Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32709 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32709 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: usucapione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13796/2020 R.G. proposto da COGNOME COGNOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME in qualità di unica erede di COGNOME NOMECOGNOME e COGNOME NOMECOGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME MULTINEDDU NOME MULTINEDDU NOME COGNOME NOME COGNOME NOME MULTINEDDU NOME in qualità di eredi di COGNOME NOME COGNOME NOME E NOMECOGNOME
-intimati –
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Sassari n. 416/2019, pubblicata il 13/9/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Ai fini della migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, integrata con gli elementi risultanti dal ricorso.
COGNOME NOME, cui succedette, in seguito al suo decesso nelle more del giudizio, COGNOME NOME, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Tempio Pausania, COGNOME NOME, dante causa di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché, da una parte, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, e, dall’altra, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, onde ottenere l’accertamento e la dichiarazione di avvenuto acquisto della proprietà per usucapione, ai sensi degli artt. 1158 e ss. cod. civ., dei terreni siti in Santa Teresa di Gallura, località Terra Vecchia, in catasto al fg. 3, mappali 146, 384 ( ex 146 sub 1), 819, 820, 821, 822, 823, 824, 825, 833, 834, 857, 858, 859, 860, sostenendo di averli posseduti in modo pubblico, ininterrotto e pacifico fin dal 1965 attraverso lo svolgimento delle attività di coltivazione e di allevamento del bestiame e di essere diventato intestatario nel 1965 e nel 1983 dei terreni confinanti, distinti in catasto al Fg. 3, mapp. 299, 493 e 541.
Costituendosi in giudizio, COGNOME NOME, come detto dante causa di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eccepì che COGNOME NOME, suo dante causa, aveva acquistato il bene conteso unitamente agli altri convenuti per utilizzarlo a fini edificatori, che
tutti i comproprietari si erano attivati presso il Comune di Santa Teresa di Gallura perché lo stesso venisse incluso nel programma di fabbricazione, inserendolo in zona F; avevano incaricato il padre di NOME, COGNOME NOME, ad impiantarvi pini; avevano autorizzato i Sardo a utilizzarlo purché non danneggiassero le piante esistenti; e avevano incaricato, nel 1980, il geom. COGNOME di effettuare il relativo frazionamento, approvato poi dall’Ute di Sassari il 10/8/1980; e che, nel 1982, l’ESAF aveva notificato a Multineddu Salvatore il decreto di esproprio per la realizzazione di una condotta idrica, mentre il Comune aveva incluso il bene nella zona F.
Si costituirono anche COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, affermando che il bene era stato acquistato, assieme ad altri, da COGNOME NOME, era rimasto incolto nel periodo 1972-1992 ed era stato oggetto di programma di investimenti per la realizzazione di un complesso alberghiero e che, in ragione di ciò, il proprietario vi aveva fatto svariati sopralluoghi unitamente ad alcuni tecnici, e chiedendo, in via riconvenzionale, previo accertamento della piena ed esclusiva proprietà del terreno in capo a loro, la condanna di Sardo al suo rilascio.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME si costituirono anch’essi in giudizio, eccependo che il terreno era stato da loro acquistato nel 1975, che nel periodo 1975-1981 i proprietari avevano dato incarico al geom. COGNOME di occuparsi del suo frazionamento onde procedere alla sua divisione, che nel 2005 lo COGNOME, anche a nome degli altri convenuti, aveva contattato tale COGNOME per il reperimento di potenziali acquirenti e che il bene, in tutto questo periodo, era rimasto incolto, e chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento della proprietà del bene in capo ai convenuti e la condanna del Sardo al suo rilascio.
Con sentenza n. 529/2014 del 24/07/2014, depositata il 24/07/2014, il Tribunale di Tempio Pausania rigettò le domande proposte da NOME NOME e NOME e quelle riconvenzionali dei convenuti, ritenendo che i primi non avessero provato di avere usucapito il bene e i secondi di esserne proprietari.
