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Onere probatorio lavoro subordinato: il caso del socio

Un socio-lavoratore ha perso in Cassazione la causa per il riconoscimento dei contributi. La Corte ha confermato l’onere probatorio lavoro subordinato a suo carico, stabilendo che le sole buste paga sono insufficienti a dimostrare la soggezione al potere direttivo del datore, specialmente in presenza di ruoli societari.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere probatorio nel lavoro subordinato: quando le buste paga non sono sufficienti

L’onere probatorio nel lavoro subordinato rappresenta una questione centrale in molte controversie legali, specialmente quando la figura del lavoratore si sovrappone a quella di socio dell’azienda. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia, chiarendo che la semplice produzione delle buste paga può non essere sufficiente a dimostrare la natura subordinata del rapporto. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, che era al contempo socio e in passato anche amministratore di una società a responsabilità limitata, si è visto negare dall’Istituto Previdenziale il riconoscimento di un periodo contributivo. L’Istituto riteneva che il rapporto di lavoro non fosse genuinamente subordinato. Il lavoratore ha quindi avviato una causa per ottenere il riconoscimento dei contributi versati dalla società e la conseguente riliquidazione della sua indennità di disoccupazione (NASPI).

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno respinto le sue richieste. I giudici di merito hanno sottolineato che, data la sua duplice qualifica di socio e lavoratore, spettava a lui l’onere di dimostrare la sua effettiva sottomissione al potere direttivo e di controllo altrui. Le prove fornite, limitate essenzialmente alle buste paga, sono state ritenute insufficienti, anche a fronte di alcune incongruenze, come la qualifica formale di ‘operaio’ a fronte di mansioni dichiarate di ‘direttore tecnico’.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita del caso, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile. La decisione si fonda su solidi principi procedurali e sostanziali, confermando la linea dei precedenti gradi di giudizio.

L’Onere probatorio del lavoro subordinato per il socio

Il punto cruciale della vicenda riguarda l’onere probatorio del lavoro subordinato. La Cassazione ha confermato che, quando un lavoratore è anche socio dell’impresa, non si può presumere la subordinazione. Al contrario, è proprio il lavoratore a dover provare, con elementi concreti e specifici, di essere stato soggetto al potere di eterodirezione. Questo significa dimostrare di aver ricevuto ordini specifici su orari, modalità e luogo della prestazione, e di essere stato soggetto al controllo disciplinare di un superiore gerarchico all’interno della compagine sociale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha basato la sua decisione su due argomenti principali.

In primo luogo, ha applicato il principio della cosiddetta “doppia conforme”. Poiché la sentenza della Corte d’Appello aveva confermato in toto la decisione del Tribunale, era preclusa al ricorrente la possibilità di contestare in Cassazione la valutazione dei fatti e delle prove. Il ricorso alla Suprema Corte, infatti, può vertere solo su questioni di legittimità (violazioni di legge) e non su un riesame del merito della causa.

In secondo luogo, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente valutato l’insufficienza delle prove. Le sole buste paga, in un contesto così complesso, non dimostrano l’effettiva soggezione del lavoratore. Mancavano elementi essenziali come testimonianze o documenti capaci di delineare un quadro di reale subordinazione, al di là dell’apparenza formale. L’assenza di specifiche deduzioni su orari, sede di lavoro e modalità di esercizio della prestazione ha reso la prova del tutto inadeguata.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per un socio-lavoratore, affermare e provare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato richiede uno sforzo probatorio ben maggiore rispetto a un lavoratore ‘esterno’. Non basta produrre documenti formali come un contratto o una busta paga. È indispensabile fornire prove concrete che dimostrino l’assoggettamento al potere direttivo di altri, superando la presunzione di autonomia che deriva dal ruolo societario. In assenza di tale prova rigorosa, il rischio è di vedersi negare importanti tutele previdenziali.

Chi deve provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato quando il lavoratore è anche socio della società?
L’ordinanza chiarisce che l’onere della prova grava sul lavoratore-socio. È lui che deve dimostrare con elementi di fatto concreti la sua effettiva soggezione al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un altro soggetto all’interno dell’azienda.

Le buste paga sono una prova sufficiente per dimostrare il lavoro subordinato?
No. Secondo la decisione, le buste paga da sole non costituiscono una prova sufficiente, specialmente in presenza di un ruolo societario del lavoratore e di incongruenze fattuali. È necessario fornire ulteriori elementi probatori che attestino l’effettiva subordinazione.

Cos’è la ‘doppia conforme’ e che effetto ha sul ricorso in Cassazione?
La ‘doppia conforme’ si verifica quando la sentenza della Corte d’Appello conferma integralmente la decisione del Tribunale di primo grado. In base alla legge processuale, questo preclude la possibilità di contestare in Cassazione la valutazione dei fatti, limitando il ricorso alle sole questioni di violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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