Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14540 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22979/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende anche disgiuntamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n.1015/2022 depositata il 13.6.2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.5.2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 25.7.2014, COGNOME NOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Agrigento COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. L’attrice, esponendo di essere proprietaria di alcuni terreni (particelle 271, 273, 275, 293, 332, 333, 335, 389, 390, 391 e 392 del foglio 89) in contrada COGNOME, (in tenimento dei Comuni di Canicattì e di Naro) -per la metà indivisa, per successione legittima della sorella COGNOME COGNOME e, per l’altra metà indivisa, per successione legittima dei genitori COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali li avevano acquistati nel 1952 -, domandava la condanna dei convenuti al rilascio degli stessi, asseritamente posseduti in via esclusiva con impianto su di essi di un vigneto poi estirpato, e con la cura della pulizia dei terreni incolti, previa declaratoria di nullità dell’atto con cui il 9.5.2003 COGNOME NOME, assumendo di aver usucapito tali beni, li aveva donati al figlio COGNOME NOME, e di inefficacia del successivo atto di compravendita (atto del notaio COGNOME del 29.4.2014, rep. n. 79369) con cui il donatario ne aveva alienata una parte a La Monaca Antonio.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e NOMECOGNOME articolando domanda riconvenzionale di accertamento dell’intervenuta usucapione dei beni in contestazione ed assumendo che da oltre trenta anni i terreni erano stati posseduti in via esclusiva da COGNOME
NOME e prima di lui dal defunto padre, COGNOME NOME, mentre di essi COGNOME NOME non era neppure intestataria catastale.
Si costituiva altresì COGNOME NOME, resistendo alle avverse pretese e per l’ipotesi in cui fosse accolta la rivendica della COGNOME, chiedeva la condanna del venditore COGNOME NOME alla restituzione del prezzo pagato, da lui indicato in € 37.500,00 (ammontante invece ad € 21.000,00 per i COGNOME), ma non completamente pagato, ed al rimborso delle spese notarili e delle altre spese da lui sostenute per l’acquisto.
COGNOME NOME, in riconvenzione rispetto alle richieste di COGNOME NOME, ne chiedeva la condanna al pagamento del prezzo di vendita non ancora versatogli di € 30.500,00 oltre interessi.
Con la sentenza n. 1511/2018 il Tribunale di Agrigento accoglieva tutte le domande di COGNOME NOME, respingeva la riconvenzionale di usucapione dei COGNOME, e condannava COGNOME NOME al pagamento in favore di COGNOME NOME della complessiva somma di € 30.805,00, pari al prezzo di vendita pagato e non dovuto per l’evizione subita, ed alle spese notarili, di pulizia e coltivazione dei fondi acquistati da lui sostenute e condannava i COGNOME al pagamento delle spese processuali della COGNOME e del La Monaca.
COGNOME NOME, in proprio e quale erede del figlio NOME, nelle more deceduto, interponeva appello chiedendo il rigetto dalla rivendica della COGNOME, l’accoglimento della riconvenzionale di usucapione, con conseguente validità della donazione del 9.5.2013 e della vendita fatta da COGNOME NOME a COGNOME NOME il 29.4.2014, nonché della domanda di condanna del COGNOME al pagamento del prezzo di acquisto non ancora versato di €30.500,00. COGNOME NOME resisteva al gravame e COGNOME NOME rimaneva contumace.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1015/2022 del 15.4/13.6.2022, confermava la pronuncia di prime cure. In specie il