Il giudizio di gravame, incardinato da COGNOME NOME, si concluse – nella resistenza di Ormezzano NOME e Ormezzano NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che proposero anche appello incidentale, e COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che aderirono alla domanda proposta dal COGNOME, senza contestare l’usucapione, e nella contumacia di COGNOME NOME e COGNOME NOME – con la sentenza n. 416/2019, pubblicata il 13/9/2019, con la quale la Corte d’Appello di Cagliari -Sezione distaccata di Sassari, rigettò l’appello proposto da COGNOME NOME e quello incidentale proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giovanni, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, sostenendo, per quanto qui interessa, che gli appellanti incidentali, che potevano vantare un titolo di acquisto nel quale la propria dante causa risultava avere a sua volta acquistato per usucapione, non avessero assolto alla probatio diabolica , dimostrando di avere usucapito a loro volta il bene, non potendosi considerare atti di possesso i sopralluoghi svolti sull’area tra il 1975 e il 1997, la lettera inviata da COGNOME NOME allo studio M per la realizzazione di un complesso alberghiero e la lettera inviata a Stornello da tale COGNOME nel 2005 per comunicare il proprio interesse all’acquisto.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di unica erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Nicola, in
qualità di eredi di NOME COGNOME, propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Considerato che :
1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione dei principi giuridici elaborati dalla giurisprudenza con riguardo all’onere probatorio gravante su colui che agisce per ottenere l’accertamento della proprietà di un bene in via riconvenzionale, per avere i giudici di merito affermato che non vi fosse attenuazione dell’onere probatorio in capo agli appellanti incidentali, che, in via riconvenzionale, avevano agito per ottenere l’accertamento della proprietà del bene, in quanto il Sardo aveva allegato di esserne nel possesso dal 1965, mentre i convenuti avevano prodotto i rispettivi atti di acquisto sottoscritti nel 1975 e nel 1981. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici avevano fondato la decisione su un dato fattuale errato, in quanto avevano dato per provato il possesso del bene da parte del Sardo fin dal 1965, benché la relativa domanda fosse stata respinta proprio per la mancata dimostrazione di questa circostanza e benché in quegli anni, ossia dal 1944 al 1974, fosse stata la sig.ra COGNOME a possedere il fondo, né avevano considerato che la domanda di mero accertamento della proprietà del bene non richiede la probatio diabolica , come quella di rivendicazione, ma solo l’allegazione del titolo del proprio acquisto quando la richiesta non sia finalizzata ad una modifica dello stato di fatto, ma alla sola
eliminazione di uno stato di incertezza sulla legittimità del potere di fatto sulla cosa, che gli stessi attori non avevano mai contestato il loro titolo di proprietà, avendoli correttamente evocati in giudizio, e che il rigore probatorio di chi agisce in rivendica è attenuato dalla proposizione della domanda riconvenzionale di usucapione da parte del convenuto, quando sia mancata la contestazione sulla originaria intestazione del bene.
Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1470, 2908 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione della giurisprudenza riguardo alla validità dell’atto di trasferimento dell’immobile, per avere i giudici di merito ritenuto che il titolo di proprietà della dante causa degli appellanti incidentali, COGNOME NOME non fosse idoneo a trasmettere la proprietà, in quanto fondato sull’affermazione, contenuta negli atti, dell’acquisto del bene per usucapione non giudizialmente accertata, e ad essere opposto a terzi, con conseguente inefficacia dell’atto pubblico del 10/3/1981, col quale gli acquirenti aveva proceduto alla divisione del mappale 146, e insussistenza del loro titolo ad ottenere il rilascio dei fondi. I ricorrenti hanno, sul punto, obiettato di avere, invece, dimostrato la proprietà dei beni attraverso la produzione in giudizio dei titoli propri e della propria dante causa, sostenendo che, per concorde giurisprudenza di legittimità, colui che acquista la proprietà per usucapione del bene può validamente disporne, essendone divenuto proprietario, senza necessità di un accertamento giudiziale sul punto, stante anche la natura dichiarativa della relativa sentenza.
Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto
inapplicabile l’attenuazione dell’onere probatorio, avendo il COGNOME affermato di avere posseduto nel 1964 ed essendo i titoli degli appellanti principali successivi a tale data, e avere ritenuto non provato il possesso per il tempo utile all’usucapione degli appellanti incidentali, benché questi non avessero proposto alcuna domanda di usucapione.
4.1 I primi tre motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, vertendo tutti sull’onere probatorio gravante su chi agisce con azione di accertamento volta ad ottenere il rilascio del bene, sono fondati.
Occorre innanzitutto chiarire come, differentemente da quanto sostenuto dai ricorrenti, l’azione di accertamento della proprietà e quella di rivendicazione, esercitate da chi non è nel possesso del bene, non divergono affatto rispetto all’ampiezza e rigorosità della prova sulla spettanza del diritto, essendo entrambe azioni a contenuto petitorio dirette al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene (vedi Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; si veda anche Cass. n. 1481/1973), diversamente da quanto accade per l’azione di accertamento esercitata da chi è nel possesso del bene, tendendo essa non già alla modifica di uno stato di fatto, ma soltanto all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; Cass., Sez. 2, 29/3/1976, n. 1122; Cass., Sez. 2, 5/5/1973, n. 1182; Cass., Sez. 2, 9/10/1972, n. 2957).
Soltanto in quest’ultimo caso l’attore è soggetto a un minore onere probatorio, in quanto è tenuto ad allegare e provare
esclusivamente il proprio titolo di acquisto, ma non anche i vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 4/12/1997, n. 12300; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621), mentre con l’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. e con quella di accertamento in assenza di possesso, quand’anche non accompagnate dalla domanda di rilascio (in questi termini Cass., Sez. 2, 7/4/1987, n. 3340), è imposto all’attore di fornire la c.d. probatio diabolica della titolarità del proprio diritto – che costituisce un onere da assolvere ogniqualvolta sia proposta un’azione fondata sul diritto di proprietà tutelato erga omnes -, dimostrando il titolo di acquisto proprio e dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario ovvero il compimento dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit.; Cass., Sez. 2, 19/1/2022, n. 1569; Cass., Sez. 2, 10/9/2018, n. 21940; Cass. n. 1210/2017; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 2, 13/8/1985, n. 4430; Cass., Sez. 2, 2/2/1976, n. 330; Cass., Sez. 2, 13/3/1972, n. 732), L’assolvimento di tale rigoroso onere probatorio può avvenire con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, ma anche mediante un consulente tecnico (purché, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica) o mediante le risultanze dei registri catastali, le quali, pur non valendo a dimostrare con precisione la proprietà di un immobile, sono tuttavia utilizzabili dal giudice di merito come indizi suscettibili di convincimento, se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa (Cass., Sez. 2, 14/4/1976, n. 1314; vedi anche Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit., Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 24/6/1971, n. 2000).
Il suddetto rigore dell’onere probatorio, peraltro, non può che stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, sicché il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti secondo la linea difensiva adottata dal convenuto (Cass., Sez. 6-2, 19/1/2022, n. 1569), non nel senso che la mancata dimostrazione dell’usucapione da parte di quest’ultimo esoneri l’attore in rivendicazione dall’onere di provare il proprio diritto, ma nel senso che detto onere resta attenuato allorché il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere, ma non anche quando questi si limiti a dedurre un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comportando questo alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865).
