Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12829 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
n. 12919/2019 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 19 settembre 2024
Oggetto: Contratto
d’opera
Pagamento
del
compenso.
sul ricorso (iscritto al n. 12919/2019 R.G.) proposto da:
COGNOME nato a Palermo il 2 novembre 1973 e residente in Thiene (VI), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME unitamente all’avv. NOME COGNOME del foro di Vicenza, che lo rappresenta e difende, giusta procura allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAIL ‘; indirizzo p.e.c. del domiciliatario : EMAIL );
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME nato a Fidenza (PR) il 7 marzo 1962 e residente in Vicenza, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE;
-intimato – avverso la sentenza n. 722/2018 della Corte d ‘ Appello di Venezia, pubblicata il 23 marzo 2018;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 19 settembre 2024, dal relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- NOME NOME con ricorso depositato in data 30.05.2002 avanti alla sezione lavoro del Tribunale di Vicenza, chiedeva la condanna del geom. COGNOME NOME al pagamento della somma di €. 14.719,02 (euro quattordicimilasettecentodiciannove/02), quale compenso e mancato guadagno relativo all’attività di collaborazione prestata dal ricorrente in favore del convenuto.
Il COGNOME nell’atto introduttivo del giudizio, chiariva che: – il Comune di Caldogno aveva incaricato il convenuto geom. COGNOME di procedere alla revisione della numerazione civica e dell’onomastica stradale del territorio comunale; – tale incarico si doveva svolgere in due fasi, di cui la prima prevedeva la ricognizione della numerazione esistente, l’elaborazione di proposte di modifica dell’onomastica e della numerazione e l’apposizione provvisoria della nuova numerazione civica, e la seconda contemplava l’affissione in via definitiva della nuova numerazione civica e l’aggiornamento, su supporto informatico, della rinnovata numerazione e onomastica comunale presenti nella Carta tecnica regionale; – il compenso previsto dal contratto d’appalto in favore del geom. COGNOME era pari a L. 47.500.000, oltre I.V.A.; – il COGNOME era stato incaricato dal geom. COGNOME di svolgere quella parte dell’incarico consistente nell’attività di rilevazione della numerazione esistente, di proposta delle variazioni onomastiche, di posizionamento della numerazione provvisoria e di applicazione di quella definitiva; – per l’esecuzione di tale incarico, il geom. COGNOME aveva promesso al COGNOME la metà del compenso previsto nel contratto, pari a L. 28.500.000 (compresa I.V.A.), vale a dire €. 14.719,02 (euro quattordicimilasettecentodiciannove/02); – per la traslazione su supporto informatico dei dati raccolti dal COGNOME, il geom. COGNOME si era invece affidato ad un altro collaboratore, il p.i. NOME Spagnolo; – il COGNOME, con l’aiuto di un suo collaboratore, tale COGNOME NOME, aveva quindi eseguito la rilevazione, proposto le variazioni onomastiche e apposto parte della numerazione provvisoria, prima di sospendere le operazioni su richiesta dell’amministrazione; – l’impegno profuso dall’attore era quantificabile in circa 8 – 10 ore quotidiane, dall’inizio del mese di agosto fino all’inizio di quello di novembre del 2001; – il geom. COGNOME, nei primi giorni di novembre del 2001, aveva contattato telefonicamente il COGNOME
lamentando che questi non avesse rispettato i tempi di consegna previsti dall’amministrazione comunale e dichiarando per tale ragione interrotta la collaborazione; – il COGNOME, con raccomandata a.r. del 17 dicembre 2001 inviata dal suo legale, aveva chiesto ragione dell ‘ improvvisa e immotivata interruzione della collaborazione, dichiarandosi pronto a proseguire nella propria opera; -il geom. COGNOME aveva replicato, con propria raccomandata a.r. del 18 dicembre 2001, che l’interruzione della collaborazione andava imputata al COGNOME il quale aveva omesso di censire molte strade e aveva dichiarato di non poter proseguire nell’incarico affidatogli, essendo stato assunto come dipendente presso un’azienda che gli richiedeva di effettuare delle trasferte all’estero.
