, definiti “oneri riflessi”, per l’attività dei propri avvocati dipendenti. Il Tribunale di Firenze ha accolto l’opposizione, stabilendo che gli oneri riflessi costituiscono un costo interno per la Pubblica Amministrazione e non possono essere addebitati alla parte soccombente in un giudizio. Di conseguenza, le richieste di pagamento sono state annullate.

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Pubblicato il 8 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Oneri Riflessi: la PA non può chiederli alla parte soccombente

Una recente sentenza del Tribunale di Firenze chiarisce un punto fondamentale in materia di spese legali: la Pubblica Amministrazione non può addebitare alla parte sconfitta in giudizio i cosiddetti oneri riflessi dovuti per i propri avvocati dipendenti. Questa decisione ribadisce che tali costi, legati ai contributi previdenziali, sono a carico dell’ente pubblico in quanto datore di lavoro e non possono trasformarsi in un ulteriore debito per il cittadino o l’impresa che perde una causa. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.

Il caso: cartelle di pagamento per costi non dovuti

La vicenda nasce dall’opposizione di una società contro diverse cartelle di pagamento emesse da un ente pubblico. Quest’ultimo, dopo aver vinto alcune cause contro la società, aveva iscritto a ruolo non solo le spese legali liquidate nelle sentenze, ma anche un importo aggiuntivo a titolo di oneri riflessi.

La società opponente sosteneva di aver già saldato le spese processuali e che nulla fosse più dovuto, in particolare per due ragioni principali:
1. Natura degli oneri: Gli oneri accessori come IVA e CPA sono dovuti solo ai liberi professionisti. Gli avvocati dell’ente, essendo dipendenti pubblici, non ne hanno diritto.
2. Vizi formali: Le cartelle presentavano errori, come l’indicazione di un’autorità giudiziaria sbagliata, e mancavano di una motivazione adeguata.

L’ente pubblico, dal canto suo, difendeva la legittimità della propria pretesa, sostenendo che tali oneri riflessi fossero comunque dovuti.

La questione giuridica degli oneri riflessi per gli avvocati pubblici

Il fulcro della controversia risiede nell’interpretazione della normativa che disciplina i compensi degli avvocati interni delle amministrazioni pubbliche. La domanda centrale è: quando un ente pubblico vince una causa, può chiedere alla parte soccombente il rimborso dei contributi previdenziali che versa per il proprio avvocato-dipendente?

Il Tribunale ha risposto a questa domanda con un netto “no”, basando la sua decisione su un’attenta analisi della legge e della giurisprudenza consolidata.

La normativa di riferimento: la Legge Finanziaria 2006

Il punto di svolta è l’articolo 1, comma 208, della Legge n. 266/2005. Questa norma ha introdotto un principio specifico per gli avvocati pubblici: le somme liquidate in giudizio a titolo di compenso professionale sono da considerarsi “comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro”.

Questo significa che la legge ha operato una “traslazione” di questi costi: non sono più un onere che la PA sostiene e può poi richiedere a terzi, ma diventano una componente interna al rapporto di lavoro tra l’ente e il suo avvocato. In pratica, gravano sul compenso lordo del dipendente, riducendone il netto, ma non possono essere addebitati all’esterno.

Le motivazioni del Tribunale

Il giudice ha accolto pienamente le ragioni della società opponente, illustrando in modo chiaro perché la pretesa dell’ente pubblico fosse infondata. Le motivazioni si basano su due pilastri fondamentali:

1. Natura del rimborso spese: Il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.) mira a ristorare la parte vittoriosa delle spese effettivamente sostenute per difendersi. Poiché, per legge, la Pubblica Amministrazione non sopporta più l’onere dei contributi (traslati sul dipendente), non ha diritto a chiederne il rimborso. Sarebbe un arricchimento ingiustificato, in quanto si farebbe pagare un costo che, di fatto, non ha sostenuto.

2. Rapporto di lavoro interno: Gli oneri riflessi attengono al rapporto retributivo e previdenziale tra l’ente e il suo difensore. Si tratta di una questione interna alla Pubblica Amministrazione, del tutto estranea alla parte soccombente nel giudizio. Come ribadito da numerose sentenze, inclusa una recente della Suprema Corte (n. 4399/2025), la pretesa della PA di ottenere il pagamento di tali oneri dalla controparte è infondata.

Il Tribunale ha inoltre precisato che, sebbene i vizi formali delle cartelle (come l’errata indicazione del giudice) fossero stati sanati dalla capacità dell’opponente di difendersi, la loro presenza ha comunque contribuito alla condanna alle spese dell’ente e dell’agente di riscossione.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto di grande rilevanza pratica: la parte che perde una causa contro una Pubblica Amministrazione difesa da avvocati interni è tenuta a pagare solo le spese legali liquidate dal giudice, senza alcun aggravio per oneri riflessi. Questi ultimi sono e restano un costo interno dell’ente pubblico. Il Tribunale ha quindi dichiarato l’inesistenza del diritto dell’ente a procedere all’esecuzione forzata e ha ordinato l’annullamento delle cartelle di pagamento, condannando l’Amministrazione e l’Agente della Riscossione a rifondere le spese legali alla società vittoriosa.

La Pubblica Amministrazione può chiedere alla parte soccombente il rimborso degli oneri riflessi per i propri avvocati dipendenti?
No. La sentenza stabilisce che gli oneri riflessi sono a carico dell’ente pubblico come datore di lavoro, in quanto la legge (L. 266/2005) prevede che i compensi professionali liquidati siano già comprensivi di tali oneri. Pertanto, la PA non può richiederne il pagamento alla parte soccombente.

Cosa sono gli oneri riflessi nel contesto delle spese legali di un ente pubblico?
Sono i contributi previdenziali e assistenziali che l’ente pubblico, in qualità di datore di lavoro, è tenuto a versare per il proprio avvocato-dipendente in relazione ai compensi professionali maturati in giudizio. La sentenza chiarisce che questi costi non possono essere addebitati a terzi.

Un errore formale nella cartella di pagamento la rende sempre nulla?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, se l’errore (come l’indicazione di un’autorità giudiziaria sbagliata) non impedisce al destinatario di comprendere la pretesa e di difendersi compiutamente, il vizio si considera sanato dal principio di raggiungimento dello scopo. Tuttavia, la presenza di tali vizi può essere valutata ai fini della condanna alle spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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