4.2 Nella specie, i giudici di merito, dopo avere premesso che gli appellanti incidentali avevano chiesto l’accertamento della piena proprietà delle particelle a ciascuno di essi intestate e la condanna del Sardo al loro rilascio e correttamente ricordato i principi sopra richiamati in ordine all’identità, sotto il profilo dell’onere probatorio, dell’azione di rivendicazione e di quella di accertamento, sono giunti a ritenere indimostrata la rivendicata proprietà, nonostante i titoli prodotti e debitamente descritti in sentenza, sulla base di un
triplice ordine di considerazioni, ossia ritenendo, per un verso, 1) che la comune dante causa degli appellanti incidentali non fosse proprietaria del terreno, avendo la stessa dichiarato, nell’atto del 28/2/1975 (di trasferimento della quota del 27,14% a Omezzano Franco, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e nell’atto del 10/3/1981 (di trasferimento della quota de 72,86% a Omezzano Franco e a COGNOME Salvatore), di esserlo in virtù di possesso pacifico e ininterrotto e senza opposizione da oltre trent’anni, in assenza di sentenza dichiarativa dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione, e non potendo considerarsi titolo l’atto di notorietà del 23/10/1974, con conseguente improduttività di effetti dell’atto di divisione del 10/3/1981; 2) per altro verso che non sussistessero neppure i presupposti per l’attenuazione dell’onere probatorio, avendo il Sardo dichiarato di essere al possesso del bene dal 1965, prima che venissero stipulati gli atti di cessione del 1975 e 1981; 3) per altro verso ancora, che non fosse stata dimostrata l’usucapione del bene, non potendosi considerare possesso le attività compiute dagli appellanti incidentali sul bene.
La prima considerazione è senz’altro errata.
Questa Corte ha, infatti, avuto modo di affermare in più occasioni che il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione non è affetto da nullità, anche se l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario (Cass., Sez. 2, 29/3/2018, n. 7853; Cass., Sez., 2, 5/2/2007, n. 2485), ciò in quanto l’acquisto per usucapione avviene ipso iure per il semplice fatto del possesso protratto per venti anni e la sentenza con cui viene pronunciato l’acquisto per usucapione del diritto ha natura meramente
dichiarativa e non costitutiva del diritto stesso (Cass., Sez. 2, 29/04/1982, n. 2717; Cass., Sez. 3, 21/10/1994, n. 8650).
Ciò comporta che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto inidoneo il titolo di proprietà della dante causa dei ricorrenti, avendolo individuato nell’atto notorio, richiamato negli atti di trasferimento del 1975 e del 1981, e non, come avrebbero invece dovuto fare, nell’acquisto per usucapione del bene, preceduto, peraltro, dall’atto pubblico del 26/2/1939, con il quale i fratelli COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano diviso, assieme a COGNOME NOME, di cui la dante causa dei ricorrenti, COGNOME NOME era figlia, i beni caduti in successione, ivi compreso il mappale 146, ad essi assegnato per la quota indivisa di 1/3 ciascuno.
La terza considerazione, da esaminare prima della seconda che viene così assorbita, non valuta, invece, il fatto che l’accertamento dell’usucapione da parte dei rivendicanti e, dunque, del possesso da essi esercitato sul bene non deve essere valutato allorché sia data dimostrazione, con qualsiasi mezzo, dei titoli di proprietà dei predetti e dei loro danti causa fino ad un acquisto a titolo originario, titoli che, nella specie, sono stati effettivamente allegati, attraverso la produzione in giudizio, come si evince dalla sentenza impugnata, dell’atto pubblico del 26/2/1939, con il quale i fratelli COGNOME NOME NOME e NOME avevano diviso i beni caduti in successione, ivi compreso il mappale 146, ad essi assegnato per la quota indivisa di 1/3 ciascuno; dell’atto pubblico del 28/2/1975, col quale COGNOME NOME, avente causa di NOME COGNOME, aveva dichiarato di essere proprietaria del mappale 146 per averne goduto il possesso per trent’anni, come da atto notorio del 23/10/1974, e trasferito la quota di 27,14% a Ormezzano Franco, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; dell’atto pubblico del 10/3/1981, col quale Azzigana
NOME aveva trasferito la quota del 72,86 % del predetto mappale 146 a Ormezzano Franco e Multineddu Salvatore, previo suo frazionamento; dell’atto pubblico del 10/3/1981 col quale tutti i predetti acquirenti avevano diviso il mappale, attribuendo a ciascuno di essi la quota divisa.
Ciò comporta la fondatezza delle censure.
Il quarto motivo, riguardante le spese, resta assorbito dall’accoglimento dei primi tre.
In conclusione, dichiarata la fondatezza dei primi tre motivi e l’assorbimento del quarto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Sassari -Sezione distaccata di Cagliari che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Sassari -Sezione distaccata di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 dicembre