Il COGNOME quindi, in forza dei fatti esposti, ribadiva di avere correttamente svolto l’incarico affidatogli e di non avere ricevuto, fino alla missiva del dicembre del 2001, alcuna contestazione da parte del geom. COGNOME e di non avere comunque mai ricevuto alcuna contestazione da parte dell’amministrazione comunale; negava di aver dichiarato al geom. COGNOME di non essere in grado di proseguire l’incarico affidatogli, precisando che egli aveva sospeso la propria opera solamente perché richiesto dalla stessa amministrazione comunale, la quale doveva procedere al Censimento generale. L’attore pertanto chiedeva la condanna del geom. COGNOME al pagamento del compenso nell’intera misura concordata, nonché del mancato guadagno derivante dall’ingiustificato recesso esercitato dal convenuto geom. COGNOME.
Il geom. COGNOME si costituiva in giudizio, contestando le richieste del COGNOME. In particolare, evidenziava che: – la controversia non poteva ritenersi soggetta al rito del lavoro, giacché il rapporto intercorso tra le parti non aveva il carattere della parasubordinazione; – il COGNOME era stato effettivamente incaricato dello svolgimento delle attività indicate nel ricorso e gli era stato promesso, a titolo di corrispettivo per detto incarico, la metà dell’importo pattuito con l’amministrazione comunale per lo svolgimento dell’incarico; – a settembre del 2001, il convenuto geom. COGNOME non avendo alcun aggiornamento da parte del sig. COGNOME circa lo svolgimento dell’incarico, l’aveva contattato telefonicamente, venendo così a conoscenza che il medesimo aveva accettato un impiego come dipendente presso un’azienda e quindi non intendeva proseguire
nell’incarico affidatogli; – il COGNOME, dopo tale telefonata, aveva cessato ogni attività di collaborazione e si era rifiutato di consegnare la documentazione relativa al lavoro già svolto; – in ragione dell’ingiustificato recesso del COGNOME, il geom. COGNOME si era visto costretto ad incaricare un altro collaboratore, il p.i. NOME COGNOME affinché sostituisse il COGNOME; – il p.i. COGNOME tuttavia, dopo aver constatato che il COGNOME aveva effettuato delle semplici ricognizioni sul territorio comunale e si era limitato ad annotare su bloc-notes i nomi dei residenti, era stato costretto anche a censire ex novo oltre 150 strade comunali.
Alla luce di tali fatti, il geom. COGNOME qualificava il rapporto intercorso con il COGNOME come contratto d’opera intellettuale, il quale era stato senza preavviso e ingiustificatamente interrotto dal COGNOME. Chiedeva, quindi, il mutamente del rito, il rigetto della domanda di pagamento del ricorrente e, in via riconvenzionale, la condanna del COGNOME alle somme che erano state sborsate a titolo di fideiussione per l’esecuzione dell’incarico e delle eventuali penali che l’amministrazione comunale gli avesse applicato per il ritardo nell’esecuzione dell’opera.
Il Tribunale di Vicenza disponeva il mutamento del rito, assegnando il procedimento alla sezione ordinaria. Quindi, ammesse ed assunte le prove testimoniali, con sentenza n. 695/2010, rigettava sia la domanda principale che quelle riconvenzionali e compensava interamente le spese di lite.
2.- Avverso la sentenza di primo grado, COGNOME NOME proponeva appello deducendo che la pronuncia era errata in punto di mancato accoglimento delle sue domande sul presupposto dell’errata valutazione della prova per testi, nonché della prova documentale e dell’effettiva esecuzione delle variazioni onomastiche oggetto dell’incarico affidato all’COGNOME che avrebbe dovuto essere realizzato, nell’accordo tra le parti, unitamente all’attore.
L’appellato NOME NOME rimaneva contumace .
Con la sentenza impugnata, la Corte d ‘ Appello di Venezia rigettava l’impugnazione e confermava la sentenza di primo grado .