Giudice di secondo grado, disattendendo la contestazione dei Taibbi relativa alla derivazione mortis causa della proprietà in capo all’originaria attrice, per non avere i suoi danti causa posseduto i fondi de quibus , riteneva provata l’accettazione tacita dell’eredità da parte dei COGNOME, i quali, avendo affidato la coltivazione dei prefati terreni a COGNOME Luigi, avevano esercitato sui beni un potere uti domini , consapevoli di averlo acquisito per via ereditaria. Inoltre, attesa l’asserita carenza di contestazioni circa l’appartenenza dei beni alla rivendicante o ai suoi danti causa al tempo in cui COGNOME NOME assumeva di aver iniziato a possedere uti dominus , il Giudice del gravame riteneva attenuato l’onere probatorio incombente sull’attrice in rivendica, COGNOME NOME. Quanto alla riproposta domanda riconvenzionale di accertamento dell’intervenuta usucapione dei COGNOME, il Giudice di secondo grado dichiarava l’insufficienza delle prove addotte a sostegno, attesa la contraddittorietà delle dichiarazioni testimoniali acquisite in ordine all’individuazione ed alle condizioni dei fondi in contestazione. Infine, la Corte adita dichiarava la correttezza della condanna pecuniaria di COGNOME NOME a favore del COGNOME, disposta dal primo giudice.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME NOME, ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sei motivi, e COGNOME NOME ha resistito con controricorso. La Monaca NOME è rimasto intimato.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 948 cod. civ., 113 c.p.c. e 101 Cost.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto attenuato l’onere probatorio incombente sull’attrice in rivendica, COGNOME NOMECOGNOME per non avere parte convenuta contestato esplicitamente l’originaria
appartenenza dei beni per cui è causa alla rivendicante o ai suoi danti causa, mancando di rilevare come siffatta contestazione fosse contenuta tanto nella comparsa di costituzione e risposta dei COGNOME, quanto nella loro memoria ex art. 183, comma 6°, n. 1) c.p.c..
2) Con la seconda censura, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 99 e 115 c.p.c.. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la carenza di prova in ordine all’esistenza, alla validità e alla rilevanza del titolo dedotto dall’originaria attrice a fondamento della domanda di rivendicazione, atteso che tale indagine era relativa ad uno degli elementi costitutivi dell’azione di rivendicazione esercitata da NOME, che la medesima in quanto attrice, avrebbe dovuto provare.
Il primi due motivi di ricorso, da ritenere inconferenti quanto alle violazioni richiamate in rubrica agli articoli 113 c.p.c., 101 della Costituzione e 99 c.p.c., vanno esaminati congiuntamente per la parte in cui lamentano la violazione dell’onere probatorio proprio dell’azione di rivendica (cosiddetta probatio diabolica ), che l’impugnata sentenza ha ritenuto attenuato per avere gli originari convenuti Taibbi eccepito l’usucapione dei terreni rivendicati da COGNOME NOME, asseritamente omettendo di contestare la proprietà ed il possesso di quei terreni da parte della predetta e dei suoi danti causa, che in realtà erano stati puntualmente contestati dai COGNOME.
Essi sono fondati.
La Corte d’Appello ha violato il principio di non contestazione dell’art. 115 comma 1° c.p.c., perché nel valutare la fondatezza dell’azione di rivendicazione di COGNOME NOME, ha richiamato a pagina 4, il principio che il rigore probatorio di chi agisce in rivendica o per l’accertamento della proprietà é attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure
implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o a uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere, implicitamente ritenendo che i Taibbi non avessero contestato l’appartenenza dei terreni in contrada Fabrizio-Ferlazzano (particelle 271, 273, 275, 293, 332, 333, 335, 389, 390, 391 e 392 del foglio 89), in tenimento dei Comuni di Canicattì e di Naro, a COGNOME NOME ed ai suoi danti causa (ossia la sorella COGNOME NOMECOGNOME morta l’1.12.1992, ed i genitori COGNOME NOME, morto il 15.1.1978 e COGNOME NOME, morta il 15.5.1990, ai quali COGNOME NOME sarebbe succeduta ex lege subentrando nei diritti acquisiti da COGNOME NOME e COGNOME NOME con l’atto di compravendita del notaio COGNOME del 2.11.1952, rep. n. 5420).
In realtà nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado, e nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., i COGNOME, in ordine all’assunto di COGNOME NOME, sull’appartenenza dei suddetti terreni a lei ed ai suoi danti causa, avevano detto testualmente: ‘ L’assunto avversario é del tutto infondato e privo di giuridico fondamento, stante che né l’odierna attrice Sig.ra COGNOME NOME, né i pretesi suoi danti causa sono mai stati proprietari dell’appezzamento di terreno de quo, né lo hanno mai posseduto, essendo esso sempre stato nel possesso dei Sigg. COGNOME. Il detto appezzamento di terreno, infatti, é stato ed é posseduto uti dominus pacificamente -ininterrottamente e pubblicamente, da oltre trenta anni dal convenuto Sig. COGNOME NOMECOGNOME che lo ha usucapito, e prima ancora dal di Lui padre, ed oggi -a seguito dell’atto di donazione del 2013 -dal convenuto COGNOME NOME COGNOME.
Gli stessi COGNOME hanno poi articolato un’ampia prova testimoniale volta a dimostrare il possesso esclusivo uti domini dei terreni da parte loro, ed a negare il preteso possesso degli stessi da parte di COGNOME NOME, per cui non si vede come sia stato possibile ritenere, che i convenuti rispetto all’azione di rivendica, non
avessero contestato la proprietà ed il possesso dei terreni di causa, da parte di COGNOME NOME e dei suoi danti causa, e che da ciò potesse derivare un’attenuazione dell’onere probatorio della rivendicante.
E’ noto che sull’attore in rivendica incombe l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà, in forza di un titolo di acquisto originario o derivativo, risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione. In caso di allegazione di titolo derivativo, il giudice di merito è tenuto quindi innanzitutto a verificare se vi è prova dell’esistenza del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa (e ciò a prescindere da qualsiasi eccezione del convenuto, giacché, investendo tale indagine uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova dev’essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d’ufficio). Una volta verificato questo, occorre esaminare i titoli a monte fino a risalire ad un titolo originario. L’onere probatorio a carico del rivendicante dev’essere stabilito in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, sicché il rigore si attenua secondo la linea difensiva adottata dal convenuto. In altri termini l’onere della prova in rivendicazione non può essere considerato in modo rigido ed indipendente dalla posizione che in concreto assume il convenuto nell’espletare la sua difesa. La giurisprudenza può dirsi ormai pacificamente orientata nel senso che la probatio diabolica , la dimostrazione, cioè, dell’acquisto legittimo dei danti causa all’infinito, fino a trovare un acquisto originario, non è sempre mezzo istruttorio necessario per la vittoria giudiziale del rivendicante. Non occorre, cioè, che egli, invocando un titolo di acquisto derivativo, giunga fino ad un acquisto a titolo originario del suo autore. Il limite dell’esigenza probatoria a carico del rivendicante non è costituito, infatti, da una fattispecie legale tipica ed astratta e cioè da una figura di prova legale, bensì, come per qualsiasi altro istituto giuridico, dalla sufficienza della prova
rispetto all’entità giuridica che nelle singole fattispecie deve essere dimostrata, avuto riguardo sempre alle contestazioni fra i contendenti (Cass. ord. 12.12.2024 n. 32074; Cass. ord. 19.1.2022 n.1569).
Questa Corte (Cass. ord. 10.1.2023 n. 394; Cass. 19.10.2021 n.28865) ha anche precisato che, ” essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui “dies a quo” sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore “.
Pertanto, avendo i COGNOME specificamente contestato la proprietà ed il possesso dei terreni da parte di COGNOME NOME e dei suoi danti causa, non poteva la Corte d’Appello, in violazione degli articoli 115
c.p.c., 948 e 2697 cod. civ., ritenere attenuato l’onere gravante sulla rivendicante di fornire la cosiddetta probatio diabolica , ossia l’onere di dimostrare, non solo una sequenza di acquisti a titolo derivativo dei terreni, ma anche la maturazione in suo favore, eventualmente in unione col possesso dei familiari ai quali era succeduta, dei presupposti dell’usucapione, ossia di un acquisto a titolo originario, ed applicare, a pagina 6, il principio per cui in presenza di prove testimoniali contrastanti l’insufficienza del quadro probatorio non può che ricadere sulla parte gravata dall’onere probatorio portando al rigetto della domanda (in tal senso Cass. n. 4773/2015), soltanto per la riconvenzionale di usucapione dei COGNOME, e non per l’azione di rivendica di COGNOME NOME, come se per quest’ultima fosse sufficiente la prova dell’acquisto a titolo derivativo.
