Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22105 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso N. 13543/2023 R.G. proposto da:
CONDOMINIO COGNOME COGNOME, in persona dell ‘ amministratore pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, quale procuratore speciale di RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
NOME COGNOME
– intimata – avverso la sentenza del Tribunale di Velletri recante il n. 2345/2022 e pubblicata in data 19.12.2022;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del 26 marzo 2025 dal consigliere dr. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l
‘
avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nell ‘ ambito della procedura esecutiva immobiliare in danno di NOME COGNOME pendente dinanzi al Tribunale di Velletri e avviata dal Condominio Belvedere sul Mare – procedura nella quale era intervenuta ex art. 41 TUB la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE -, a seguito della vendita del compendio pignorato (per l ‘importo di € 67.800,00) , il professionista delegato sollecitò i creditori concorrenti al deposito di note di precisazione del credito. Il Condominio procedente prec isò il proprio credito ‘ in regime di prededuzione ex art. 2770 c.c. ‘ in € 13.527,78, di cui € 8.002,33 per oneri condominiali scaduti successivamente all ‘ atto di pignoramento. Predisposta dal professionista delegato la bozza del progetto di distribuzione, il giudice dell’esecuzione la fece propria, riconoscendo al Condominio, al privilegio ex art. 2770 c.c., le sole spese e compensi di procedura, nonché – all ‘ udienza ex art. 596 c.p.c., tenutasi in forma cartolare – l ‘ulteriore somma di € 900,00 per spese straordinarie [così dal verbale d ‘udienza: ‘ le uniche somme per spese
e contro
N. 13543/23 R.G.
condominiali in prededuzione, e quindi prevalenti sul credito ipotecario sono quelle per spese straordinarie (euro 900 del primo d.i.) che vanno detratte dalla assegnazione alla ipotecaria BARCLYAS – conferma per il resto – termine per il merito di eventuale opposizione avanti il G.D. al 30.09.2 0′] . Il Condominio propose quindi opposizione ex artt. 512 e 617 c.p.c., instando per la collocazione in prededuzione dell ‘ intera somma precisata. Negata dal giudice dell’esecuzione la sospensione della distribuzione ed introdotto dall ‘ opponente il giudizio di merito, nella resistenza della creditrice intervenuta e del professionista delegato (pure evocato in giudizio, in proprio), nonché nella contumacia dell ‘ esecutata, il Tribunale di Velletri rigettò l ‘ opposizione con sentenza del 19.12.2022, regolando le spese secondo soccombenza. Osservò il Tribunale – per quanto qui ancora interessa – che la normativa invocata dall ‘ opponente ai fini del riconoscimento della natura prededucibile del proprio credito (art. 30 della legge n. 220/2012) concerne esplicitamente la sola esecuzione concorsuale e non è applicabile all ‘ esecuzione individuale, pena la violazione del principio della par condicio creditorum di cui all ‘ art. 2741 c.c.
Avverso detta sentenza, il Condominio ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, cui resiste con controricorso la Barclays Bank Ireland Public Limited Company, quale procuratore speciale di RAGIONE_SOCIALE Il professionista delegato, avv. NOME COGNOME non è stato evocato in questo giudizio di legittimità, mentre l ‘ esecutata NOME COGNOME è rimasta intimata e non ha svolto difese. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso. Le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si lamenta la violazione dell ‘ art. 30 della legge n. 220/2012 e dell ‘ art. 2770 c.c., nonché dell ‘ art. 30 Cost., con riferimento all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Il Tribunale di Velletri avrebbe errato nel ritenere che i crediti per oneri condominiali maturati in pendenza dell ‘ esecuzione immobiliare individuale non possano essere riconosciuti in prededuzione ex art. 2770 c.c. al Condominio creditore del condomino esecutato. Ciò perché vi sarebbe un sostanziale parallelismo tra creditore procedente nell ‘ esecuzione individuale e il creditore istante nell ‘ esecuzione concorsuale; perché i crediti del condominio sono funzionali alla tutela dell ‘ interesse di tutti i creditori; e perché occorre evitare un ingiustificato arricchimento del creditore procedente, che – a seguire la tesi fatta propria dal Tribunale – si avvantaggerebbe senza ragione dell ‘ attività del condominio. Si censura, poi, la decisione impugnata, per aver fondato il proprio convincimento su un arresto (Cass. n. 12877/2016) espressivo di un principio opposto a quello invece affermato dal Tribunale, essendosi ivi statuito che anche le spese condominiali sono strumentali alla procedura di espropriazione forzata e quindi ‘ atti necessari del processo ‘, suscettibili di rimborso come spese privilegiate ex art. 2770 c.c. in favore del creditore che le abbia anticipate.
1.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell ‘ art. 91 c.p.c. e falsa applicazione dell ‘ art. 92 c.p.c. in relazione all ‘ art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. Il Tribunale di Velletri avrebbe erroneamente condannato il Condominio alle spese di lite, laddove la novità della questione imponeva la loro compensazione ai sensi
N. 13543/23 R.G.
dell ‘ art. 92 c.p.c., applicabile ratione temporis anche per effetto della sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale.
2.1 Preliminarmente, occorre rilevare come il ricorrente non abbia dato prova del perfezionamento della notifica del ricorso nei confronti dell ‘ esecutata NOME COGNOME (non risulta depositata la cartolina postale di ricevimento). Tuttavia, si può comunque soprassedere da ogni ordine di rinnovazione della notifica o di integrazione del contraddittorio, stante l ‘ esito di questo giudizio di legittimità, comunque non favorevole per il Condominio (v. Cass., Sez. Un., n. 6826/2010 e successive conformi), come si dirà subito appresso.
3.1 Ciò posto, il primo motivo – a parte l ‘ incomprensibile riferimento all ‘ art. 30 Cost. (evidentemente, il ricorrente intendeva riferirsi all ‘ art. 3 Cost., come da sintesi del mezzo a p. 3 del ricorso e alle pp. 1 e 10 della memoria, sostanzialmente invocandosi una ingiustificata disparità di trattamento tra procedura esecutiva singolare e concorsuale; in ogni caso, il mezzo non offre sviluppo alcuno sul principio di uguaglianza o di ragionevolezza, quale parametro per l ‘ invocata applicazione analogica, fatto salvo un laconico riferimento ad una anelata ‘interpretazione costituzionalmente orientata’ dell’ art. 30 della legge n. 220/2012) – è infondato.
3.2 L ‘ art. 30 della legge n. 220/2012, in vigore dal 18.6.2013, così recita: ‘ I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell ‘ articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, se divenute esigibili ai sensi dell ‘ articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l ‘ attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, come sostituito dall ‘ articolo 18 della presente legge,
durante le procedure concorsuali ‘ (oggi, per le nuove procedure di regolazione della crisi d ‘ impresa e dell ‘ insolvenza, il riferimento normativo della categoria dei crediti prededucibili deve individuarsi nell ‘ art. 6 del CCII – d.lgs. n. 14/2019 e successive modifiche e integrazioni – entrato in vigore il 15 luglio 2022).
Con riferimento alla procedura fallimentare, peraltro, già in precedenza la giurisprudenza di questa Corte aveva sancito la natura prededucibile del credito per oneri condominiali legittimamente approvati dall ‘ assemblea, trattandosi di spese contratte dal curatore, custode dell ‘ immobile, per l ‘ amministrazione dei beni caduti nel fallimento (v. Cass. n. 7756/1997).
Una simile qualificazione impone di prelevare, dalla massa attiva della procedura fallimentare, quanto necessario per il soddisfacimento di detti crediti, prima di procedere alla effettiva distribuzione in favore dei creditori ammessi allo stato passivo, secondo le regole del concorso, ex artt. 110 ss. l.fall. (oggi, quanto alla liquidazione giudiziale, ex artt. 220 ss. CCII): insomma, si tratta di crediti (detti anche, specularmente, ‘debiti della massa’) che vanno soddisfatti al di fuori del concorso tra i creditori ammessi al passivo e prima del riparto.
Sul piano generale, ancora di recente, il Massimo Consesso di questa Corte ha efficacemente ribadito che ‘ nelle procedure concorsuali, compresa quella di concordato, la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione «ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell ‘ attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente, atteso che, mentre il privilegio, quale eccezione alla ‘ par condicio creditorum ‘ , riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà
con il credito garantito poiché ne suppone l ‘ esistenza e lo segue» (da ultimo Cass. 36755/2021, sulla scia di Cass. s.u. 5685/2015, per la non retroattività della norma istitutiva), la prededuzione semmai può aggiungersi alle cause legittime di prelazione nei rapporti interni alla categoria dei debiti di massa, in caso di insufficienza di attivo e se necessario procedere ad una gradazione pure nella soddisfazione dei creditori prededucibili, in quanto essa «attribuisce una precedenza rispetto a tutti i creditori sull ‘ intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perché nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finché esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione» (Cass. 15724/2019, 3020/2020, 10130/2021) ‘ (così, Cass. , Sez. Un., n. 42093/2021, in motivazione; nello stesso senso, v. anche Cass. n. 15724/2019, nonché Cass. n. 32997/2019).
3.3 Ora, nella prassi dell ‘ esecuzione singolare i concetti di prededuzione e di privilegio (in senso lato) vengono spesso a confondersi, posto che il primo viene anche indifferentemente utilizzato per individuare i crediti ‘ per spese di giustizia fatte … per l ‘espropriazione …. nell’ interesse comune dei creditori ‘ , che hanno appunto privilegio (speciale) sul prezzo dei beni mobili (art. 2755 c.c.) o dei beni immobili soggetti ad espropriazione (art. 2770 c.c.) e che, a norma dell ‘ art. 2777 c.c., sono preferiti ad ogni altro credito anche pignoratizio o ipotecario (comma 1), nonché ai crediti privilegiati che la legislazione speciale dichiara preferiti ad ogni altro credito (comma 3); a ben vedere, proprio la procedura esecutiva per cui è processo costituisce plastica conferma di quanto precede, con riguardo al dato testuale evincibile sia dai provvedimenti del giudice dell’esecuzione , sia dall ‘ istanza del Condominio per il riconoscimento degli oneri maturati in corso di
procedura, nonché dallo stesso ricorso che occupa (pp. 3, 14), dato che in detti atti si transita indistintamente dall ‘ uno all ‘ altro concetto, e viceversa.
Del resto, non mancano simili ambiguità nella stessa giurisprudenza di legittimità, se è vero che, seppur oltre un ventennio fa, si è affermato che ‘ a parte le spese fatte nell ‘ interesse comune dei creditori da soddisfarsi in prededuzione dalla massa attiva in ragione del privilegio che le assiste (artt. 2755, 2770, 2777 cod. civ.), le altre spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti sono collocate nello stesso grado del credito, e possono trovare soddisfazione – al pari del credito per capitale ed interessi- solamente in caso di capienza ‘ (così Cass. n. 8634/2003). Ma anche più di recente, ancora esemplificativamente, si è discusso di una ‘prededucibilità in senso lato’ delle spese di amministrazione e custodia dell ‘ immobile pignorato (così Cass. n. 12877/2016, in motivazione), questione su cui si tornerà infra .
3.4.1 Il tema posto dal mezzo in esame, dunque, impone anzitutto di affrontare la diatriba circa la configurabilità, nell ‘ esecuzione forzata individuale, della prededuzione in senso tecnico.