A sostegno dell ‘ adottata pronuncia, la Corte territoriale rilevava, per quanto ancora di interesse in questa sede: a) che il giudice di primo grado nell’esaminare i fatti di causa, dopo aver condivisibilmente qualificato il
rapporto giuridico dedotto in giudizio quale prestazione d’opera materiale ai sensi dell’art. 2222 c.c., richiamando sul punto anche la disciplina dell’art. 2227 c.c. quanto all’ipotesi di recesso ed alle sue conseguenze in capo al committente ove non giustamente motivato, aveva, in maniera fondata, rigettato la domanda perché l’attore non aveva assolto all’ onere probatorio gravante a suo carico; b) che il giudice di prime cure, premessa la non contestazione circa l’esistenza del rapporto e circa gli accordi in ordine all ‘ esecuzione delle opere, alla divisione del lavoro e alla ripartizione del pagamento dovuto da parte del Comune, aveva stabilito che il recesso non era intervenuto da parte attrice, ma da parte convenuta e che il rapporto si era interrotto presumibilmente tra il novembre e il dicembre 2001, in base alle prove documentali e testimoniali; c) che, tuttavia, il giudice di prime cure aveva escluso che il convenuto COGNOME fosse tenuto al pagamento di quanto richiesto dal COGNOME, giacché quest’ultimo , a fronte dell’eccezione sollevata dall’COGNOME , non aveva fornito prova del proprio esatto adempimento ai sensi dell’art. 2227 c.c., come avrebbe dovuto, gravando sullo stesso il relativo onere probatorio; d ) che dall’analisi della prova per testi appariva avvalorata la tesi del convenuto per la quale il COGNOME aveva svolto attività meramente ricognitiva e non anche tutte le altre attività previste nell’incarico e verbalmente convenute tra le parti; e ) che nemmeno poteva ritenersi fondata la censura sollevata da ll’ appellante in ordine alla diminuita credibilità del teste COGNOME MicheleCOGNOME perché asseritamente portatore di interesse proprio in giudizio; f ) che su tale punto doveva tenersi conto che il teste COGNOME aveva ammesso di aver svolto, in quanto incaricato dall’COGNOME, le attività che avrebbe dovuto svolgere il COGNOME e che la documentazione consegnata era insufficiente e comunque non attestava le opere che il COGNOME assumeva di aver eseguito; g) che, anche con riguardo al testimone COGNOME escusso su indicazione del COGNOME e che aveva svolto l’attività ricognitiva in collaborazione quest’ultimo, si sarebbero potute svolgere le medesime considerazioni circa un eventuale interesse in giudizio, sicché, a fronte di due opposte emergenze probatorie, per le quali potevano assumersi in astratto le medesime considerazioni in ordine ad una presunta diminuita credibilità, doveva concludersi per l’esclusione dell ‘assolvimento dell’onere probatorio gravante a carico dell’attore ; h) che, infatti, la prova dell’adempimento, il
cui onere gravava a carico dell’attore, non poteva trarsi nemmeno dalla documentazione prodotta in giudizio; i) che, peraltro, l’attore – appellante nemmeno aveva chiarito quanta parte del lavoro affidatogli avrebbe svolto, prima dell’interruzione dei rapporti, sicché la domanda risultava infondata anche in punto di ‘ quantum debeatur ‘.
3.- Avverso tale sentenza, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
4.- NOME NOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’appello di Venezia omesso di pronunciarsi sui motivi d’appello formulati circa la valutazione della documentazione allegata sub 3) al fascicolo attoreo di primo grado.
2.- C on il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’appello di Venezia omesso di pronunciarsi sui motivi d’appello formulati circa la valutazione delle prove testimoniali di primo grado.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’appello di Venezia omesso di pronunciarsi sui motivi d’appello formulati circa la valutazione della documentazione allegata sub 1) al fascicolo attoreo di primo grado.
4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’appello di Venezia omesso di pronunciarsi sui motivi d’appello formulati circa la mancata applicazione degli artt. 1455 e 1460 c.c.
5.- Le predette censur e, senz’altro suscettibili di essere scrutinate congiuntamente in quanto palesemente connesse, sono inammissibili, poiché tutte tendenti a rimettere in discussione l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito.
Invero, come più volte affermato da questa Corte regolatrice, « In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del
giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali. » (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022, Rv. 666679-05).
