Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17041 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17041 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ENAC;
– intimato – avverso la SENTENZA del TRIBUNALE CIVITAVECCHIA n. 1166/2023, depositata il 18/10/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con 18 ordinanze-ingiunzioni, l’ENAC imponeva a NOME COGNOME il pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie a séguito
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7893/2024 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
di contestazioni relative all’accesso, nelle date riportate nei verbali di accertamento, all’ingresso accosti internazionali dell’aeroporto «Leonardo Da Vinci» effettuato con il tag trasponder abbinato al veicolo di altro soggetto, nonché l’accesso di altri tassisti all’ingresso accosti internazionali del medesimo aeroporto con il tag trasponder intestato a COGNOME, in violazione dell’art. 2.3 . dell’Ordinanza Direzione Aeroportuale n. 9/2006.
1.1. Avverso dette ordinanze-ingiunzione aveva proposto opposizione NOME COGNOME innanzi al Giudice di Pace di Civitavecchia, che rigettava l’istanza con sentenza n. 1473/2018.
La pronuncia del primo giudice era stata impugnata da COGNOME innanzi al Tribunale di Civitavecchia, che rigettava il gravame, ritenendo -per quel che ancora qui rileva -che l’acquisizione da parte del giudice di prime cure delle annotazioni di Polizia Giudiziaria rientra senz’altro nei poteri di verifica della fondatezza della pretesa sanzionatoria, tenuto conto che in atti vi erano sia le ordinanze ingiunzioni che i verbali di accertamento relativi alle contestazioni elevate da ENAC. Del resto, l’acquisizione delle predette annotazioni era funzionale a valutare la ricostruzione fornita dal ricorrente, rimasta sprovvista di supporto probatorio.
La sentenza d’appello è impugnata per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato ad un unico motivo.
Resta intimato Enac.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
E’ opportuno precisare che, alla luce della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato,
proponente ex art. 380bis cod. proc. civ., come componente del Collegio che definisce il giudizio, non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo si deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011 articoli 2, comma 1, 6, comma 8, e 11 nonché dell’articolo 115, 118, 210, 213, 416, comma 3, 421 cod. proc. civ. , per violazione o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2697, 2700 cod. civ. e in relazione all’articolo 360 comma 1, nn. 3), 4) cod. proc. civ. Ricorda il ricorrente che la pubblica amministrazione, sebbene rivesta la figura formale di parte convenuta, conserva quella sostanziale di attrice; pertanto, essa è gravata dell’onere probatorio di dimostrare le ragioni di fatto e di diritto della pretesa sanzionatoria. Nel caso in esame, a fronte dell’opposizione proposta da COGNOME davanti al Tribunale di Civitavecchia, l’ENAC si costituì solo davanti al Giudice d i Pace nel giudizio di riassunzione, depositando una comparsa priva di istanze istruttorie e documenti, e quindi senza osservare il termine di cui all’art. 416 cod. proc. civ. , comma 1. Ne discende che l’om essa tempestiva costituzione dell’ENAC, oltre a produrre le decadenze di cui all’art. 416 cod. proc. civ., impedisce al giudice (art. 6 D.lgs. n. 150/11), di convalidare i provvedimenti impugnati, ai sensi dell’art. 6 comma 10 lettera b) D.lgs. n. 150/11, e del successivo comma 11, posto che i poteri d’ufficio del giudice non possono essere esercitati con riferimento a fatti non allegati dalle parti e non emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse. Poiché, in definitiva, il mancato deposito, da parte della Pubblica Amministrazione resistente, della documentazione relativa agli accertamenti e alle contestazioni
dalla stessa svolta, non era dovuto a impossibilità a fornire in giudizio quanto in suo possesso, i poteri di ufficio del giudice non potevano essere esercitati.
1.1. Il motivo è infondato.
Deve innanzitutto essere richiamato l’orientamento (consolidato e pacifico, riportato anche in ricorso: p. 13, ultimo capoverso) in virtù del quale la trasmissione degli atti relativi all’accertamento da parte dell’autorità che ha emesso l’atto impugnato nei dieci giorni previsti dal comma 8 dell’art. 6, d.lgs. n. 150/2011 norma che prevede l’ordine del giudice, con il decreto di cui all’articolo 415, secondo comma, cod. proc. civ., diretto all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, alla contestazione o notificazione della violazione – non è considerato termine perentorio, a differenza di quello contemplato dall’art. 416 cod. proc. civ., che si applica, in virtù del richiamo operato dall’art. 2, comma 1 del medesimo d.lgs. n. 150, per gli altri documenti depositati dall’Amministrazione ( ex multis : Cass. n. 14266/2021; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9545 del 18/04/2018, Rv. 648048 -01; Cass. n. 16853/2016).