Tale istituto trova origine storica nell ‘ art. 809 del codice di commercio del 1882, ove si prevedeva che l ‘ attivo realizzato andasse distribuito tra i creditori concorrenti ‘ dedotte le spese di giustizia e di amministrazione ‘. La legge fallimentare del 1942, poi, con l ‘ art. 111 (nella stesura originaria, con riguardo all ‘ ordine di ripartizione dell ‘ attivo), attribuì la preferenza, anche rispetto ai crediti privilegiati, al ‘ pagamento delle spese, comprese le spese anticipate dall ‘ erario, e dei debiti contratti per l ‘ amministrazione del fallimento e per la continuazione dell ‘ esercizio dell ‘ impresa, se questo è stato autorizzato ‘, da
N. 13543/23 R.G.
prelevarsi dalle disponibilità previo decreto del giudice delegato. Solo a seguito della modifica apportata all ‘ art. 111 dal d.lgs. n. 5/2006 (e successivi decreti correttivi), però, ha trovato ingresso ufficiale nella legge fallimentare la categoria dei ‘ crediti prededucibili ‘ , da individuarsi in ‘ quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge ‘, soddisfatti (quali ‘debiti della massa’) con preferenza rispetto ad ogni altro credito.
Per quanto non direttamente riferibile alle vicende dell ‘ esecuzione per cui è processo, dipanatesi prima del 15.7.2022, deve per completezza richiamarsi il disposto del già citato art. 6 CCII, in vigore dalla suddetta data, che individua una articolata tipologia di crediti prededucibili, fermi quelli così espressamente qualificati dalla legge, ed in particolare (per quanto qui interessa) individuandoli, al comma 1, lett. d), nei ‘ crediti legalmente sorti durante la procedura di liquidazione giudiziale o controllata oppure successivamente alla domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell ‘ insolvenza, per la gestione del patrimonio del debitore e la continuazione dell ‘ esercizio dell ‘ impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi o dal debitore per il buon esito dello strumento ‘ (questo il testo vigente, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 136/2024).
3.4.2 Ad onta della sua origine, non mancano però nella legislazione vigente riferimenti più o meno espliciti alla prededuzione anche in altri ambiti.
Così, l ‘ art. 61, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011 (Codice antimafia), prevede che ‘ Sono considerati debiti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione del procedimento
di prevenzione, incluse le somme anticipate dallo Stato ai sensi dell ‘ articolo 42 ‘; l ‘ art. 41, comma 3, d.lgs. n. 385/1993 (TUB), con riferimento all ‘ esecuzione individuale avviata o proseguita dal creditore fondiario, stabilisce che le rendite prodotte dal bene pignorato sono a questi versate una volta ‘ dedotte le spese di amministrazione e i tributi … ‘; l’ art. 552, n. 1, cod. nav., nell ‘ attribuire privilegio sulla nave (tra l ‘ altro) alle ‘ spese di custodia e di conservazione della nave dopo l ‘ entrata nell ‘ ultimo porto ‘, qualifica tali crediti come di fatto prededucibili, o almeno privilegiati al pari delle stesse ‘ spese giudiziali dovute allo Stato o fatte nell ‘ interesse comune dei creditori per atti conservativi sulla nave o per il processo di esecuzione ‘; nel diritto successorio, gli artt. 508, comma 3, e 530, comma 2, c.c., rispettivamente quanto alla liquidazione dei beni lasciati ai creditori nell ‘ eredità beneficiata e al pagamento dei creditori concorrenti, effettuato dal curatore dell ‘ eredità giacente , attribuiscono alle ‘spese della curatela’ una soddisfazione preferenziale rispetti agli altri crediti.
3.4.3 Ebbene, il Libro III del vigente codice di rito, dedicato all ‘ esecuzione forzata, non fa riferimento alcuno alla prededuzione, giacché vige, per il processo esecutivo singolare, il principio dell ‘ anticipazione delle spese occorrenti e necessarie per il suo funzionamento (per l ‘ art. 8 d.P.R. n. 115/2002 – che ha abrogato e sostituito l’art. 90 c.p.c. -si tratta delle spese per gli ‘ atti necessari del processo ‘) , poste provvisoriamente a carico del creditore procedente ed in fin dei conti gravanti sul debitore esecutato ex art. 95 c.p.c.
Dette spese, secondo consolidata interpretazione di questa Corte ( ex plurimis : Cass. n. 3020/2020; Cass. n. 12877/2016, cit.; Cass. n. 8634/2003, cit.; Cass. n. 5310/1977), sono privilegiate ai sensi degli artt. 2755 e 2770 c.c.,
rispettivamente, per l ‘ esecuzione forzata mobiliare e per quella immobiliare, in quanto ‘ spese di giustizia fatte … per l’espropriazione …. nell’ interesse comune dei creditori ‘: poiché esse si rendono indispensabili per lo svolgimento del processo esecutivo, e ne beneficiano dunque non solo il creditore che le ha anticipate, ma anche i creditori concorrenti (ossia, gli eventuali i creditori intervenuti ex art. 499 c.p.c.), le stesse vanno collocate al rango privilegiato e soddisfatte prima di ogni altro credito, quand ‘ anche il creditore procedente – cioè quello che le ha sostenute – vanti un mero credito (principale) chirografario.
In effetti, il meccanismo di soddisfacimento di tali crediti privilegiati appare similare a quello dei crediti prededucibili nelle procedure concorsuali, giacché i primi – come s ‘ è detto – vanno soddisfatti con preferenza rispetto ad ogni altro credito, anche se pignoratizio o ipotecario (così l ‘ art. 2777 c.c.), operando come una sorta di prelievo sul lordo ricavato dalla liquidazione; ciò per ciascuna massa passiva di riferimento (dunque, anche in proporzione, se del caso), qualora occorra procedere alla formazione di più masse: ciò si rende necessario, a tutela della par condicio creditorum ex art. 2741 c.c., nel caso in cui siano stati pignorati più immobili nell ‘ ambito della stessa procedura e i creditori su ciascuna gravanti non siano omogenei, oppure quando la procedura veda assoggettati più debitori e i relativi creditori, del pari, non coincidano anche riguardo al grado (privilegiato o chirografario) da ciascuno vantato.
Del resto, in tale prospettiva, il privilegio in parola viene riconosciuto in relazione a crediti per spese di giustizia che hanno origine nell ‘ ambito della stessa procedura esecutiva cui ineriscono, ma di norma non vi preesistono: si vuole cioè dire che essi scaturiscono da attività compiute per la funzionalità della
N. 13543/23 R.G.
procedura esecutiva ed in seno ad essa, e dunque non partecipano di quella caratteristica, propria dei ‘normali’ crediti privilegiati, per cui ‘ il privilegio … nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poiché ne suppone l ‘ esistenza e lo segue ‘ (così la già citata Cass., Sez. Un., 42093/2021).
3.4.4 Peraltro, la prevalente dottrina sostanzialistica – sul presupposto che la prededuzione operi senz ‘ altro anche con riguardo all ‘ esecuzione forzata singolare – offre una lettura assai restrittiva del privilegio per spese di giustizia fatte per l ‘ espropriazione nell ‘ interesse comune dei creditori: in quest ‘ ottica, poiché le spese della procedura considerata vanno semplicemente dedotte dalla massa attiva da distribuire ex art. 509 c.p.c. (da intendersi, dunque, al netto del loro prelievo), se ne fa discendere che le spese privilegiate in discorso non possono che essere diverse dalle prime, dovendo individuarsi in quelle affrontate per l ‘ avvio e la prosecuzione di procedure esecutive altre (e precedenti) rispetto a quella in cui esse devono trovare soddisfazione, che comunque abbiano ridondato a vantaggio dei creditori concorrenti in quest ‘ ultima.
Da tanto consegue in thesi – che le spese privilegiate per spese di giustizia sostenute per l ‘ espropriazione ex artt. 2755 e 2770 c.c. sono soltanto quelle inerenti ai procedimenti esecutivi iniziati prima della procedura in cui la liquidazione viene concretamente effettuata e le relative somme vengono distribuite, se a quest ‘ultima ‘ riunit o altrimenti abbandonat ‘ (così l’elaborazione dottrinale in esame ) . Infatti, si prosegue, ‘ non si può escludere che i procedimenti iniziati anteriormente a quello nel quale viene fatto valere il
N. 13543/23 R.G.
privilegio possano aver arrecato un vantaggio a tutti i creditori considerato l ‘ effetto paralizzante sui beni del debitore connesso al pignoramento ‘.
Tale approdo ermeneutico, peraltro, muove da una peculiare e restrittiva lettura del già richiamato disposto dell ‘art. 95 c.p.c., a mente del quale ‘ Le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l ‘ esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile ‘. Tale privilegio andrebbe individuato non già in quello disciplinato dagli artt. 2775 e 2770 c.c., bensì in quello di cui all ‘ art. 2749 c.c.: si sostiene, cioè, che la norma intenda solo far salva la possibilità che il creditore che ha sostenuto quelle spese nel corso della procedura possa eventualmente beneficiare della natura privilegiata del proprio credito, da estendere ‘ alle spese ordinarie per l ‘ intervento nel processo di esecuzione ‘.
3.5.1 Ritiene la Corte di non poter condividere una simile impostazione.
In primo luogo, la circostanza per cui, per l ‘ esecuzione singolare, non vi è alcuna previsione normativa di contenuto analogo o similare all ‘ art. 111 l.fall. – oppure (oggi) all ‘ art. 6 CCII – non costituisce affatto argomento secondario: infatti, benché in altri ambiti il legislatore abbia fatto riferimento – esplicitamente o almeno indirettamente – alla prededuzione, la circostanza che tanto non sia avvenuto riguardo all ‘ esecuzione forzata ben può essere letta come una precisa scelta dello stesso legislatore, nel senso che ubi lex voluit, dixit , specie ove si consideri che si discute pur sempre di procedura liquidatoria appartenente alla stessa ‘ famiglia ‘ della corrispondente procedura concorsuale (è noto che la sentenza dichiarativa del fallimento, oggi della liquidazione giudiziale, viene
N. 13543/23 R.G.
definita, in dottrina, come una sorta di ‘pignoramento dei pignoramenti ‘ , dando essa l ‘ avvio alla ‘ esecuzione collettiva ‘ – così, ex multis, Cass. n. 5655/2019).
Del resto, le vicende che hanno accompagnato, nell ‘ ultimo ventennio, quella che a ragione è stata definita, in dottrina, come una vera e propria ‘esplosione’ dei crediti prededucibili sono intuitivamente collegate al settore imprenditoriale e alla sfera della crisi d ‘ impresa e dell ‘ insolvenza, ossia ad un ambito che, nell ‘ esecuzione singolare, assume una valenza di certo non pregnante.
Quanto precede agevola comunque la descrittiva conclusione (ed a cui si riferisce, in sostanza, pure il Procuratore Generale ), secondo cui ‘ nell ‘ esecuzione forzata individuale la prededuzione non esiste ‘. Ma sul punto si tornerà infra .
3.5.2 In secondo luogo, la lettura restrittiva degli artt. 2755 e 2770 c.c. non convince affatto.
A parte la considerazione per cui essa si pone in frontale contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul punto (v. par. 3.4.3), occorre anche rilevare che l ‘ ambito operativo che una simile impostazione attribuisce alle citate disposizioni è talmente limitato da rasentare la sua irrilevanza pratica, se non anche da determinare la stessa inutilità delle suddette disposizioni, almeno quanto alle spese dell ‘ esecuzione. Ciò ad onta del grande rilievo sistematico loro riconosciuto dal codice civile, che le colloca (insieme alle spese per atti conservativi) tra i crediti che devono essere soddisfatti, addirittura, prima di ogni altro credito.
Senonché, occorre al riguardo considerare che, se la funzione che vuole attribuirsi alle ‘spese per l’espropriazione’ fosse davvero solo quella stricto sensu conservativa, le spese sostenute per procedimenti non andati a buon fine (seppur con un effetto utile per la massa dei creditori) ben potrebbero rientrare
N. 13543/23 R.G.
nell ‘ altra categoria di spese contemplate dagli artt. 2755 e 2770 c.c., cioè, appunto, quelle per atti conservativi; in tal caso la distinzione tra atti conservativi e atti per l ‘ espropriazione costituirebbe una mera e inutile enfasi.
Ma soprattutto, quegli esempi apportati dalla citata dottrina, quali effettive spese di giustizia, dunque in tal guisa privilegiate, non reggono ad una reale disamina, che tenga conto del tecnicismo intrinseco dell ‘ esecuzione forzata.
Quanto alle procedure riunite, la tesi non considera che, se la procedura più risalente è stata riunita a quella più recente, le spese sostenute per la prima sono – di norma, e almeno fino al momento della riunione – le uniche da prendere in considerazione ai fini degli artt. 95 c.p.c. e 2770 (o 2755) c.c., proprio perché sostenute nell ‘ interesse di tutti i creditori successivi (che infatti ne beneficiano) ed in tal guisa da soddisfare; ma, correlativamente, non possono proprio esserlo quelle della procedura successiva coincidenti con quelle della precedente, perché a tal punto non necessarie (si pensi, ad esempio, ad un pignoramento successivo che abbia ad oggetto anche uno o più beni già pignorati nella prima procedura). In buona sostanza, la riunione delle procedure (sull ‘ applicabilità analogica dell ‘ art. 273 c.p.c. al processo esecutivo, v. Cass. n. 28461/2013) – che, com ‘ è noto, non determina l ‘ unificazione delle procedure stesse, che non perdono la loro identità e permangono identificate col rispettivo numero di ruolo, benché gestite unitariamente, di regola, sotto il numero di ruolo della procedura più risalente – non comporta automaticamente l ‘ identificazione del creditore anticipatario, ex artt. 95 c.p.c. e 8 TUSG, nel creditore pignorante della procedura più recente, occorrendo pur sempre tener conto della posizione dei singoli creditori, onde individuare coloro che sono tenuti all ‘ anticipazione delle
N. 13543/23 R.G.
spese (Cass. n. 6113/2022) e così, eventualmente, loro riconoscere la relativa collocazione privilegiata nella distribuzione.
La prima ipotesi prospettata, dunque, è di per sé irrealistica.
Ma ancor più lo è la seconda. Se le procedure cui le spese in discorso si riferiscono sono state ‘ altrimenti abbandonate ‘ (così la dottrina prima richiamata, che chiaramente allude all ‘ ipotesi dell ‘ estinzione), per esse non può che valere la regola dettata dal combinato disposto degli artt. 632, u.c., e 310, u.c., c.p.c.: le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate. Né può certo ‘riesumarsi’ , per dette spese, l ‘ opposta regola dettata dall ‘ art. 95 c.p.c., che vuole invece che le spese del processo esecutivo restino a carico del debitore esecutato, se l ‘ esecuzione si sia rivelata fruttuosa (v. Cass. n. 18638/2014; Cass. n. 24571/2018; Cass. n. 12977/2022, cit.): una procedura abbandonata è, evidentemente, per ciò solo infruttuosa.
Ad opinare in senso contrario, la forzatura che ne discende, però, risulterebbe evidente, ove solo si consideri che, con riguardo alle spese del processo esecutivo, se esso sia giunto al suo naturale compimento, vige la regola della c.d. tara del ricavato, cioè della loro irripetibilità al di fuori del processo cui ineriscono: dette spese, se non soddisfatte in quel dato processo, non possono più essere soddisfatte in un altro processo esecutivo (v. Cass. n. 24571/2018, cit.). Si tratta di regola non soggetta ad eccezioni di sorta. E se ciò vale nell ‘ ipotesi fisiologica, cioè quando l ‘ esecuzione è giunta alla distribuzione, tanto non può non valere nell ‘ ipotesi patologica, ossia quando la procedura non abbia raggiunto – per qualunque ragione – il suo esito naturale, arrestandosi prima.
3.5.3 Sotto altro profilo, occorre anche osservare che la prospettiva dottrinale criticata – che muove dalla supposta necessità che le spese di giustizia in parola nascano ‘fuori e prima del processo esecutivo’ – è poi costretta a contraddirsi con riguardo a talune tipologie di spese, quali quelle degli incidenti di cognizione dell ‘ esecuzione, che pure si ritiene possano collocarsi in via privilegiata ex artt. 2755 e 2770 c.c. se il creditore dovesse uscirne vincitore, trattandosi in tal caso di spese sostenute nell ‘ interesse comune dei creditori: si fa riferimento alle opposizioni all ‘ esecuzione di natura reale (con cui, cioè, il debitore contesta la pignorabilità dei beni, ex art. 615, comma 2, c.p.c., oppure un terzo contesta la titolarità del diritto in capo al debitore esecutato ex art. 619 c.p.c., per esserne egli stesso titolare), alle opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. aventi ad oggetto, ad es., vizi potenzialmente esiziali, ecc.; tra gli incidenti di cognizione, peraltro, fanno storia a sé le spese della divisione endoesecutiva, non potendo, di norma, configurarsi per essa la soccombenza, stante l ‘ intrinseca comunanza di interessi tra condividenti.
Ora, a parte il fatto che detti crediti sono comunemente riconosciuti come privilegiati ex artt. 2755 e 2770 c.c. dalla giurisprudenza, anche di legittimità (sulla fase sommaria dell ‘ opposizione all ‘ esecuzione, v. Cass. n. 12977/2022, cit.; sulla divisione endoesecutiva, v. Cass. n. 24550/2024), da tale condivisa natura non può che discendere che la regola che vuole che il privilegio inerisca necessariamente a crediti che nascono ‘fuori e prima del processo esecutivo’ non è sempre operativa, giacché le disposizioni di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c. implicano naturaliter una deroga alla regola generale dettata dall ‘ art. 2916 n. 3 c.c., secondo cui ‘ Nella distribuzione della somma ricavata dall ‘ esecuzione non
N. 13543/23 R.G.
si tiene conto: … 3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento ‘ : e qui i crediti in parola, almeno nella loro prima consistenza, nascono con il pignoramento, per quanto vadano poi finalmente e complessivamente accertati e liquidati in sede distributiva (v. Cass. n. 5310/1977, cit.).
D ‘ altra parte, se così non fosse, i crediti in discorso (che, per definizione, nascono a margine di un processo esecutivo che è destinato al suo esito naturale, ossia la distribuzione del ricavato – della liquidazione del diritto staggito – in favore dei creditori concorrenti) giammai potrebbero godere di alcun privilegio, se non altrimenti privilegiate: sia con riguardo all ‘ esecuzione forzata mobiliare, che a quella immobiliare, il privilegio disciplinato dagli artt. 2755 e 2770 c.c. ha infatti carattere speciale, ossia inerisce specificamente al bene (o ai beni) pignorato(i). Giocoforza, se il credito relativo non può essere soddisfatto sul ricavato della vendita di quel bene (o di quei beni), esso non potrà mai più esserlo in via privilegiata, ma dovrà essere eventualmente soddisfatto in diversa procedura esecutiva, col rango chirografario, posto che il bene su cui gravava la garanzia più non esiste nel patrimonio del debitore: ciò benché del relativo esborso abbiano goduto (in ipotesi) tutti i creditori concorrenti della procedura cui le spese ineriscono.
Tanto dimostra, dunque, l ‘ insostenibilità e la contraddittorietà intrinseca della criticata impostazione dottrinale, perché i crediti per le spese degli incidenti di cognizione (se effettuate nell ‘ interesse comune dei creditori) possono prevalere sui ‘normali’ crediti privilegiati solo in forza del disposto dell’ art. 2777 c.c., cioè in quanto spese di giustizia ex artt. 2755 e 2770 c.c.
N. 13543/23 R.G.
3.5.4 Né, ancora, v ‘ è ragione per individuare il privilegio del codice civile, richiamato dall ‘ art. 95 c.p.c., in quello di cui all ‘ art. 2749 c.c., come sostenuto dalla citata dottrina, anziché in quello di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c.
A parte il fatto che una tale restrittiva impostazione costringe a non prendere in considerazione la posizione del creditore ipotecario – ossia del creditore lato sensu privilegiato statisticamente e ‘normalmente’ presente in buona parte delle procedure esecutive individuali – che sul punto è disciplinata (ove egli si limiti al mero intervento nell ‘ esecuzione) dal disposto dell ‘ art. 2855, comma 1, c.c., il vero è che la funzione dell ‘ art. 2749 c.c. è analoga a quest ‘ ultima norma: con dette disposizioni, si vuole cioè evitare che il credito privilegiato ( lato sensu inteso) per capitale ed interessi subisca una decurtazione per effetto delle spese occorrenti per l ‘ attività necessaria per soddisfarlo, se di natura personale o egoistica (quali appunto, di regola, sono quelle per l ‘ intervento), così assicurando al creditore un trattamento omologo al credito principale anche per tale credito accessorio, seppur con limitazioni all ‘ estensione degli interessi (per l ‘ ipoteca, quelli del c.d. triennio; per il privilegio, quelli del c.d. biennio).
Pertanto, nulla c ‘ entrano tali disposizioni col tema delle anticipazioni, cui si riferisce chiaramente l ‘ art. 95 c.p.c.: il richiamo al privilegio codicistico operato da quest ‘ ultima disposizione, dunque, non può che individuarsi in quello dettato dagli artt. 2755 (per l ‘ esecuzione mobiliare) e 2770 c.c. (per l ‘ esecuzione immobiliare), senza difficoltà interpretative di sorta.
3.5.5 Infine, va anche dato conto di un ‘ importante considerazione sistematica, che da ultimo ha (opportunamente) trovato la giusta attenzione del legislatore.
N. 13543/23 R.G.
L ‘ art. 6 CCII, dopo aver dettato i criteri di individuazione dei crediti prededucibili, prevedeva infatti, al comma 2, nella stesura originaria, che ‘ La prededucibilità permane anche nell ‘ ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali ‘. Da tanto, una parte della dottrina – nell ‘ ottica della collocazione sistematica della prededuzione al di fuori del suo ‘nativo’ ambito processuale, per ascriverla alla natura di vero e proprio ‘superprivilegio’ di natura sostanziale – ha tratto lo spunto anche per confermare la piana configurabilità della prededuzione pure con riguardo all ‘ esecuzione singolare, vuoi a conferma di un principio immanente, vuoi con carattere di innovatività. Si è infatti sostenuto che se, nell ‘ ambito di una procedura di regolazione della crisi, un determinato credito ha acquisito natura prededucibile, ed in seguito detta procedura non abbia seguito il suo corso, né il debitore sia stato assoggettato a liquidazione giudiziale, il creditore che ne sia titolare può far valere la stessa natura prededucibile anche in una eventuale successiva procedura esecutiva individuale che sia stata avviata contro il medesimo debitore in bonis , proprio in forza della citata disposizione. L ‘ argomento, indubbiamente suggestivo, si fonda però su una disposizione che è stata di recente modificata dal legislatore e che più non esiste. Verosimilmente a causa della possibile incostituzionalità della norma per eccesso di delega (e comunque, lo si ribadisce, assai opportunamente), il d.lgs. n. 136/2024, ennesimo correttivo al CCII, ha infatti così modificato il citato comma 2: ‘ La prededuzione opera in caso di apertura del concorso e permane anche quando si susseguono più procedure ‘.
In tal guisa, con l ‘ eliminazione del riferimento testuale alle procedure esecutive individuali, ritiene la Corte che il legislatore abbia voluto ricondurre la
N. 13543/23 R.G.
permanenza del riconoscimento della natura prededucibile del credito al ‘tradizionale’ tema della consecuzione tra procedure, ossia ad un ambito ben noto al dibattito concorsualistico, che esula dal tema che qui interessa.
3.6 Per concludere sul punto, ritiene dunque la Corte che il Libro III del codice di rito, quanto al soddisfacimento delle spese necessarie per l ‘ avvio e l ‘ utile prosecuzione del processo esecutivo, sia frutto di una scelta positiva ben definita e tale da congegnare un sistema ‘chiuso’, che non necessita di far ricorso a categorie concettuali (e ai relativi schemi procedurali), quale la prededuzione, proprie di altri procedimenti, benché anch ‘ essi con finalità liquidatoria.
Le spese dell ‘ esecuzione forzata sostenute dal creditore pignorante e/o procedente, anche per i compensi del proprio legale, vanno dunque senz ‘ altro collocate nel progetto di distribuzione col privilegio ex artt. 2755 e 2770 c.c., quali ‘ spese di giustizia fatte … per l’espropriazione …. nell’ interesse comune dei creditori ‘; pertanto, i relativi crediti restano senz ‘ altro soggetti al procedimento per l ‘ approvazione e la declaratoria di esecutività del progetto, ex art. 596 ss. c.p.c., non essendovi spazio, né ragione, per il riconoscimento della prededuzione tecnicamente intesa nell ‘ esecuzione forzata individuale. Tanto comporta, peraltro, che dette spese devono essere tendenzialmente anticipate dal creditore pignorante e/o procedente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 8 d.P.R. n. 115/2002 e 95 c.p.c., e concorrono – in pari grado, se del caso proporzionalmente nell ‘ ipotesi di parziale incapienza, ex art. 2782 c.c. – con quelle sostenute dai creditori per il compimento di atti conservativi (ad es. per il conseguimento di un sequestro conservativo, o per esperire utilmente l ‘ azione surrogatoria). Tale ultima considerazione, a ben vedere, costituisce l ‘ effettivo
N. 13543/23 R.G.
corollario della ritenuta inconfigurabilità della prededuzione nell ‘ esecuzione forzata singolare, giacché sia le spese per atti conservativi, sia quelle per espropriazione, trovano la giustificazione della propria natura privilegiata nell ‘ essere oggettivamente caratterizzate da comunanza d ‘ interessi con l ‘ intero ceto creditorio (sia pure, nella specie, limitatamente a quelli, tra i creditori, che concretamente partecipano al processo): da qui, dunque, la loro collocazione paritaria, nell ‘ ambito della unitar ia categoria delle ‘spese di giustizia’ .
3.7.1 L ‘ analisi che si sta conducendo non potrebbe però concludersi, ai fini della corretta soluzione della questione oggetto del mezzo in esame, senza infine indagare una particolare tipologia di spese dell ‘ esecuzione forzata: quelle concernenti il custode giudiziario (dunque, sia quelle occorrenti per i suoi compensi, che per l ‘ espletamento della sua funzione), riguardo alle quali gli argomenti e le conclusioni di cui appresso possono essere estesi, mutatis mutandis , a quelle degli altri ausiliari del giudice dell’esecuzion e (tra cui il perito stimatore, ausiliario necessario al pari del custode, nonché il professionista delegato alle operazioni di vendita, la cui nomina è divenuta normale, benché non indefettibile).
Premesso, infatti, che le spese del custode, quale ausiliario del giudice dell ‘ esecuzione, sono da considerare senz ‘ altro spese di giustizia (v. le risalenti Cass. n. 604/1958; Cass. n. 2875/1976), esse vanno ascritte all ‘ ambito propriamente espropriativo, perché nascono nel (ed ineriscono al) processo esecutivo: non si tratta, cioè, di spese per atti conservativi, che riguardano invece quelle sostenute per la conservazione della garanzia patrimoniale gravante sul debitore (come, ad esempio, quelle affrontate in un giudizio avente
ad oggetto l ‘ azione surrogatoria, o la concessione di un sequestro conservativo): insomma, gli atti conservativi presi in considerazione dagli artt. 2755 e 2770 c.c. sono quelli destinati alla conservazione giuridica, non quella materiale, per la quale invece provvede, di regola, il custode giudiziario, in forza della previsione generale dell ‘ art. 65 c.p.c., che gli attribuisce il potere di conservazione e di amministrazione del bene pignorato; tali funzioni sono poi specificate dal vigente art. 560, comma 5, c.p.c., dettato per l ‘ esecuzione immobiliare, che dispone che il custode ‘ provvede altresì, previa autorizzazione del giudice dell ‘ esecuzione, alla amministrazione e alla gestione dell ‘ immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità ‘ (tale disposizione venne sostanzialmente introdotta, nell ‘ ambito della stagione delle riforme dell ‘ esecuzione forzata del 2005-2006, dal c.d. Decreto competitività d.l. n. 35/2005, conv. in legge n. 80/2005; la stesura e la collocazione attuale della specifica disposizione citata, tenuto conto della ‘tormentata storia’ che ha investito l ‘ art. 560 c.p.c. nel corso successivo, si devono al d.lgs. n. 149/2022; sulla effettiva portata della disposizione citata, si tornerà nel par. 3.9.6).
3.7.2 Il tema delle spese di custodia, in rapporto all ‘ onere di anticipazione a carico del creditore procedente, nonché a quello della loro collocazione nel progetto di distribuzione, è stato affrontato da questa Corte, quasi un decennio fa, con la nota sentenza n. 12877 del 22.6.2016 (già citata), su cui si basa, non casualmente, la stessa sentenza qui impugnata.
Risolvendo affermativamente la questione al suo esame circa la ‘ sussistenza o meno a carico del creditore procedente dell ‘ onere di anticipazione delle spese di conservazione dell ‘ immobile staggito e, precisamente, di spese ritenute
necessarie all ‘ immediata conservazione e a evitare pericoli strutturali del cespite ‘ , e prendendo le distanze, in parte qua , dall ‘ unico isolato e specifico precedente (Cass. n. 2875/1976), con detto arresto questa Corte ha stabilito che: a) il g iudice dell’esecuzione , in assenza di fondi e/o rendite della procedura e nell ‘ inerzia/disinteresse del debitore esecutato, ben può porre tali spese in via di anticipazione a carico del creditore procedente, ai sensi dell ‘ art. 8 d.P.R. n. 115/2002; b) il ‘ridisegnato’ ruolo attribuito al custode giudiziario dalle riforme del 2005-2006, se esclude alcun onere di anticipazione delle spese a suo carico, stante il munus publicum da lui rivestito, non giustifica però un indiscriminato onere di anticipazione delle relative spese a carico del procedente, sì da comprendervi (oltre a quelle necessarie) anche le spese soltanto ‘ utili ‘ per la procedura, perché dette riforme, pur avendo segnato l ‘ abbandono della custodia meramente ‘conservativa’, non cont engono peculiari novità, avendo solo ‘ normativizzato ‘ talune prassi ‘ virtuose ‘, seguite in alcuni uffici di merito: infatti, alla valorizzazione della funzione del custode circa la proficua gestione del bene, non è seguita alcuna disciplina circa l ‘ onere della relativa provvista; c) l ‘ onere di anticipazione di dette spese, in quanto ‘necessarie’, è riferibile sia alle spese giudiziarie che a quelle propriamente materiali necessarie per l ‘ esecuzione; d) il carattere necessitato o meno degli atti e delle relative spese da anticipare può agevolmente risolversi ponendo mente al risultato ‘fisiologico’ perseguito dalla procedura esecutiva, ossia quello della liquidazione del cespite staggito, al fine di soddisfare i creditori; e) un utile parametro normativo – per quanto non direttamente applicabile in quel caso, ratione temporis – può scorgersi nell ‘ art. 164, disp. att. c.p.c., ove si prevede una generalizzata
N. 13543/23 R.G.
fattispecie di chiusura anticipata dell ‘ esecuzione per infruttuosità, sicché le spese necessarie, ut supra , ben possono individuarsi anche in quelle finalizzate ad assicurare l ‘ economicità della procedura (quindi, quelle materiali finalizzate ad impedire il perimento del bene pignorato); f) ‘ tali spese, se onorate dal custode con i fondi della procedura, risulteranno in senso lato ‘ prededucibili ‘ , nel senso che l ‘ importo relativo non entrerà a far parte dell ‘ attivo; mentre dovranno essere rimborsate, come spese privilegiate ex art. 2770 cod. civ., al creditore che le abbia corrisposte, ottemperando al provvedimento del giudice dell ‘ esecuzione che ne abbia posto l ‘ onere di anticipazione a suo carico ‘; g) restano invece escluse dalle spese ‘necessarie’, soggette ad anticipazione, ‘ quelle spese che non abbiano un ‘ immediata funzione conservativa della stessa integrità del bene pignorato e, quindi, le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria dell ‘ immobile, così come gli oneri di gestione condominiale, non essendo neppure postulabile l ‘ applicazione dell ‘ art. 30 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, dettato espressamente solo per il fallimento ‘.
3.7.3 Ora, nonostante la comprensibile cautela che traspare dal citato arresto, ritiene la Corte come l ‘ inquadramento generale del ruolo del custode giudiziario ‘terzo’ – cioè quello professionale, di regola nominato fin dai primi passi della procedura (contestualmente alla nomina dell ‘ esperto stimatore) in sostituzione del debitore esecutato, che diviene custode ex lege per effetto del pignoramento (v. art. 559, commi 1 e 2, c.p.c.) – specie in forza delle più volte citate riforme del 2005-2006, meriti di essere più opportunamente riconsiderato, dopo ormai un ventennio di ‘prova sul campo’ del nuovo statuto del custode stesso, quale
N. 13543/23 R.G.
effettivo ‘ ausiliario per la liquidazione del compendio pignorato che ha stravolto completamente la nozione stessa di custodia giudiziaria ‘ (così in dottrina).
Infatti, è ben vero che dette riforme hanno ‘normativizzato’ alcune prassi virtuose, seguite ‘a macchia di leopardo’ in numerosi uffici di merito in tutta la Penisola ; ma ciò è avvenuto non già ‘fotografando’ una figura astratta e meramente statica di custode, cioè in chiave solo conservativa (come pare doversi evincere dalla motivazione di Cass. n. 12877/2016), bensì dinamica, tanto che, tra gli interpreti (e anche da parte di questa Corte di legittimità: v. Cass. n. 924/2013) si discute di ‘gestione attiva’ dell ‘ immobile pignorato, quale principale compito del custode, proprio in forza del potere di ‘ amministrare ‘ e ‘ gestire ‘ quel compendio, ma nell ‘ innovativa ottica liquidatoria (allo scopo, cioè, di assicurare la conservazione economica del bene e la sua migliore collocazione sul mercato immobiliare, nell ‘ interesse dei creditori e dello stesso debitore esecutato). Di tale ulteriore connessa funzione, peraltro, costituisce chiara espressione il disposto del vigente art. 560, comma 6, c.p.c. (sostanzialmente riproduttivo, peraltro, di una cruciale disposizione introdotta fin dalle riforme del 2005-2006) , a mente del quale ‘ Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l ‘ immobile sia visitato da potenziali acquirenti, secondo le modalità stabilite con ordinanza del giudice dell ‘ esecuzione ‘ .
In altre parole, le prassi virtuose – poi recepite dal diritto positivo – hanno costruito la figura del custode giudiziario come una sorta di curator minor , attribuendogli funzioni e compiti materiali ben eccedenti quelli meramente conservativi (valga, per tutti, il compito di curare la pubblicazione degli avvisi ex art. 490 c.p.c., o, appunto, di organizzare le visite degli immobili per gli
N. 13543/23 R.G.
interessati all ‘ acquisto); ciò perché ci si rese conto che, a differenza che per le vendite fallimentari, ove la presenza del curatore costituiva la normale ‘ interfaccia ‘ tra l ‘ ufficio giudiziario e il pubblico, tanto non poteva accadere per le vendite forzate dell ‘ esecuzione individuale, in assenza di una figura professionale ad hoc : e fu proprio l ‘ esame statistico delle significative differenze percentuali nel numero di immobili venduti e nel conseguente realizzo finanziario, nell ‘ ambito del medesimo ufficio giudiziario e coeteris paribus , tra vendite ‘gestit e ‘ dal curatore fallimentare da una parte, e vendite ‘gestite’ dalla cancelleria del giudice dell ‘ esecuzione dall ‘ altra (basti rammentare gli inutili e formalistici avvisi legali affissi nell ‘ albo del tribunale, definiti, in gergo, ‘il rende noto’) , ad imprimere quella svolta culturale, in taluni uffici di merito, che portò (anche) alla valorizzazione della figura del custode giudiziario ed al suo utile ed attivo impiego ‘gestionale’ e ‘liquidatorio’ , aspetti poi recepiti, appunto, prima dalla prassi e poi dalle cennate riforme.
D ‘ altra parte, che il custode giudiziario non svolga, nell ‘ interesse della massa dei creditori, una mera funzione ‘conservativa’ , lo si evince agevolmente dal vigente tessuto normativo: lo stesso art. 560 c.p.c., a mero titolo esemplificativo, prevede che , previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, il custode può concedere in locazione il bene pignorato (comma 2), nonché esercitare le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità (comma 5). Il che, fra l ‘ altro, si pone del tutto in linea con la considerazione, ormai ampiamente recepita anche nella giurisprudenza di questa Corte, per cui il pignoramento – in forza del disposto dell ‘ art. 2912 c.c. – assoggetta all ‘ azione
N. 13543/23 R.G.
esecutiva non solo il valore di scambio del bene, ma anche il suo valore d ‘ uso (v. per tutte Cass. n. 8998/2023; ma così già Cass. n. 12556/1999).
E allora, se principale compito del custode, in chiave conservativa, è quello di mantenere l ‘ integrità materiale del bene ed (almeno) evitare il decremento del suo valore di scambio, altrettanto deve predicarsi anche con riguardo al suo valore d ‘ uso. Ma il discorso va necessariamente ampliato, perché è intuitivo che la ‘gestione attiva’ del compendio pignorato comporta un più ampio novero di compiti e attribuzioni del custode giudiziario, cui non possono non corrispondere i relativi oneri finanziari.
3.7.4 Pertanto, si pone in tutta la sua centralità il tema della individuazione del soggetto chiamato, in prima battuta, ad anticipare (almeno provvisoriamente) l ‘ esborso delle spese di custodia, posto che – pur con la naturale elasticità delle funzioni custodiali (da rapportare, con evidenza, alle specifiche peculiarità del bene pignorato e da calibrare, con valutazione evidentemente rimessa al giudice dell’esecuzione , alle effettive esigenze emergenti di volta in volta) – la più ampia connotazione delle funzioni stesse, come coniata del legislatore, non può che presupporre la sua riconducibilità allo scopo ultimo della procedura esecutiva, ossia la liquidazione del bene pignorato onde soddisfare i creditori concorrenti. Insomma, non si può certo sostenere che la spesa esulante dalla funzione strettamente conservativa della custodia possa per ciò solo essere ‘ non necessaria’, a fini di anticipazione.
Sotto connesso versante, è anche discusso se il custode giudiziario possa nell ‘ esercizio delle proprie funzioni e benché autorizzato dal giudice
dell’esecuzione -contrarre obbligazioni che impegnino, direttamente o indirettamente, il creditore procedente.
Per farsi carico del carattere apparentemente paradossale di una simile conclusione, si è in dottrina affermato -invocando un orientamento giurisprudenziale di questa Corte formatosi con riguardo al sequestro giudiziario (v., tra le altre, Cass. n. 10252/2002 e, più di recente, Cass. n. 16057/2019) che, in realtà, il custode giudiziario di un immobile pignorato opera nella veste di rappresentante d ‘ ufficio di un patrimonio separato (appunto, l ‘ immobile affidato alla sua custodia), che costituisce centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi. In tal guisa, delle obbligazioni dallo stesso contratte non sono chiamati a rispondere né il creditore procedente, né il debitore, né lo stesso custode, bensì il patrimonio stesso: i relativi crediti, in tale prospettiva, devono quindi essere prelevati in prededuzione. Il che consentirebbe, in thesi , di prescindere dalla necessaria copertura finanziaria ad opera del ceto creditorio, perché di dette obbligazioni risponde senz ‘ altro il patrimonio separato.
3.7.5 Per quanto la tesi del patrimonio separato sia stata recentemente richiamata da questa stessa Sezione e proprio con riguardo alla custodia giudiziaria di beni pignorati (v. Cass. n. 25584/2024, che, dopo compiuti riferimenti, parla di ‘ centro di imputazione di rapporti patrimoniali distinto dal titolare dei beni affidati al custode ‘ ), ritiene il Collegio che tale ultima prospettiva non possa dirsi convincente o che, in ultima analisi, neppure sia strettamente necessaria ai fini della compiuta ricostruzione dell’istituto .
Al di là dello specifico ambito in cui la descritta tesi ha avuto origine (quello del sequestro giudiziario), s ‘ è già visto che la prededuzione in senso tecnico non ha
N. 13543/23 R.G.
modo di operare nell ‘ esecuzione forzata individuale, le cui spese sono regolate dal principio di anticipazione, nell ‘ambito di un sistema ‘chiuso’ e non bisognevole del ricorso a figure appartenenti ad altri ambiti. D ‘ altra parte, le spese di custodia dell ‘ immobile, come pure s ‘ è precisato, sono senz ‘altro ‘spese di giustizia’, in quanto indotte dal processo e funzionali al suo miglior risultato: dunque, godono del privilegio ex art. 2770 c.c. ed è in questo sistema che devono necessariamente collocarsi, tanto più che dette spese vanno autorizzate dal giudice dell’esecuzione .
3.7.6 Il vero tema, in realtà, consiste nella corretta definizione del concetto di necessarietà delle spese ex art. 8 TUSG, che il procedente ha l ‘ onere di anticipare, anche nell ‘ ottica del la ‘gestione attiva’ del compendio pignorato e del connesso profilo, che qui non può essere approfondito, della legittimazione processuale attiva e passiva del custode.
In quest ‘ ottica, richiamando l ‘ approdo della citata Cass. n. 12877/2016, ben può mantenersi la distinzione tra spese ‘necessarie’, soggette all’ onere di anticipazione a carico del procedente, e spese solo ‘utili’, se non proprio ‘meramente opportune’ o perfino ‘voluttuarie’, che invece ne esulano.
Ma le prime, proprio al lume della nuova veste assunta dalla custodia per precisa scelta del legislatore, si arricchiscono giocoforza di quelle che, nella prospettiva dell ‘ ufficio e all ‘ esito di prudente valutazione, appaiono indispensabili per giungere al naturale risultato dell ‘ esecuzione forzata, ossia – per usare le stesse parole di Cass. n. 12877/2016 quello ‘ ‘ fisiologico ‘ … della liquidazione di un cespite del patrimonio del debitore … al fine del soddisfacimento dell’ interesse
del soggetto che l ‘ ordinamento abilita a conseguire, per equivalente, il soddisfacimento del proprio diritto ‘.
In questa rinnovata ottica, dunque, se il termine di paragone dell ‘ antieconomicità dell ‘ esecuzione, ex art. 164 disp. att. c.p.c., individuato dal ripetuto arresto, ben può mantenersi (nel senso, cioè, che il procedente è tenuto ad anticipare le spese occorrenti a garantire la stessa esistenza fisica ed economica del bene, in caso contrario destinato al perimento), ciò può valere quale ‘limite basso’ della scala valoriale in esame; non può però escludersi che, secondo la prudente valutazione del giudice del l’esecuzione , ai sensi dell ‘ art. 560 c.p.c., il compimento di una determinata attività possa rendersi indispensabile per la realizzazione dello scopo del processo, sicché la relativa spesa non può non considerarsi necessaria ex artt. 8 TUSG e 95 c.p.c., dunque soggetta all ‘ onere di anticipazione del procedente. A titolo meramente esemplificativo, non possono non ritenersi in linea di massima ‘necessarie’ , se debitamente autorizzate, le spese per la registrazione del contratto di locazione, quelle per l ‘ avvio di un ‘ azione giudiziaria, o anche quelle finalizzate alla percezione dei frutti (civili o naturali che siano), in mancanza delle quali verrebbe meno (in parte) lo stesso oggetto del pignoramento, ex art. 2912 c.c., oppure quelle di regolarizzazione catastale, o ancora quelle per l ‘ installazione di un sistema di allarme in caso di opportunità. Ma anche in tale prospettiva, occorre pur sempre che il giudice dell’esecuzione valuti con la dovuta attenzione l ‘ opportunità di autorizzare simili spese, attraverso una adeguata ‘ analisi costi-benefici ‘ .
Ciò fermo restando che lo stesso creditore procedente, in forza della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., ha diritto di soddisfarsi sui beni
N. 13543/23 R.G.
appartenenti al debitore anche nelle condizioni in cui essi si trovano (ed accettando la prospettiva di un ricavo minore rispetto a quello conseguibile ove il bene si trovasse in migliori condizioni), non potendo certo onerarsi il creditore stesso (fatto salvo quanto strettamente necessario per il raggiungimento dello scopo del processo esecutivo) di anticipare spese anche consistenti, in ragione della mera utilità delle stesse in ottica funzionale, di cui potrebbe però risultare dubbia la stessa possibilità di rientro (si pensi, ad es., alle spese necessarie per una sanatoria dell ‘ immobile abusivo, o alla sua ristrutturazione, anche parziale). In quest ‘ ottica, compete dunque al giudice dell’esecuzione – vero dominus della procedura esecutiva, ex art. 484 c.p.c., seppur con l ‘ ausilio dei suoi organi ed ausiliari necessari, custode giudiziario in primis – selezionare con prudenza le attività che si rendono indispensabili, anche riguardo alla custodia, per il proficuo raggiungimento dello scopo del processo, rispetto a quelle che non lo sono (quand ‘ anche fossero meramente utili), limitando rigorosamente alle prime l ‘ onere di anticipazione del creditore procedente (sostanzialmente in termini, si veda la risalente Cass. n. 3194/1959, citata dal Procuratore Generale).
3.7.7 Quanto poi alle concrete modalità di soddisfazione delle spese di custodia, a parte la possibilità di utilizzo diretto del fondo spese normalmente assegnato al custode a carico del procedente, cui attingere per le spese correnti, può qui senz ‘ altro condividersi quel passaggio della motivazione di Cass. n. 12877/2016 , ove si evidenzia che le prime ben possano essere onorate dal custode – anziché previo versamento del procedente – anche mediante prelievo dai fondi della procedura, se esistenti (con un meccanismo che il ripetuto arresto ha ascritto alla ‘prededuzione in senso lato’ ),
N. 13543/23 R.G.
ma con una chiara avvertenza: detto prelievo – proprio perché riferibile a spese di giustizia – attiene pur sempre a credito privilegiato da collocarsi nel riparto ai sensi dell ‘ art. 2770 c.c., giacché le spese di custodia non rappresentano un ‘superprivilegio’ , né potendo per esse operare la prededuzione.
Da ciò deriva, quindi, che: a) le somme così prelevate devono necessariamente essere liquidate dal giudice dell’esecuzione in favore dell’ausiliario con decreto ex art. 168 TUSG e devono essere formalmente poste a carico del creditore procedente; b) esse, poi, vanno normalmente imputate alla massa passiva di riferimento, non potendo avallarsi un indiscriminato prelievo di somme dai fondi disponibili (si pensi, ad es., al ricavo della già eseguita vendita di un bene, ove le spese di cui si discute siano invece riferibili esclusivamente ad un bene diverso: i creditori concorrenti sulla specifica relativa prima massa, in tal caso, sarebbero danneggiati da una impropria decurtazione della somma da distribuire ex art. 509 c.p.c.); ma, soprattutto c) in caso di incapienza, esse concorrono pur sempre con quelle altrimenti sostenute dal procedente e privilegiate ex art. 2770 c.c. (v. par. 3.6) e vanno eventualmente soddisfatte in proporzione ex art. 2782 c.c. in favore del creditore procedente (quale formale anticipatario): anche per tale ragione, la loro erogazione e, prim ‘ ancora, la loro autorizzazione, devono essere necessariamente improntate a prudenza, ove vi sia il rischio che la liquidazione non assicuri un adeguato ricavo.
Non bisogna, infine, dimenticare che l ‘ intero operato del custode è compendiato nel rendiconto che egli è tenuto a redigere ex artt. 560, comma 1, e 593 c.p.c., e che è evidentemente soggetto – anche con riguardo alle spese sostenute – ad approvazione da parte del giudice dell’esecuzione , chiamato anche a risolvere le
relative contestazioni. Ed è proprio in quest ‘ ambito che quelle spese ‘minute’ affrontate dal custode per la ‘piccola manutenzione’, o per le spese operative (ad es., pagamento di un fabbro), di regola prelevate dal fondo spese concessogli dal giudice dell’esecuzione a carico del procedente (per le conseguenze della mancata ottemperanza a tale ordine si vedano, in particolare, Cass. n. 21549/2021, nonché Cass. n. 8113/2022), trovano il loro momento di sintesi e controllo: con l ‘ approvazione del rendiconto (o con la risoluzione delle questioni sollevate dalle parti), infatti, le suddette spese vengono definitivamente avallate dal giudice dell’esecuzione , sicché esse potranno collocarsi nell ‘ ambito delle spese di giustizia privilegiate sostenute dal procedente, semmai iniziando a ricondurle proprio al fondo spese erogato dallo stesso procedente, di norma sufficiente a farvi fronte.
Non occorre, insomma, ricorrere a tesi alternative (quale quella del patrimonio separato – v. parr. 3.7.4 ss.) al principio di anticipazione che è immanente al processo esecutivo per la spiegazione del fenomeno.
3.8 Può finalmente affrontarsi il tema centrale posto dal motivo in esame, ossia l ‘ invocata applicazione analogica dell ‘ art. 30 della legge n. 220/2012 all ‘ ambito dell ‘ esecuzione forzata individuale, con riguardo agli oneri condominiali ex art. 63 disp. att. c.c., maturati dopo il pignoramento. Esula, invece, dalla presente controversia la questione degli oneri maturati al momento del pignoramento, sicché deve prescindersi dal rilievo dell’estensibilità a questi ultimi di almeno alcuni degli argomenti – di portata generale – e delle conclusioni che seguono. In proposito, si sono fatte strada tre possibili opzioni ermeneutiche:
N. 13543/23 R.G.
( i ) secondo la prima, la norma è insuscettibile di applicazione analogica, in quanto specificamente dettata per l ‘ ambito fallimentare (oggi, concorsuale tout court ); ciò perché, ove così si procedesse, si darebbe spazio ad un ‘ privilegio di fatto ‘ in favore del condominio, in assenza di specifica previsione normativa, e per di più in deroga alla regola generale che vuole che, per soddisfarsi nel processo esecutivo, occorre che il creditore vi spieghi intervento ex artt. 499 ss. c.p.c.; questa tesi è stata integralmente recepita dalla sentenza qui impugnata; ( ii ) per la seconda, la norma sarebbe invece espressione di un principio generale, valevole per tutte le procedure liquidatorie e, dunque, anche per l ‘ esecuzione forzata individuale; in tal guisa, il custode è tenuto a versare all ‘ amministratore del condominio gli oneri maturati dopo il pignoramento e fino alla vendita, prelevando l ‘ occorrente dalle somme disponibili o, in alternativa, chiedendo al giudice dell’esecuzione di disporne l ‘ anticipazione a carico del creditore procedente; questa è la tesi sostenuta dal Condominio odierno ricorrente;
( iii ) per la terza opzione, di natura intermedia, occorre invece distinguere a seconda che il debitore esecutato sia stato o meno sostituito nella custodia ex lege (ex art. 559, comma 1, c.p.c.) da un custode professionale: nel primo caso, poiché gli oneri condominiali sono collegati al possesso del bene, ormai in capo al custode terzo, essi non possono che costituire spese di procedura, da soddisfarsi, appunto, in prededuzione; nel secondo caso, invece, gli oneri condominiali non possono definirsi come funzionali alla procedura, in quanto il godimento del bene resta in capo al debitore stesso, sicché per essi valgono le regole ordinarie e vanno soddisfatti, previo intervento, al chirografo: pur
N. 13543/23 R.G.
potendo costituire spese per la manutenzione dell ‘ immobile, esse non possono però godere del privilegio ex art. 2756 c.c., concernente i soli beni mobili.
3.9.1 Ritiene la Corte di dover ribadire la preferenza per la prima opzione ermeneutica, già affermata – sia pure con un obiter dictum – dalla più volte citata Cass. n. 12877/2016.
Molteplici sono le ragioni che militano a favore di tale soluzione, efficacemente richiamate dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta.
3.9.2 Anzitutto, occorre qui riaffermare che la prededuzione tecnicamente intesa -di questo, nella specie, si tratta -non può trovare ingresso nell ‘ esecuzione forzata individuale. Nemmeno, a ben vedere, nella residuale ipotesi pure tratteggiata dal Procuratore Generale, ossia quella di cui all ‘ art. 41 TUB; infatti – pur volendo prescindere dalle implicazioni derivanti da Cass. n. 23482/2018 in ordine ai compensi dei professionisti nominati nel processo esecutivo, in quanto questione che esula dal presente giudizio -, anche nell ‘ ipotesi prospettata dal Procuratore Generale il credito vantato dal creditore fondiario per le spese di procedura affrontate può eventualmente dirsi prededucibile solo nell ‘ ambito della procedura concorsuale, non certo in quella individuale, perché in quest ‘ ultima egli può solo beneficiare del privilegio meramente processuale attribuitogli dallo stesso art. 41 TUB e neppure occorre, a ben vedere, procedere a distribuzione in senso proprio. Né soccorrono altre previsioni della disciplina sul credito fondiario, siccome specificamente dettate per quest’ultimo e, in quanto tali, insuscettibili di generalizzazione .
3.9.3 In secondo luogo, assume dirimente rilevanza la circostanza per cui, con l ‘ apertura del fallimento (oggi, liquidazione giudiziale), il debitore insolvente
perde sostanzialmente la capacità di agire e subisce lo spossessamento dell ‘ intero patrimonio, mentre altrettanto non avviene per il debitore esecutato, che resta pienamente capace di assumere e mantenere la titolarità di diritti e obblighi, anche in pendenza dell ‘ esecuzione e a prescindere dalla circostanza che egli resti o meno nella custodia del bene.
L ‘ esecutato, infatti, quantomeno in relazione alla casa di abitazione, non perde il possesso del bene per effetto della notifica del pignoramento, (così il vigente art. 560, comma 3, c.p.c.: ‘ Il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell ‘ immobile e delle sue pertinenze sino alla pronuncia del decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal nono comma ‘).
Ma anche a prescindere dal possibile atecnicismo della citata disposizione (solo volendo verosimilmente significare, la norma, che al di là di particolari anomalie, l ‘ esecutato ha diritto di rimanere nella disponibilità materiale della casa di abitazione fino a che non venga emesso il decreto di trasferimento in favore dell ‘ aggiudicatario), occorre pure rilevare che quando il debitore sia sostituito nella custodia da un terzo, quest ‘ ultimo non diviene mai possessore in senso proprio, solo essendo un detentore qualificato del bene.
Pertanto – pur a prescindere dal citato disposto dell ‘ art. 560, comma 3, c.p.c. il debitore diviene custode ex lege per effetto della notifica del pignoramento, ai sensi dell ‘ art. 559, comma 1, c.p.c. e, dunque, mero detentore: in tal senso, quindi, può continuare a sostenersi che detta notifica determina lo spossessamento del debitore esecutato (autorevole dottrina afferma che il possesso viene così temporaneamente ‘congelato’ ; secondo altri Autori, quello
N. 13543/23 R.G.
del custodedebitore è un ‘possesso iuris publici ‘ ; secondo altri, si determina una interversio possessionis ).
Ma su un piano più generale, anche quanto all ‘ effetto di spossessamento tradizionalmente attribuito alla dichiarazione di fallimento (oggi, della liquidazione giudiziale), occorre intendersi.
Come è stato osservato in dottrina, l ‘ art. 142, comma 1, CCII (corrispondente all ‘ art. 42, comma 1, l. fall.), secondo cui ‘ La sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale priva dalla sua data il debitore dell ‘ amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di apertura della liquidazione giudiziale ‘ , non incide di per sé sulle situazioni possessorie, che come è noto sono situazioni fattuali, occorrendo quindi una (ulteriore) attività materiale di apprensione dei beni alla massa, per conseguirne la pratica disponibilità. In tal senso, quindi, è stato esattamente osservato che – benché sia ampiamente ricevuta l ‘ affermazione secondo cui la sentenza di apertura della procedura concorsuale comporti lo ‘spossessamento’ del fallito (v., ex multis , Cass., n. 607/2012) – essa determina solo l ‘effetto di ‘sospensione’ dei poteri di amministrazione e disposizione in capo al debitore, tanto che, nella stessa giurisprudenza di legittimità, è consolidato l ‘ orientamento secondo cui la presa in consegna dei beni del fallito da parte del curatore, per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento, determina la mera detenzione del curatore stesso e non è idonea a interrompere il possesso altrui (in tal senso, Cass., n. 4776/1993; Cass. n. 16853/2005; Cass., n. 17605/2015; tutte dettate in ambito petitorio, con riguardo a domande di usucapione di beni del fallito proposte dal terzo che vanti un possesso utile, ma con riguardo all ‘ ipotesi in cui il curatore non abbia
N. 13543/23 R.G.
materialmente acquisito la disponibilità dei beni stessi, con esclusione della signoria di fatto da altri esercitata).
Per quanto precede, dunque, in ambito concorsuale non è il possesso o la mera disponibilità del bene, in sé, a giustificare il trattamento riservato agli oneri condominiali dall ‘ art. 30 della legge n. 220/2012, bensì la stessa apertura della procedura liquidatoria, con la connessa complessiva attrazione alla gestione dell ‘ intero patrimonio in capo al curatore, da un lato, e la altrettanto connessa ‘cristallizzazione della massa passiva’ alla data della sentenza stessa, dall ‘ altro: al contrario di quanto, invece, può dirsi per effetto della mera notifica del pignoramento, nell ‘ esecuzione forzata. In quest ‘ ultima, infatti, il debitore non incorre in simili limitazioni (eccetto, ovviamente, quelle derivanti dagli effetti sostanziali del pignoramento, ex artt. 2913 ss. c.c., o dalla sua degradazione ex lege a custode, ex art. 559, comma 1, c.p.c. e, dunque, a mero detentore qualificato) e continua a godere di piena capacità di agire (salve le specifiche limitazioni derivanti dallo statuto speciale dell’amministrazione e gestione del bene staggito), fino a quando ne resti proprietario, ossia fino alla data del decreto di trasferimento in favore dell ‘ aggiudicatario: quand ‘ anche dovesse subire la coattiva attuazione dell ‘ ordine di liberazione, ex art. 560 c.p.c. (e, dunque, dovesse perdere la materiale disponibilità del bene, quale che sia la situazione possessoria), egli è e rimane quindi tenuto ad onorare i relativi debiti assunti anche dopo l ‘ inizio dell ‘ esecuzione forzata, comprese le obbligazioni propter rem (tra cui, appunto, gli oneri condominiali – v. Cass. n. 3354/2016) e i tributi inerenti all ‘ immobile.
N. 13543/23 R.G.
La differenza di posizione tra il fallito (oggi, il debitore soggetto a liquidazione giudiziale) e il debitore assoggettato ad esecuzione individuale non potrebbe essere più netta: mentre quest ‘ ultimo, in pendenza di esecuzione, può spontaneamente, validamente ed efficacemente anche adempiere il proprio debito verso il condominio, con effetti pienamente estintivi, altrettanto non potrebbe fare il primo, in pendenza di procedura, perché il suo ipotetico pagamento sarebbe inefficace, ex art. 44 l.fall. (o ex art. 144 CCII), pur a prescindere dalla natura prededucibile del credito condominiale ex art. 30 della legge n. 220/2012.
Proprio per tale ragione, dunque, non può condividersi neppure quella tesi che supra si è definita intermedia (v. par. 3.8), giacché la ratio dell ‘ art. 30 cit. prescinde dalla effettiva disponibilità del bene o comunque dalla relazione di fatto con esso; come esattamente evidenziato anche dal Procuratore Generale, infatti, la norma si prefigge di far subentrare la curatela al fallito nella titolarità anche delle obbligazioni condominiali, al fine di evitare che il fallimento si risolva in danno degli altri condomini, pure costretti, per il recupero di quanto anticipato per conto del fallito, ad insinuarsi al passivo; nel caso di estensione della regola all ‘ esecuzione individuale, invece, il peso graverebbe direttamente sui creditori, a prescindere dalla verifica di ogni utilità da essi stessi ritraibile.
3.9.4 In terzo luogo, è corretto il rilievo per cui, ad accedere all ‘ interpretazione analogica dell ‘art. 30 cit. si verrebbe a determinare un ‘privilegio di fatto’ in favore del condominio, titolare di un mero credito chirografario, in assenza di esplicita previsione normativa, ed anche in spregio alle regole degli artt. 499 ss.
N. 13543/23 R.G.
c.p.c., che prevedono che il soddisfacimento dei crediti vantati da creditori diversi dal pignorante va conseguito mediante intervento nell ‘ esecuzione.
3.9.5 Esclusa, dunque, l ‘ applicazione analogica dell ‘ art. 30 cit. al caso che occupa, deve anche escludersi che gli oneri condominiali ex art. 63 disp. att. c.c., maturati dopo il pignoramento, possano di per sé annoverarsi tra le spese di giustizia privilegiate ex art. 2770 c.c., quali spese di ordinaria o straordinaria amministrazione, come già anticipato (v. par. 3.7.6). Esse, per la verità, sono anche potenzialmente suscettibili di assumere una simile qualità, ma in condizioni del tutto peculiari: solo quando, cioè, esse si rendano necessarie al perseguimento delle finalità dell ‘ esecuzione, nel senso di cui s ‘ è detto più volte (v. supra , par. 3.7.6).
Si è sostenuto che tutte le spese di amministrazione (e, dunque, tutti indistintamente gli oneri condominiali gravanti sull ‘ immobile dell ‘ esecutato) devono ritenersi rientrare tout court tra le spese di procedura, poiché il custode ha il dovere di vigilanza e amministrazione del bene; di conseguenza, egli è tenuto a curare la (o a farsi comunque carico della) manutenzione ordinaria o straordinaria dell ‘ immobile, anche in relazione alle parti comuni dell ‘ edificio ex art. 1117 c.c. (parimenti oggetto della custodia, pro parte ).
La tesi non può però condividersi, perché essa dà per dimostrato ciò che, invece, deve esserlo: ossia, che nel dovere di vigilanza e amministrazione del custode giudiziario rientri necessariamente il dovere di provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell ‘ immobile.
Il che non è, perché s ‘ è già visto (v. par. 3.7.6) che il creditore procedente e gli intervenuti hanno il diritto di soddisfarsi sul ricavato del bene pignorato anche
nelle condizioni in cui esso si trova, fatto salvo quanto necessario per il raggiungimento dello scopo del processo esecutivo (a partire dalle spese di ‘piccola manutenzione’ – riparazione di un tubo, sostituzione di una lampadina o di una presa elettrica, ecc. – cui provvede di norma il custode, attingendo al fondo spese messo a sua disposizione). Ma ciò non significa certo che l ‘ immobile, per il solo fatto di essere stato pignorato, debba essere manutenuto nelle migliori condizioni astrattamente possibili, per di più in termini assoluti.
Anche le spese per oneri condominiali, quindi, sono pur sempre soggette alla prudenziale valutazione del giudice dell’esecuzione circa la loro necessarietà ex art. 8 TUSG, sia con riguardo al bene di proprietà esclusiva del condominoesecutato, sia con riguardo alle parti comuni dell ‘ edificio, ex art. 1117 c.c., anch ‘ esse soggette a custodia, sia pure con le modalità proprie dei beni oggetto di condominio. In altre parole, non può di per sé escludersi che anche le spese per gli oneri condominiali possano assurgere e vere e proprie spese di custodia e, comunque, di giustizia, ma solo ove esse si rendano indispensabili per la conservazione della struttura stessa del bene immobile (o delle relative parti comuni, funzionalmente collegate alla prima), così connotandosi per la loro natura privilegiata ex art. 2770 c.c., non già in quanto meramente connesse al dovere di vigilanza e amministrazione gravante sul custode giudiziario.
Il che, si noti, è quanto poi sembra essere in concreto avvenuto nel caso che occupa, se è vero che il giudice dell’esecuzione , ad integrazione dell ‘ originario progetto di distribuzione, con ordinanza del 10.7.2020 riconobbe quali ‘ uniche somme per spese condominiali in prededuzione, e quindi prevalenti sul credito ipotecario sono quelle per spese straordinarie (euro 900 del primo d.i.) … ‘.
N. 13543/23 R.G.
Al di là delle improprietà lessicali, il giudice dell’esecuzione veliterno ha dunque riconosciuto al Condominio, in via privilegiata ex artt. 2770 e 2777 c.c., il suddetto ulteriore importo, evidentemente concernente spese valutate come indispensabili (benché meramente qualificate come straordinarie), ponendosi sostanzialmente in linea con quanto fin qui s ‘ è detto.
Né rileva, sotto altro profilo, che la tesi qui accolta finisca col favorire l ‘ indebito arricchimento del ceto creditorio, specie nel caso in cui il custode percepisca i canoni di locazione dell ‘ immobile pignorato, di norma comprensivi anche degli oneri condominiali, versati dal conduttore: l ‘ obiezione, pur suggestiva, non tiene però conto del fatto che si tratta pur sempre di somme lato sensu rientranti nell ‘ oggetto del pignoramento, ex art. 2912 c.c., quindi naturaliter destinate a far parte della massa attiva da distribuire ex art. 509 c.p.c.; correlativamente, il condominio ha pur sempre gli strumenti, offerti dall ‘ ordinamento, per far valere il proprio credito verso il debitore, fermo restando che, quantomeno per l ‘ ultimo biennio antecedente alla vendita, esso può beneficiare della responsabilità solidale dell ‘ aggiudicatario-acquirente dell ‘ immobile, ex art. 63, comma 4, disp. att. c.c. (peraltro, di norma, l ‘ importo del debito solidale viene decurtato dal prezzo base di vendita e non sommato ad esso, sicché il bene non sempre risulta meno appetibile per effetto delle passività condominiali).
3.9.6 Resta da affrontare un ultimo argomento – pure prospettato in memoria dal ricorrente, a sostegno della propria tesi – ossia quello del ruolo del custode giudiziario dell’ immobile condominiale, ai fini della partecipazione all ‘ assemblea. Si sostiene, infatti, che la natura procedurale delle spese per gli oneri in parola possa anche desumersi dalla circostanza per cui il custode può anche partecipare
e votare nell ‘ assemblea condominiale, nonché correlativamente impugnare le delibere, anche senza preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione (salvo il caso delle opere di straordinaria manutenzione o delle innovazioni); il che, si aggiunge, è corroborato dalla previsione del d.m. n. 80/2009 (Regolamento in materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati), il cui art. 3, comma 2, lett. b), prevede tra l ‘ altro una maggiorazione dei compensi, in misura variabile, per la ‘ partecipazione alle assemblee condominiali ‘.
Sul punto, occorre richiamare la recente Cass. (ord.) n. 29070/2023 (citata anche dal Procuratore Generale), pronunciata dalla Seconda Sezione civile di questa Corte, competente per tabella in materia di condominio degli edifici, così massimata: ‘ In assenza di un ‘ espressa previsione normativa ad hoc, il custode giudiziario di un immobile sottoposto a pignoramento non può partecipare alle assemblee condominiali, salvo che il giudice dell ‘ esecuzione abbia fornito sul punto specifiche istruzioni operative, contenute nel provvedimento di nomina del custode o in altro successivo ‘.
Tale pronuncia – resa in vicenda in cui si discuteva della pretesa illegittimità di una delibera assembleare, assunta col voto decisivo del condomino debitore esecutato, di cui si contestava la stessa legittimazione alla partecipazione – offre una interessante lettura dei poteri spettanti al custode giudiziario dell ‘ immobile nella prospettiva prettamente dominicale, ma merita ulteriori riflessioni ove la questione la si riguardi nell ‘ ottica dell ‘ espropriazione forzata.
Infatti, può senz ‘ altro condividersi l ‘affermazione per cui ‘ qualora l ‘ immobile staggito sia ricompreso in un edificio condominiale, il debitore esecutato
conserva la legittimazione a partecipare all ‘ assemblea e alle relative deliberazioni, per la quota millesimale di sua spettanza, fino a quando non sia stato emesso il decreto traslativo, essendo detta legittimazione collegata allo status di condòmino, e quindi alla titolarità del diritto dominicale sull ‘ immobile medesimo ‘: tanto dipende dalla individuazione del momento in cui si verifica l ‘ effetto traslativo in favore dell ‘ aggiudicatario, ossia nella data di deposito del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. Il pignoramento, dunque, non priva l ‘ esecutato della legittimazione alla partecipazione all ‘ assemblea ex art. 1136 c.c., evidentemente con la connessa espressione del potere di voto, specie avuto riguardo all ‘ ambito propriamente dominicale (e alle relative spese): si pensi, a mero titolo di esempio, alla deliberazione sulla modifica delle tabelle millesimali. L ‘ ulteriore sviluppo della motivazione sui poteri del custode rispetto alla partecipazione assembleare, però, non convince, non apparendo affatto condivisibile l ‘affermazione per cui ‘ la partecipazione alle assemblee condominiali non può ritenersi inclusa fra i compiti dell ‘ ausiliario ‘, perché in thesi – non sussisterebbe una specifica norma ad hoc , salva l ‘ ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione abbia autorizzato la partecipazione stessa.
Detta conclusione, pur nella chiara consapevolezza del dibattito in essere nella dottrina e nella giurisprudenza di merito, muove sostanzialmente dall ‘ assunto per cui il già citato art. 560, comma 5, c.p.c. prevede la necessaria autorizzazione del giudice dell’esecuzione per il compimento di tutti gli atti di amministrazione e gestione , ‘ in tal modo attribuendo a quest ‘ ultimo un potere di vigilanza e ingerenza nell ‘ attività dell ‘ ausiliario ‘. Si sostiene, infatti, che ‘ ben può il giudice dell ‘ esecuzione, se del caso con un provvedimento di carattere
generale, impartire direttive al custode, precisando gli incarichi a lui assegnati e il modo in cui questi devono essere svolti (nella prassi giudiziaria le direttive in parola vengono spesso raccolte in apposite circolari) ‘ , ‘ i poteri del custode sono quelli derivati direttamente dalla legge o determinati con provvedimento giudiziale ‘ .
Secondo il citato arresto, preso atto che l ‘ art. 560, comma 5, c.p.c., non distingue tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, non è predicabile un generalizzato potere di intervento assembleare da parte del custode giudiziario, se non -per l ‘ appunto -previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione . La tesi sembra riecheggiare quella impostazione dottrinale secondo cui la scelta del legislatore della riforma del 2005-2006, quanto alla delineazione dei poteri del custode, è stata volutamente generica, demandando al giudice dell’esecuzione il potere di ‘riempire’ di contenuti i compiti di amministrazione e gestione in concreto assegnati al custode, in una prospettiva elastica, che possa tener conto delle peculiarità oggettive e territoriali.
Non mancano, però, tesi che ripudiano una interpretazione rigorosamente letterale del comma 5 cit., dovendo ragionevolmente escludersi che l ‘ ultima proposizione della norma possa avere il significato di sottoporre l ‘ intera attività di gestione all ‘ autorizzazione del giudice. Si sostiene, infatti, che il custode deve provvedere autonomamente all ‘ amministrazione e alla gestione ordinaria del cespite pignorato in quanto dotato di ‘poteri minimi’ , dovendo munirsi di autorizzazione del giudice soltanto per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione e, in ogni caso, per la concessione in godimento dell ‘ immobile.
N. 13543/23 R.G.
Quale che sia la tesi preferibile, fermo restando che il naturale dinamismo delle funzioni custodiali mal si concilia con una immanente necessità di autorizzazione preventiva su ogni possibile aspetto – e dato atto che, nella prassi, i provvedimenti di nomina del custode opportunamente disciplinano il caso, spesso prevedendo la specifica attribuzione del compito di partecipare all ‘ assemblea condominiale -, ritiene però la Corte che non paia sostenibile che il potere del custode giudiziario di partecipare all ‘ assemblea non sia previsto da una disposizione ad hoc . Ciò, sia perché è indubbio che egli ha il potere di amministrare e gestire l ‘ immobile ricadente nel condominio, sia perché – a tutto concedere – il giudice dell’esecuzione può attribuirgli specificamente il compito di partecipare alla vita interna del condominio stesso (e quindi ingerirsi in essa) non certo sulla base di una propria valutazione meramente discrezionale (se non anche arbitraria), ma perché una norma tanto gli consente: detta norma non può che individuarsi proprio nel comma 5 più volte citato, con conseguenti dubbi di legittimità di un eventuale provvedimento del giudi ce dell’esecuzione che facesse perfino divieto al custode di partecipare all ‘ assemblea condominiale.
Deve, quindi, concludersi che il custode giudiziario possa partecipare all ‘ assemblea condominiale – documentando, all ‘ evidenza, i propri poteri gestori – pur a prescindere da una specifica autorizzazione del giudice dell’esecuzione , ove anche si consideri che l ‘ art. 3, comma 2, lett. b), del d.m. n. 80/2009 prevede la corresponsione della maggiorazione del compenso per la partecipazione stessa, senza espressamente subordinare tanto all ‘ autorizzazione stessa (la natura straordinaria delle attività, indicata nella rubrica del citato art.
N. 13543/23 R.G.
3, non è di per sé decisiva, perché vuole solo significare la eventualità dello svolgimento dell ‘ attività stessa, in considerazione delle peculiarità del caso).
Piuttosto, la vera questione è in cosa effettivamente possa consistere la partecipazione all ‘ assemblea da parte del custode giudiziario: in particolare, se egli abbia diritto di voto e come tanto, eventualmente, debba coordinarsi col diritto di voto del condomino esecutato, nonché la relativa legittimazione all ‘ impugnazione.
In proposito, se è indubbio che il custode può partecipare all ‘ assemblea con finalità meramente informativa (allo scopo, cioè, di acquisire ogni più opportuna informazione inerente all ‘ immobile custodito, e alle parti comuni appartenenti pro quota all ‘ esecutato), anche in vista del deposito delle relazioni periodiche al giudice dell’esecuzione , è altrettanto indubbio che il condomino-esecutato conserva la propria legittimazione fin che non sia emesso il decreto di trasferimento in favore dell ‘ aggiudicatario, come s ‘ è detto; ed è fin troppo ovvio, del resto, che in relazione ai millesimi di riferimento dell ‘ esecutato, non possa che esprimersi una sola volontà, da parte del solo soggetto legittimato, non essendo affatto ipotizzabile una sorta di diarchia al riguardo.
Non convince, quindi, l ‘ affermazione di Cass. n. 29070/2023, laddove si sostiene che la perdurante legittimazione del condomino-esecutato alla partecipazione all ‘assemblea potrebbe venir meno nel caso ‘ di una diversa disposizione del giudice dell ‘ esecuzione che oneri il custode di una siffatta incombenza; disposizione che, ove assunta, dovrà essere portata a conoscenza dell ‘ amministratore del condominio ‘.
N. 13543/23 R.G.
In realtà, proprio in ragione del fatto che l ‘ esecutato non perde la propria capacità di agire in ordine al diritto reale pignorato (v. supra , par. 3.9.3) e che il custode giudiziario non è un suo rappresentante, non pare sostenibile che il custode stesso possa essere autorizzato dal giudice dell’esecuzione , in via generalizzata, ad assumere decisioni che direttamente possono determinare l ‘ insorgenza di obbligazioni gravanti sul debitore stesso, per di più destinate a restare insoddisfatte nell ‘ esecuzione pendente, posta la loro natura chirografaria e la tendenziale tardività dell ‘ intervento eventualmente spiegato dal condominio per il loro soddisfacimento, ex art. 565 c.p.c.
Pertanto, un simile meccanismo sostitutivo può eventualmente predicarsi solo in due situazioni, ancora nell ‘ ottica dei poteri spettanti ex lege (come anche eventualmente specificati dal giudice dell’esecuzione ) al custode: ( i ) la prima, quando si discuta delle modalità di uso delle cose comuni, in guisa tale da non determinare esborsi a carico dei condomini (e dunque dell ‘ esecutato), perché si tratta pur sempre di decisione che incide sulla gestione della res : si pensi, a mero titolo di esempio, alla deliberazione che ridetermini gli spazi e le aree di parcheggio assegnate a ciascun condomino; ( ii ) la seconda, quando si discuta di spese che si rendano necessarie (ovviamente, pro quota ) per il processo esecutivo, nel senso che più volte s ‘ è illustrato, perché qui si tratta di vere e proprie spese di giustizia. In tale ipotesi, è ben vero che la deliberazione determina l ‘ insorgenza dell ‘ obbligazione in capo all ‘ esecutato, ma l ‘ intera operazione si risolve in una partita di giro, posto che ad essa, su valutazione da parte dell ‘ ufficio giudiziario, consegue l’ onere di anticipazione a carico del procedente, da soddisfarsi poi in sede distributiva col privilegio ex art. 2770 c.c.
N. 13543/23 R.G.
Anche da questo complesso punto di vista, dunque, resta confermato che gli oneri condominiali ex art. 63 disp. att. c.c., maturati successivamente al pignoramento, non possono senz ‘ altro qualificarsi come spese di procedura o di giustizia, se non nella ristretta prospettiva indicata.
3.10 In conclusione, la decisione impugnata si rivela corretta, perché si è attenuta – sulle complesse questioni fin qui tratteggiate e seppur sinteticamente – al principio di diritto che di seguito si va ad affermare: ‘poiché la norma dell’art. 30 della legge n. 220 del 2012 è riferita soltanto alle procedure concorsuali e poiché l’istituto della prededuzione opera solo in queste ultime , i contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per le innovazioni, dovuti per un immobile in condominio, maturati dopo il pignoramento, non sono né prededucibili, né costituiscono spese di giustizia per atti di espropriazione, privilegiati sul prezzo della vendita di quello ex art. 2770 c.c., salvo che non attengano a spese indispensabili per la conservazione della struttura stessa del bene immobile o delle parti comuni funzionalmente ad essa collegate; in tal caso, il giudice dell’esecuzione può disporne l’anticipazione a carico del creditore procedente ex art. 8 d.P.R. n. 115 del 2002 ‘ .
4.1 Il secondo motivo, concernente la mancata compensazione delle spese dell ‘ unico grado di merito, è inammissibile, in quanto la decisione impugnata ha regolato le spese secondo soccombenza.
Pertanto, non può che applicarsi il principio per cui ‘ In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza
che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l ‘ eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ‘ ( ex multis , Cass. n. 11329/2019).
5.1 In definitiva, il ricorso è rigettato.
Stante la sostanziale novità, in questa sede, di molte tra le questioni complessivamente trattate, nonché la loro obiettiva importanza, si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.
In relazione alla data di proposizione del ricorso, può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza Sezione Civile della