In altri termini, come pure chiarito da questa S.C., sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 21187 dell’8 agosto 2019, Rv. 655229-01).
Nella specie, com’è agevole desumere dalla lettura e disamina de lle censure di cui si tratta (peraltro sviluppate nel ricorso in modo estremamente prolisso e farraginoso, tanto da occupare ben cinquantacinque pagine dello stesso), queste ultime si concentrano proprio sulla valutazione del compendio istruttorio compiuta dalla Corte territoriale , nonché sulla scelta operata da quest’ultima in ordine alle risultanze probatorie reputate utili ai fini della formazione del proprio convincimento.
La Corte di merito, infatti, lungi dall’incorrere in un’omessa pronuncia su uno dei motivi di appello indicati dal ricorrente, ha chiarito come, alla stregua della documentazione prodotta in giudizio e delle prove testimoniali assunte, non potesse ritenersi che il COGNOME avesse assolto all’onere probatorio concernente la dimostrazione dell’attività svolta e, dunque, del suo esatto adempimento.
Del resto, è appena il caso di rammentare il principio secondo cui al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice
d ‘ appello non sia tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 3126 del 9 febbraio 2021, Rv. 660547-01).
Peraltro, non è chi non veda come ulteriore profilo di inammissibilità di tali censure, nella misura in cui esse fanno riferimento alla documentazione prodotta in giudizio a sostegno della domanda di pagamento originariamente proposta dal COGNOME, sia rappresentato senz’altro dall’omessa trascrizione, nel ricorso, anche in maniera sintetica o attraversi i suoi passaggi essenziali, del contenuto di tali documenti, per la parte d’interesse, in osservanza del principio di autosufficienza del di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c.. Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo, impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza. » (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 21346 del 30 luglio 2024, Rv. 671835-01).
6.- Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Venezia adottato una motivazione meramente apparente.
Sostiene, al riguardo, che la Corte distrettuale avrebbe richiamato sommariamente e applicato l’identico percorso logico della sentenza di primo grado, senza premurarsi di tenere conto dei motivi di impugnazione che avevano investito quest’ultima .
7.- Con il sesto (e ultimo) motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., avendo la Corte
d’appello di Venezia adottato una motivazione manifestamente illogica in punto di attendibilità del testimone NOME COGNOME
Tale censura si concentra anzitutto sul passaggio della motivazione della sentenza impugnata, in cui testualmente si legge: « devesi sul punto tenere conto che sia il teste COGNOME ha ammesso di aver svolto, in quanto incaricato dall’COGNOME, le attività che avrebbe dovuto svolgere il COGNOME e che la documentazione consegnata era insufficiente e comunque non attestava le opere che il COGNOME assume di aver eseguito, e, allo stesso tempo, il teste di parte attrice COGNOME che ha riferito circostanze in merito, ha anch’egli svolto per conto ed in collaborazione con il COGNOME l’attività ricognitiva: dunque medesime considerazioni potrebbero essere assunte anche in relazione a detto teste, circa un eventuale interesse proprio in giudizio, sicché, davanti a due opposte emergenze probatorie, per le quali può assumersi in astratto la medesima considerazione in ordine ad una presunta diminuita credibilità, deve concludersi per l’esclusione della prova diretta dei fatti che l’attore non ha, evidentemente, fornito circa il proprio adempimento secondo l’indicata regola dell’inversione dell’onere della prova ».
Il ricorrente sostiene che, in base a tale passaggio, i due testimoni (cioè COGNOME e COGNOME), che avevano collaborato, su versanti opposti, con le due parti in causa, sarebbero entrambi sospetti di inattendibilità e quindi, in virtù della nota ripartizione dell’onere della prova, le deposizioni da essi fornite si eliderebbero a vicenda con conseguente soccombenza del COGNOME.
Tuttavia – afferma il ricorrente – « l’interesse in causa del p.i. Spagnolo non derivava, come dimostra di ritenere la Corte di Venezia, semplicemente dalla circostanza che egli avesse collaborato con il geom. COGNOME, quanto piuttosto dal fatto che il testimone aveva percepito anche quella parte di retribuzione inizialmente promessa al sig. COGNOME (circostanza questa da assumersi per pacifica; non essendo mai stata contestata da alcuno). Ne discendeva che, qualora l’istruttoria di causa avesse dimostrato che la rilevazione effettuata dal sig. COGNOME era stata eseguita correttamente, sarebbe risultato che era il medesimo sig. COGNOME ad aver diritto a percepire la somma di oltre 14.000 Euro di cui è causa; somma che quindi il geom. COGNOME avrebbe avuto diritto di ripetere dal
p.i. COGNOME. Il sig. COGNOME versava invece in una situazione completamente diversa, giacché, pur avendo collaborato con il sig. COGNOME, non aveva nessuna pretesa da avanzare o tutelare in giudizio rispetto al compenso promesso dal geom. COGNOME. Non solo, le dichiarazioni del sig. COGNOME certamente contrastano con quelle del sig COGNOME, ma concordano con quelle del sig. COGNOME. Va infine considerato che lo stesso Tribunale di Vicenza aveva dimostrato di non ritenere pienamente credibile il p.i. Spagnolo. » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alle pagg. 62 – 63).
In definitiva, alla stregua della prospettazione del ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata, in punto di attendibilità del testimone NOME risulterebbe pertanto palesemente insufficiente e comunque illogica, con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c., denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c..
8.- Le predette censure, senz’altro connesse e dunque suscettibili anch’esse di scrutinio congiunto, sono infondate.
Al riguardo, giova rammentare che, come chiarito sempre da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 650880-01, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza
della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, questa Corte, a sezioni unite, ha precisato che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico ‘ , nella ‘ motivazione apparente ‘ , nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘ , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 62983001).
Nel caso di specie, alcuna grave anomalia motivazionale risulta ravvisabile, perché, alla stregua delle considerazioni già sopra sviluppate, deve ritenersi che la Corte d’Appello di Venezia abbia congruamente motivato in relazione alle ragioni per le quali ha ritenuto che il COGNOME non avesse fornito dimostrazione del proprio esatto adempimento. In particolare, la Corte territoriale ha chiarito, con motivazione che risulta scevra da vizi logici, come, anche a voler ritenere una diminuita attendibilità del testimone NOME NOMECOGNOME in ragione del fatto che questi era colui che , dopo la rottura dei rapporti tra il COGNOME e l’COGNOME, aveva svolto , su incarico di quest’ultimo, le attività originariamente affidate al COGNOME, la medesima diminuita attendibilità doveva essere
riconosciuta a carico del testimone COGNOME NOMECOGNOME a causa del fatto che questi aveva collaborato direttamente con il COGNOME nello svolgimento di tali attività, cosicché, in presenza di due differenti versioni dei fatti suscettibili di elidersi a vicenda, doveva reputarsi che l’istante COGNOME NOME non avesse assolto all’onere probatorio gravante a suo carico a seguito dell’eccezione di inesatto adempimento sollevata, nel giudizio di primo grado, dall’COGNOME.
La Corte ha, pertanto, reputato maggiormente attendibile la versione dei fatti, emergente dalle risultanze istruttorie e specificamente allegata dall’COGNOME a sostegno della propria eccezione di non esatto adempimento, secondo cui il COGNOME si era limitato a svolgere attività meramente ricognitiva senza dare alcun seguito a tutte le ulteriori attività previste ai fini dell’incarico e che erano state verbalmente convenute tra le parti.
Peraltro, la censura di cui al sesto (e ultimo) motivo, in quanto si concentra sulle ragioni che avrebbero dovuto indurre la Corte distrettuale a reputare maggiormente attendibile la deposizione fornita dal teste COGNOME rispetto a quella del teste COGNOME, esibisce altresì un profilo di inammissibilità, infrangendosi contro il consolidato principio in base al quale « In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il ‘ peso probatorio ‘ di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato » (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 21187 dell’8 agosto 2019, Rv. 655229-01, nonché Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 12988 del 24 maggio 2013, Rv. 626694-01, secondo cui « In tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimità allorché sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia. »).
9.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev’essere senz’altro respinto.
10.- Non è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva.
11.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione