Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30739 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30739 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30569-2020 proposto da:
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1970/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/08/2020 R.G.N. 576/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
R.G.N. 30569/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, che, per quanto qui rileva, aveva parzialmente accolto la domanda del lavoratore NOME COGNOME volta a ottenere il riconoscimento di mansioni superiori e il pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario e altre spettanze contrattuali.
La Corte ha osservato che la documentazione e le prove fornite dal lavoratore non erano sufficienti a dimostrare con certezza lo svolgimento di orari di lavoro superiori rispetto a quanto previsto dal contratto, risultando, in particolare, le testimonianze acquisite riferite ad un periodo di tempo limitato e contraddittorie, inidonee a fornire una ricostruzione precisa degli orari di lavoro effettivamente svolti.
Per la cassazione della predetta sentenza, propone ricorso il COGNOME con 6 motivi, cui resiste con controricorso la società datrice di lavoro; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, COGNOME NOME deduce, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., l’omessa pronuncia e la motivazione ‘figurativa e meramente apparente’, che avrebbe reso la corte, in violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., nonché in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello, nell’affermare che i testi non avevano piena cognizione dei fatti di causa a causa della loro limitata presenza sul luogo di lavoro, avrebbe errato,
poiché le dichiarazioni erano dettagliate ed estese; in particolare dalla deposizione del testimone COGNOME ex dipendente della società, che aveva riferito “ho lavorato per la pizzeria della società convenuta eseguendo mansioni di cameriere di sala dal 2013 (ma all’epoca solo i festivi) e fino al 2015 “, si poteva evincere che avesse lavorato nei weekend solo nel 2013 e non già per tutta la durata del rapporto lavorativo.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., l’omessa pronuncia e la motivazione apparente, nonché in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo. Sostiene che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto le deposizioni dei testi poco precise, non idonee a giustificare nemmeno parzialmente l’accoglimento della domanda , mentre erano adeguate a provare l’effettiva articolazione oraria del lavoro svolto.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nuovamente in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., l’omessa pronuncia, la motivazione apparente e l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5. Sostiene, in particolare, che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente affermato che le deposizioni dei testi erano apodittiche e confusionarie, non permettendo una ricostruzione precisa degli orari lavorativi. La sentenza avrebbe trascurato le prove testimoniali e documentali che corroboravano la domanda del ricorrente.
Con il quarto motivo, il ricorrente deduce nuovamente in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c., l’omessa pronuncia e la motivazione apparente, e, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, affermando che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere contraddittoria la valutazione probatoria operata dal giudice di primo grado. In
particolare, il ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe adeguatamente considerato le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME i quali avevano descritto con precisione l’orario di lavoro e le mansioni effettivamente svolte dal ricorrente.
Con il quinto motivo nuovamente deducendo l’omessa pronuncia, la motivazione apparente e l’omesso esame di un fatto decisivo sostiene che la Corte d’Appello, nel ritenere che i pizzaioli si alternassero nei turni e che non fosse possibile determinare con certezza che fosse proprio il ricorrente a svolgere un orario prolungato, avrebbe errato, poiché non avrebbe adeguatamente considerato le prove testimoniali e si sarebbe limitata a supposizioni prive di fondamento.
Con il sesto motivo nuovamente deducendo l’omessa pronuncia, la motivazione apparente e l’omesso esame di un fatto decisivo sostiene che la Corte non avrebbe considerato le fotografie dei turni di lavoro presentate come prova dal ricorrente, ritenendole inidonee senza fornire una motivazione adeguata (poiché privi di sottoscrizione e di data certa). La Corte, inoltre, non avrebbe correttamente valutato le testimonianze e i fogli di presenza, che avrebbero dimostrato la veridicità della ricostruzione del lavoratore.
In particolare, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello ha considerato attendibili le testimonianze dei testi della parte resistente, che, secondo il ricorrente, non erano credibili.
Il ricorso, formulato con la articolazione di sei motivi ripetitivi e in parte sovrapponibili, è inammissibile. In sostanza, pur deducendo sei distinti motivi, sub specie di omessa pronuncia e motivazione meramente apparente e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, il ricorrente propone una diversa valutazione delle prove, introducendo doglianze di merito.
7.1. Esaminando preliminarmente le doglianze con cui si censura il profilo della motivazione apparente, il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente valutato le testimonianze dei testi COGNOME e COGNOME. Inoltre, viene contestata l’erronea valutazione delle prove documentali, incluse fotografie e fogli di presenza, che avrebbero corroborato la tesi del ricorrente.
Si critica, inoltre, la maggiore attendibilità riconosciuta dalla Corte alle testimonianze dei testimoni della parte resistente (COGNOME e COGNOME), ritenute dal ricorrente parziali e poco credibili per via dei rapporti lavorativi e personali che li legavano alla società convenuta. Tali valutazioni sarebbero prive di una motivazione adeguata e fondate su supposizioni non suffragate da elementi concreti.
Tuttavia, non pare a questa corte che la motivazione resa dalla Corte di appello possa essere considerata apparente o integrare una omessa pronuncia. Al contrario essa dimostra una adeguata valutazione del materiale probatorio.
Questa corte ha chiarito, ormai in epoca risalente, anche a Sezioni unite (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) che l’anomalia della motivazione, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; che si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché
essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’ (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); in ossequio si è affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) ovvero che è nulla per mancanza -sotto il profilo sia formale che sostanziale -del requisito di cui all’art. 132, comma 1, n. 4), c.p.c., la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass. n. 7402 del 2017.
Tali vizi o carenze non ricorrono nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso logico seguito dalla Corte territoriale nella motivazione.
Ed infatti, la Corte di appello, ripercorrendo le deposizioni dei testi introdotti dal ricorrente (in particolare COGNOME e COGNOME) ha posto in rilievo, prima di tutto, la loro conoscenza del tutto limitata dei fatti, derivante dalla limitata presenza sul luogo di lavoro (solo due mesi per il COGNOME; solo il fine settimana per il COGNOME), evidenziando pure come le due testimonianze contenessero elementi contraddittori e la prova fosse generica e confusionaria. In particolare, la corte osserva, nel valutare la deposizione del teste COGNOME che costui ha riferito che i pizzaioli si alternavano e che il sabato lavoravano quattro pizzaioli, deducendo che, se i pizzaioli si alternavano era ben
possibile supporre che ognuno osservasse un turno escludendo, sulla base delle imprecise dichiarazioni raccolte, che potesse essere emersa la prova che il ricorrente e non un altro pizzaiolo (compresente il sabato) osservasse un orario più prolungato.
7.2. Esaminando poi le doglianze relative alla omessa valutazione di fatto decisivo, di cui all’art. 360 comma 1 c.p.c. n. 5, è opportuno richiamare preliminarmente i consolidati orientamenti di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) che hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato
un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
Poiché il motivo in esame risulta irrispettoso di tali enunciati, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, senza indicazioni adeguate relative al fatto storico la cui valutazione sarebbe stata omessa, lo stesso deve essere disatteso.
Nel caso di specie, infatti, il ricorrente dopo aver riportato le dichiarazioni testimoniali acquisite in giudizio in sostanza non concordando con la loro valutazione da parte della Corte, sembra indicare il fatto di cui sarebbe stato omesso l’esame nell’ ‘orario lavorativo’, poiché, nella sua prospettazione, la corte, pure avendo esaminato le testimonianze, considerandole contraddittorie, in definitiva avrebbe omesso di esaminare l’orario.
Ma, a ben vedere, tale censura si traduce in una inammissibile contestazione del potere discrezionale del giudice di merito nella valutazione della prova che, da lungo tempo, è stato chiarito da questa corte, non può essere contestato con parametro invocato (art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.). Ed infatti,
in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali. (ex multis Sez. 3 -, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022, Rv. 666679 – 05)
7.3. Quanto poi all’accertamento di lavoro straordinario, oggetto della domanda del lavoratore, questa corte ha in molteplici occasioni osservato come la prova dello straordinario deve essere rigorosa e puntuale.
Ed infatti, sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell’onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice. (ex multis Cass. n. 16150 del 19/06/2018, Cass. n. 4076 del 20/02/2018)
La Corte di Appello ha applicato i consolidati principi giurisprudenziali sulla ripartizione dell’onere probatorio in tema di lavoro straordinario, secondo cui ‘la prova dei fatti costitutivi della domanda di preteso lavoro straordinario è a carico del lavoratore ex art. 2697 c.c. e deve riguardare sia l’orario normale di lavoro, ove diverso da quello legale, sia la
prestazione di lavoro asseritamente eccedente quella ordinaria, nonché la misura relativa, quanto meno in termini sufficientemente concreti e realistici, affinché possa riconoscersi il diritto alla corresponsione delle maggiorazioni retributive a titolo di straordinario, indennità per ferie non godute o risarcimento del danno per riposi compensativi non goduti, senza possibilità per il giudice di determinarla equitativamente’ (Cass. n. 12434/2006, Cass. n. 3619/2007, Cass. n. 9000/2001, Cass. n. 2241/1987)
Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
In ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2500, 00 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 24 settembre 2024.
Il Presidente dott. ssa NOME COGNOME