Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27808 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 27808  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15318/2024 R.G. proposto da Banca  Monte  dei  Paschi  di  RAGIONE_SOCIALE  s.p.a.,  in  persona  del  legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO
– controricorrenti – avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Reggio  Calabria  n. 285/2024, depositata il 29 aprile 2024.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  17  settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
 la  Banca  Monte  dei  Paschi  RAGIONE_SOCIALE  propone  ricorso  per
cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, depositata il 29 aprile 2024, nella parte in cui ha respinto il suo appello (principale) per la riforma della sentenza del Tribunale di Palmi che la aveva condannata alla restituzione in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, della somma di euro 398.525,80, oltre interessi, a titolo di ripetizione di indebiti versamenti eseguiti su conti correnti accesi da quest’ultimo;
la Corte di appello ha riferito che la domanda attorea si basava sull’allegazione della nullità delle clausole relative alla fissazione del tasso di interesse passivo ultralegale e della commissione di massimo scoperto, attesa la mancanza di relativa pattuizione scritta, nonché, quanto alla prima, la sua indeterminazione, stante il rinvio al cd. «uso piazza», della capitalizzazione trimestrale dell’interesse , violativa del divieto di anatocismo, della violazione da parte dell’istituto bancario delle regole generali di correttezza e buona fede in relazione all’uso del ius variandi , esercitato con modalità scorrette, e de ll’applicazione di condizioni contrattuali diverse da quelle concordate;
ha dato atto che il Tribunale, valutate le conclusioni della disposta consulenza  tecnica  d’ufficio, aveva  ritenuto  fondata  l’eccezione  di prescrizione limitatamente a un primo conto corrente e ai relativi conti accessori (n. 30303), ma non, se non in minima parte, relativamente a un successivo conto corrente (n. 2326, poi n. 10100H);
 ha,  quindi,  ritenuto  che  la  decisione  di  prime  cure  resistesse  alle censure formulate dalla banca con i motivi di appello;
il ricorso è affidato a due motivi;
 resistono  con  unico  controricorso  COGNOME  NOME,  COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., la ricorrente chiede la decisione della causa;
le parti depositano memorie;
CONSIDERATO CHE:
– con il motivo proposto la ricorrente critica la sentenza impugnata per «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 132 c.p.c. … nella misura in cui ha ritenuto corretta la ricostruzione del saldo finale del rapporto di conto corrente n.2326, poi n.101000HH, asseritamente operata, pur a fronte della mancata produzione di estratti conto intermedi, considerando i valori contabili emersi nei soli periodi documentati dalla produzione di detti estratti, sulla scorta degli asseriti principi a mente dei quali il ricalcolo del rapporto può avvenire -mercè l’ausilio del CTU limitatamente ai lassi temporali interessati dalla documentazione, e senza che in contrario rilevi l’eccezione della Banca inerente la circostanza che tale ricostruzione parziale del rapporto viene posta a fondamento di una statuizione condannatoria in violazione della regola dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. »; – con il secondo motivo deduce la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 comma 6 Costituzione » per aver la Corte di appello respinto la sua doglianza «secondo cui, una volta dichiarato prescritto il diritto alla ripetizione di indebito relativamente ai conti anticipi, le competenze maturate in seno agli stessi, e addebitate sul conto corrente n. 2326, andavano considerate alla stregua di un addebito di capitale e, dunque, nella ricostruzione del rapporto l’esperto avrebbe do vuto appostarle nelle date degli addebiti medesimi, e non addizionarle -per come invece da lui fatto -in calce a tutte le operazioni»;
–  si  lamenta,  in  particolare,  del  fatto  che  le  competenze  dei  conti anticipi  n.  32899  2,  n.  45017,  n.  45023,  n.  45029,  irripetibili  per intervenuta  prescrizione,  sono  state  tenute  presenti  dal  consulente tecnico d’ufficio nel riconteggio del rapporto principale ma, sebbene le stesse venissero girocontate su detto rapporto trimestralmente, sono state computate  non  in  corrispondenza  di ciascun trimestre di maturazione, ma alla chiusura definitiva del rapporto;
– la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che entrambi i motivi fossero inammissibili;
– in ordine al primo mezzo ha osservato che «la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949)»;
– ha aggiunto che «per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867)»; – infine, ha rammentato che «la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé,
purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente  incomprensibile»,  esclusa  qualunque  rilevanza  del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053)»;
ha, quindi, rilevato che «il ricorso non denuncia quel fenomeno di ribaltamento del riparto degli oneri probatori che integra la violazione dell’articolo 2697 c.c., né denuncia che la decisione sia stata adottata sulla base di prove introdotte d’ufficio, mentre la doglianza di care nza motivazionale, configurabile esclusivamente nelle quattro ipotesi sopra riassunte, è spiegata contro l’evidenza . Si tratta in fin dei conti di una censura palesemente diretta a rimettere in discussione l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito»;
in ordine alla seconda censura, ha ritenuto che la stessa fosse «diretta a  rimettere  in  discussione  un  accertamento  operato  dal  consulente tecnico d’ufficio e motivatamente recepito, previo diniego di accoglimento  del  relativo  motivo  di  appello,  da  parte  della  corte territoriale,  censura,  dunque,  del  tutto  estranea  al  novero  di  quelle spendibili con il ricorso di cui all’articolo 360 c.p.c. »;
 il  Collegio  condivide tali  considerazioni, non investite da specifiche critiche nell’istanza di opposizione;
 per  le  suesposte  considerazioni,  pertanto,  il  ricorso  va  dichiarato inammissibile;
 le  spese  del  giudizio  seguono  il  criterio  della  soccombenza  e  si liquidano come in dispositivo;
poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma,  cod.  proc.  civ.  (cfr.  Cass.,  Sez.  Un.,  13  ottobre  2023,  n.
28540);
-la ricorrente va, dunque, condannato, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi  in  euro  7.800,00, oltre  che  al  pagamento  dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore dell’AVV_NOTAIO, procuratore dichiaratosi antistatario,  in  complessivi  euro  7.800,00,  oltre  rimborso  forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 7.800,00 in  favore  della  parte  controricorrente  e  dell’ulteriore  somma  di  euro 2.500,00, in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da  parte della  ricorrente ,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025.
Il Presidente