Attraverso la terza doglianza, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 948 cod. civ. e 111 Cost.. Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente omesso di rilevare la carenza di titolo in ordine ad alcune delle particelle oggetto di causa, ed esattamente alle particelle 389, 390, 391 e 392 del foglio 89 del catasto di Canicattì, e la carenza di accettazione dell’eredità da parte dei danti causa di COGNOME NOME, pur dedotte dal ricorrente nell’atto di appello.
Col quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e 112 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto valida l’accettazione tacita dell’eredità realizzata dall’originaria attrice con l’atto introduttivo del giudizio, omettendo di rilevare la mancata trascrizione di tutti i titoli di acquisto precedenti e, in specie, di quelli della madre COGNOME NOME e della germana COGNOME.
Col quinto motivo, il ricorrente si duole del travisamento della prova, della violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. Il
Giudice di secondo grado avrebbe travisato il contenuto della prova testimoniale, ritenendo che le dichiarazioni del teste COGNOME NOME, mezzadro di COGNOME Salvatore, afferissero anche ai terreni in tenimento di Canicattì, anziché solo a quelli in tenimento di Naro sui quali era esistito un vigneto, e che il teste COGNOME COGNOME avesse confermato il possesso della COGNOME su tutti i fondi rivendicati, e quindi anche sui terreni in tenimento di Canicattì, sui quali insisteva un fabbricato, posseduto da oltre trenta anni dai COGNOME. La Corte d’Appello, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto contraddittorie le dichiarazioni rese dai testi addotti dai COGNOME, non tenendo presente che le testimonianze acquisite si riferivano alla diversa condizione di possesso esistente tra i terreni rivendicati dalla COGNOME in agro del Comune di Canicattì e quelli in agro del Comune di Naro.
Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso devono ritenersi logicamente assorbiti per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi, richiedendo essi una rivalutazione più attenta del contenuto dell’atto di acquisto dei danti causa di COGNOME NOME a rogito del notaio COGNOME del 2.11.1952, rep. n. 5420, e delle prove testimoniali raccolte, con distinzione tra i terreni già adibiti a vigneto in tenimento del Comune di Naro, ed i terreni con fabbricato, alberi di ulivo e di mandorlo in tenimento del Comune di Canicattì, rivalutazione che dovrà effettuare il giudice di rinvio alla luce dei principi ricavabili dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
Con la sesta censura, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 cod. civ. e 228 c.p.c.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provata la circostanza che COGNOME NOME non avesse corrisposto integralmente il prezzo convenuto per l’acquisto dei terreni, sulla scorta di una dichiarazione resa dal predetto in sede di interrogatorio formale, e dunque inutilizzabile come prova in quanto a lui favorevole.
Il sesto motivo di ricorso, attinente all’erronea attribuzione di valore probatorio alle dichiarazioni a sé favorevoli rese in sede di interrogatorio formale da COGNOME NOME, ai fini della conferma dell’accoglimento della di lui domanda di condanna di COGNOME NOME, figlio poi deceduto di COGNOME NOME, al pagamento della complessiva somma di € 30.805,00, comprensiva del prezzo versatogli per l’acquisto (con l’atto del notaio COGNOME del 29.4.2014, rep. n.79369) dei terreni poi rivendicati con successo da COGNOME NOME, delle spese notarili e delle spese sostenute per la pulizia e coltivazione dei terreni acquistati, deve ritenersi anch’esso assorbito, a sua volta, per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi, incidendo la sorte dell’azione di rivendicazione dei terreni di COGNOME NOME anche sulla domanda di restituzione del prezzo e rimborso delle spese relativi ai terreni acquistati da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME, al quale é succeduto come erede COGNOME NOME.
Si rende dunque necessario un nuovo esame in relazione ai primi due motivi di ricorso.
Il giudice di rinvio -che si individua nella medesima Corte territoriale in diversa composizione – provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbiti i restanti, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20.5.2025