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Onere prova cessione azienda: a chi spetta?

Un lavoratore, trasferito a seguito di una cessione di ramo d’azienda, si vede negare il pagamento del ‘superminimo’. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24676/2025, chiarisce un principio fondamentale sull’onere della prova cessione d’azienda: spetta al datore di lavoro, e non al dipendente, dimostrare che un nuovo contratto collettivo applicato dalla società acquirente ha sostituito le precedenti condizioni economiche. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva erroneamente addossato tale onere al lavoratore.

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Onere Prova Cessione Azienda: la Cassazione ribalta il principio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nel diritto del lavoro: l’onere della prova cessione d’azienda. Quando un lavoratore viene trasferito e perde una parte della sua retribuzione, a chi spetta dimostrare il perché? Al dipendente che lamenta il danno o all’azienda che ha modificato le condizioni? La Suprema Corte ha fornito una risposta chiara, ribaltando l’onere probatorio a carico del datore di lavoro e rafforzando la tutela dei lavoratori in caso di operazioni societarie.

I fatti di causa: un superminimo conteso dopo la cessione

Il caso riguarda un cuoco che per anni aveva percepito un ‘superminimo’ ad personam di 600 euro mensili da un’impresa alberghiera. L’azienda cede in affitto il ramo d’azienda in cui il lavoratore è impiegato a un’altra società. Durante questo periodo, il pagamento del superminimo diventa discontinuo. Successivamente, l’azienda originaria riprende la gestione del ramo (retrocessione) ma non ripristina il pagamento del superminimo.

Il lavoratore si rivolge al tribunale per ottenere il pagamento delle somme non corrisposte. La Corte d’Appello, tuttavia, respinge la sua richiesta, sostenendo che fosse onere del dipendente dimostrare che la società acquirente (cessionaria) non avesse un proprio contratto aziendale che sostituisse quello precedente. In pratica, il lavoratore avrebbe dovuto provare un fatto negativo riguardante l’organizzazione interna di un’altra azienda.

La decisione della Cassazione sull’onere della prova cessione d’azienda

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito due aspetti fondamentali.

L’interpretazione del trattamento economico

In primo luogo, il superminimo, essendo un’eccedenza retributiva pattuita individualmente, rientra a pieno titolo nel ‘trattamento economico’ che, secondo gli accordi sindacali e l’art. 2112 c.c., deve essere garantito ai lavoratori trasferiti. La Corte d’Appello aveva sbagliato a escluderlo solo perché non era menzionato esplicitamente nell’accordo di cessione.

Il principio dell’onere della prova a carico dell’azienda

Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova cessione d’azienda. La Cassazione ha stabilito che l’esistenza di un contratto collettivo applicato dalla società cessionaria, che si sostituisce a quello della cedente, costituisce un fatto impeditivo del diritto del lavoratore a mantenere le precedenti condizioni. Secondo l’art. 2697 del Codice Civile, chi eccepisce un fatto impeditivo ha l’onere di provarlo.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte motiva la sua decisione basandosi su due principi cardine. Il primo è la regola generale dell’onere della prova: spetta all’azienda, che sostiene l’esistenza di una nuova regolamentazione contrattuale, fornirne la prova. È l’azienda a invocare un fatto che estingue il diritto del lavoratore, e quindi deve dimostrarlo. Il secondo è il principio di vicinanza della prova: il datore di lavoro è la parte che ha la possibilità più concreta e diretta di conoscere e documentare i contratti collettivi applicati nella propria organizzazione. Addossare questo onere al lavoratore significherebbe imporgli una prova estremamente difficile, se non impossibile, da ottenere.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che la Corte d’Appello aveva violato l’art. 2697 c.c. attribuendo al lavoratore l’onere di dimostrare la mancata applicazione di un contratto aziendale presso la società cessionaria. Tale onere gravava, invece, sulla società datrice di lavoro, anche in qualità di retrocessionaria e responsabile in solido per i crediti maturati durante il trasferimento.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un’importante affermazione a tutela dei diritti dei lavoratori coinvolti in operazioni di trasferimento d’azienda. Stabilendo che l’onere della prova cessione d’azienda circa la modifica del trattamento contrattuale spetta al datore di lavoro, la Cassazione riequilibra le posizioni delle parti nel processo. Il lavoratore non è più costretto a una difficile ricerca di prove interne all’azienda, ma è l’impresa a dover dimostrare in modo trasparente le ragioni che giustificano una modifica delle condizioni retributive e normative preesistenti. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso applicando correttamente questo fondamentale principio.

In una cessione di ramo d’azienda, chi deve provare che un nuovo contratto collettivo ha sostituito quello precedente?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta al datore di lavoro (cessionario o cedente in solido). L’esistenza di un nuovo contratto che modifica le condizioni precedenti è un ‘fatto impeditivo’ del diritto del lavoratore, e chi lo eccepisce deve provarlo.

Il ‘superminimo’ individuale fa parte del trattamento economico che deve essere mantenuto dopo una cessione d’azienda?
Sì. La Corte ha chiarito che il superminimo, essendo una componente della retribuzione, rientra nel ‘trattamento economico e normativo in vigore’ che, in base all’art. 2112 c.c. e agli accordi sindacali, deve essere conservato in capo ai lavoratori trasferiti, salvo diversa previsione di un nuovo contratto collettivo applicato dal cessionario.

Perché l’onere della prova spetta all’azienda e non al lavoratore?
L’onere spetta all’azienda per due ragioni principali: 1) secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c., chi afferma un fatto che estingue un diritto altrui deve provarlo; 2) in base al principio di ‘vicinanza della prova’, il datore di lavoro è la parte che ha più facilmente accesso alle prove relative ai contratti collettivi applicati nella propria organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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