Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18921/2021 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 59/2021 pubblicata in data 26/01/2021, n.r.g. 2066/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- RAGIONE_SOCIALE adìva il Tribunale di Latina per ottenere l’accertamento dell’indebito pagamento di retribuzioni in favore del suo dipendente COGNOME NOME e la condanna di quest’ultimo alla restituzione della complessiva somma di euro 28.257,92 oltre accessori, pagata in esecuzione della sentenza di primo grado, che aveva reintegrato il dipendente
OGGETTO:
pagamento
eseguito
in
esecuzione di sentenza di
primo grado – riforma della
sentenza
–
conseguenze
restitutorie
–
onere
probatorio
nel posto di lavoro. Al riguardo, d educeva che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 344/2004, aveva riformato la sentenza di primo grado di reintegrazione e rigettato l’impugnazione del licenziamento. Aggiungeva che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14113/2006 aveva rigettato il ricorso proposto dal COGNOME.
Precisava che pertanto erano divenute indebite le somme corrisposte per il periodo non lavorato decorrente dal licenziamento del 23/01/1997 sino al giorno dell’eseguita reintegrazione nel posto di lavoro.
2.- Nella contumacia del COGNOME il Tribunale rigettava le domande, ritenendo non provato l’avvenuto pagamento delle somme rivendicate in restituzione.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i cedolini paga prodotti dalla società non sono prova idonea del pagamento, poiché si tratta di documentazione predisposta unilateralmente dal datore di lavoro e sulla quale non vi è la sottoscrizione del lavoratore che attesti il ricevimento delle relative somme;
nessuna rilevanza ha l’indicazione dell’IBAN del conto corrente del lavoratore su tali cedolini, né l’indicazione della valuta, poiché manca ogni concreto riferimento all’effettiva operazione, come ad esempio l’indicazione del codice CRO del bonifico;
nessuna rilevanza ha la mancata contestazione, posto che il lavoratore è rimasto contumace in primo grado, sicché essa non è configurabile;
nessuna rilevanza ha il fatto che il lavoratore in sede stragiudiziale non abbia contestato l’avvenuto pagamento di quelle somme;
infondato è altresì il motivo relativo al mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, posto che la società non l’ha sollecitato, né ha chiesto di ordinare all’istituto di credito l’esibizione di documentazione bancaria attestante quei pagamenti, istanze avanzate in modo generico e quindi inammissibile per la prima volta in appello.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- A seguito di proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis c.p.c., la società ricorrente ha proposto istanza di decisione e poi ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, proposto senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. , la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto non configurabile la mancata contestazione dei pagamenti da parte del lavoratore. In particolare si duole del fatto che i giudici d’appello n on abbiano riconosciuto alla contumacia del lavoratore almeno un valore indiziario, da valutare unitamente ad altri elementi di prova e non abbiano considerato che in appello il lavoratore si era costituito e non aveva contestato quel pagamento.
Il motivo non tiene conto del principio di diritto, più volte espresso da questa Corte, secondo cui la ‘non contestazione’ presuppone la costituzione in giudizio della parte, sicché non è configurabile al cospetto di una contumacia. In particolare questa Corte ha più volte affermato che il principio di non contestazione presuppone un comportamento concludente della parte dunque costituita, sicché alla contumacia del convenuto non può riconnettersi la mancata contestazione dei fatti allegati dall’attore, dal momento che la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, non essendovi un onere in tal senso desumibile dal sistema (Cass. ord. n. 14372/2023; Cass. n. 461/2015; Cass. n. 14623/2009).
Il motivo è per il resto inammissibile, perché l’apprezzamento della valenza -probatoria o solo indiziaria -di un elemento appartiene al potere discrezionale del giudice del merito ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
Il motivo è infine inammissibile per difetto di autosufficienza, e quindi di specificità in violazione dell’art. 366 c.p.c., laddove la ricorrente omette di trascrivere o riportare i passi salienti della memoria difensiva di appello del
lavoratore, dalla quale trarre la asserita ‘non contestazione’ dell’avvenuto pagamento delle somme chieste in restituzione. Tale onere era tanto più necessario, poiché il controricorrente ha specificamente contestato questa circostanza (v. controricorso, p. 8).
2.- Con il secondo motivo, proposto senza indicarne la sussunzione in uno di quelli a critica vincolata imposti dall’art. 360, co. 1, c.p.c., la società ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 421, co. 2, e 210 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di esercitare i poteri istruttori ufficiosi ed omesso di ordinare l’esibizione della documentazione bancaria rilevante all’isti tuto di credito mediante il quale essa società aveva effettuato il pagamento.
Il motivo è inammissibile, perché non censura quella parte della motivazione, con cui i giudici d’appello hanno esattamente dato rilievo ostativo al fatto che la società non aveva avanzato in tal senso istanze al Tribunale. A questo riguardo va dunque ribadito che nel rito del lavoro, l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l’art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, quale caratteristica precipua del rito speciale, consente l’esercizio dei poteri ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverte (Cass. ord. n. 23605/2020).
Peraltro è vero che costituisce certo prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. ord. n. 16358/2024). Ma è altresì vero che deve trattarsi di prova ‘nuova’, ossia che vada ad aggiungersi in funzione integrativa a prove già prodotte in primo grado, e che sia prova ‘indispensabile’, ossia il cui esito
dimostrativo sia certo. Entrambe queste condizioni nella specie non ricorrono: come rilevato dai giudici d’appello, in primo grado nessun elemento di prova era stato offerto dalla società; inoltre l’ordine di esibizione, chiesto per la prima volta in appello, avrebbe avuto un esito incerto oppure solo in parte confermativo dell’asserito pagamento.
A i fini dell’ammissibilità dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. è, infine, necessaria la sua indispensabilità probatoria, requisito che non ricorre qualora -come nella specie -si tratti di documenti (come la ricevuta del bonifico bancario) ordinariamente nella disponibilità di chi ha eseguito il pagamento, salva la deduzione dell ‘incolpevole smarrimento o della distruzione per causa non imputabile, nella specie del tutto mancata.
3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
4.- La presente decisione è conforme alla proposta di definizione accelerata formulata dal Consigliere delegato, sicché trovano applicazione anche i commi 3^ e 4^ dell’art. 96 c.p.c. (art. 380 bis, ult. co., c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, oltre euro 4.000,00 a titolo di risarcimento del danno, nonché a pagare la somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data