Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18880 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18880 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21355-2022 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 554/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/07/2022 R.G.N. 809/2021;
Oggetto
Accertamento lavoro subordinato a
fini contributivi
R.G.N. 21355/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bologna respingeva l’appello proposto da NOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 612/2021, che aveva rigettato la sua domanda nei confronti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, volta a: se ntire dichiarare che egli aveva diritto a vedersi riconosciuti contributi previdenziali versati regolarmente dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per gli anni illegittimamente esclusi nel computo generale dall’RAGIONE_SOCIALE, ovvero dall’1.8.2015 al 30.6.2018, e condannare l’istit uto a riconoscere i contributi inerenti detto periodo e a corrispondere i supplementi sui ratei arretrati dovuti in esito alla riliquidazione con interessi come per legge, oltre alla corretta corresponsione della dovuta disoccupazione denominata NASPI non correttamente erogata.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale considerava che, in base ai principi di diritto premessi in base ai precedenti di legittimità richiamati, stante la qualifica di socio della società e il già rivestito ruolo di amministratore della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, gravava sul NOME dimostrare la natura subordinata del rapporto intercorso, ma che nessun utile elemento probatorio era stato peraltro allegato o fornito per raggiungere la predetta prova, e che nessuna specifica allegazione quanto all’atteggi arsi del rapporto era stata portata dal COGNOME, che sotto il profilo documentale si era limitato a produrre le buste paga inerenti il rapporto stesso; riteneva, però, che tali documenti non apparivano utili alla dimostrazione
della reale natura del rapporto in questione, richiamando in tal senso ulteriori precedenti di legittimità.
2.1. Rilevava, inoltre, che nessun ulteriore elemento di prova risultava speso per lumeggiare la natura del rapporto intercorso atteso che si indicava come svolta dal COGNOME la mansione di direttore tecnico, circostanza, peraltro, apparentemente in contrasto con il dato formale evincibile dalle buste paga che indicano la qualifica di operaio; e che nessuna richiesta di prova dichiarativa era stata formulata per indicare le modalità in cui il rapporto si era dipanato e segnatamente per far emergere la subordinazione.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Ha resistito l’istituto intimato con controricorso.
La Presidente delegata ex art. 380 bis c.p.c. novellato, con atto depositato il 27.10.2023, ha proposto la definizione del ricorso per cassazione nel senso della sua inammissibilità.
Con atto depositato telematicamente il 7.12.2023, il difensore del ricorrente ha chiesto di disporre la decisione del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Osserva il Collegio che nella cennata proposta in data 27.10.2023 si è ritenuto ‘ che il motivo di ricorso è inammissibile alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui lo schema normativo dell’art. 2094 cod. civ. richiede come elemento essenziale e indefettibile del rapporto di lavoro subordinato la soggezione personale del prestatore al potere
direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non soltanto al suo risultato (cfr. Cass. 27.2.2007 n. 4500); che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo; che costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in questa sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica dell’integrazione del detto parametro normativo (cfr. Cass. n. 24423/2022; Cass. n. 35675/2021); che, nel caso di specie, tanto il giudice di primo grado quanto la corte d’appello hanno esaminato gli elementi istruttori in atti, e in particolare le buste paga, escludendo la loro sufficienza e idoneità a dimostrare l’effettività del rapp orto ed il suo concreto atteggiarsi, e segnatamente la sottoposizione del ricorrente a eterodirezione, in mancanza di specifiche deduzioni circa gli orari, la sede di lavoro, le modalità di esercizio della prestazione, e a fronte, invece, della accertata qualità di socio del lavoratore e del ruolo di amministratore rivestito, oltre ad alcune discrasie riguardanti le stesse mansioni svolte (di direttore tecnico, in contrasto con dato formale evincibile dalle buste paga che indicavano la qualità di operaio); che, in particolare, le buste paga non offrivano la prova dell’effettiva dazione di un compenso periodico, considerato che i due bonifici in atti non indicavano neppure le mensilità di eventuale afferenza; che alla luce di tale motivazione non si ravvisa alcuna violazione di legge né l’omesso esame denunciato, oltre tutto inammissibile
versandosi in un’ipotesi di cosiddetta ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter c.p.c.’.
Ritiene il Collegio di dover senz’altro definire il giudizio in conformità alla su riportata proposta.
Il motivo di ricorso, formalmente unico, fa riferimento cumulativamente alle ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, n. 3) e 5), c.p.c. (cfr. pag. 8 del ricorso) ed è rubricato come segue: ‘Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su l’unic o punto decisivo della controversia inerente al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e dei contributi previdenziali debitamente versati ed inerenti al 01.08.2016 al 30.06.2018 ed errata valutazione della ripartizione dell’onere probatorio’.
Il n. 5) del comma primo dell’art. 360 c.p.c., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. n. 83/2012, conv. con mod. nella l. n. 134/2012, recita: ‘per omesso esame circa un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discus sione tra le parti’.
4.1. Ebbene, il motivo in esame, pur facendo riferimento appunto (anche) all’art. 360, comma primo, n. 5), cit. – a prescindere dal rilievo che non è allineato alla su riportata formulazione di tale norma -, come esattamente rilevato nella proposta di defi nizione anticipata, s’imbatte nella preclusione di cui al combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art. 348 ter c.p.c., in caso di c.d. ‘doppia conforme’, essendo la sentenza d’appello qui oggetto di ricorso integralmente confermativa di quella di primo grado.
Dal punto di vista, poi, del mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., cui pur sembra riferirsi il ricorrente,
la censura in esame, nella su riportata rubrica, fa riferimento ad una ‘errata valutazione della ripartizione dell’onere probatorio’, e solo alla fine dello sviluppo della stessa si accenna ad una violazione dell’art. 2697 c.c. (cfr. alla fine di pag. 15 del ricorso).
5.2. In ogni caso, il ricorrente neppure chiarisce perché i giudici del merito avrebbero illegittimamente invertito l’onere della prova in violazione dell’art. 2697 c.c.; e piuttosto nello svolgimento della sua censura, al di là di una serie di non pertine nti richiami giurisprudenziali, si assume che ‘l’intero giudizio di secondo grado si basa su di un chiaro errore interpretativo, dovuto ad una superficiale lettura degli atti e documenti di causa’ (così a pag. 14 del ricorso).
Anche a riguardo, perciò, restano condivisibili le considerazioni svolte nella proposta di definizione anticipata.
In definitiva, in conformità alla suddetta proposta, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto. Inoltre, ai sensi dell’art. 380 bis, ult. comma, c.p.c. novellato, siccome il giudizio di legittimità viene definito in conformità alla proposta di cui sopra, devono essere applicati il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. nei termini specificati in dispositivo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge; condanna, altresì, il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, della somma di € 2.000,00, ex art. 96, comma terzo, c.p.c., ed al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di € 2. 500,00, ex art. 96, comma quarto, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del