Ne consegue che la trasmissione tardiva di quegli atti, ritenuti «indispensabili» (art. 437 cod. proc. civ.), non li rende inutilizzabili, tanto che il potere giudiziale di acquisire officiosamente, nell’interesse dell’accertamento della verità sostanziale e quindi potenzialmente di entrambe le parti, permane anche in appello, a differenza di quanto accade per il rito ordinario ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. (Cass. n. 15887 del 13/6/2019).
E’ stato, poi, precisato che l’inerzia processuale non determina -pur a fronte dell’art. 6, comma 10, lett. b, del d.lgs. n. 150 del 2011 e
dell’analogo art. 7, comma 9, lett. b – l’automatico accertamento dell’infondatezza della trasgressione, poiché il giudice, chiamato alla ricostruzione dell’intero rapporto sanzionatorio e non soltanto alla valutazione di legittimità del provvedimento irrogativo della sanzione, può sopperirvi sia valutando i documenti già acquisiti, sia disponendo d’ufficio i mezzi di prova ritenuti necessari (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24691 del 08/10/2018, Rv. 650660 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4898 del 11/03/2015, Rv. 635012 – 01).
1.2. Nel caso che ci occupa, il giudice d’appello sostiene che sia i verbali di accertamento sia le ordinanze-ingiunzioni erano in atti. Pertanto, aveva assolto all’onere di prova l’ENAC, diversamente da quanto affermato in ricorso.
Non può trovare applicazione, quindi, l’orientamento di questa Corte richiamato in ricorso (v. soprattutto p. 18, 1° capoverso) che limita l’attivazione del potere officioso del giudice, previsto dall’art. 213 cod. proc. civ., solo quando sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti che la parte sia impossibilitata a fornire in giudizio, in quanto in possesso della sola amministrazione che non può rilasciarli al privato.
Ne deriva che legittimamente il Giudice di Pace aveva voluto approfondire l’accertamento della verità di quanto affermato negli atti prodotti dalla P.A. acquisendo le annotazioni della Polizia Giudiziaria, anche per valutare la diversa ricostruzione fornita dal trasgressore, rimasta sprovvista di supporto probatorio (v. sentenza p. 3, 1° e 2° capoverso).
1.3 . Resta da chiarire che, nell’istanza di prosecuzione del giudizio, il ricorrente sostiene di voler ottenere una pronuncia da parte del Collegio, poiché il ricorso sarebbe stato incentrato non solo sulla questione inerente ai poteri officiosi del giudice, già disattesa dal
Consigliere Delegato, bensì anche sulla mancanza assoluta di prova del corretto funzionamento della strumentazione elettronica utilizzata per i rilevamenti delle presunte infrazioni.
Ritiene il Collegio che la suddetta questione sia inammissibile, in quanto prospettata in maniera generica (oltre che senza alcun supporto argomentativo), in violazione del principio di specificità del motivo. In assenza di espressa pronuncia sul tema indicato da parte del Tribunale, è compito del ricorrente indicare dove essa sia stata sollevata, anche riportando le parti rilevanti della contestazione in omaggio al principio di autosufficienza, in modo da mettere questa Corte in condizione di operare il suo sindacato. Alla p. 16, 3° capoverso, del ricorso, infatti, si legge solo: « … il ricorrente non si è limitato a contestare puramente e semplicemente la pretesa dell’ENAC, ma aveva adotto validi motivi quali, l’impossibilità di verificare con quali strumenti elettronici furono accertate le infrazioni, il tipo di strumentazione utilizzata, la loro funzionalità e la mancata contestazione immediata, quindi, spettava all’ ENAC. fornire la prova della sua pretesa ».
2. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Non si procede alla determinazione delle spese del presente giudizio, non avendo la controparte svolto attività difensiva.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. al pagamento della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda