SENTENZA CORTE DI APPELLO DI TORINO N. 522 2025 – N. R.G. 00000777 2023 DEPOSITO MINUTA 13 06 2025 PUBBLICAZIONE 13 06 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte D’Appello di Torino
Prima sezione civile
nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 777/2023
promossa da:
RAPPRESENTATA DA
C.F.
),
con sede in Napoli, INDIRIZZO, in
persona del suo procuratore dott.ssa NOMECOGNOME in virtù di procura autenticata in atti , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMEC.F. ), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Torino, INDIRIZZO per procura speciale C.F. C.F.
allegata ex art. 83, 3° co., cpc, all’atto introduttivo
parte appellante
e contro
Geom. (C.F. ), in proprio nonché nella Sua qualità di legale rappresentante pro tempore della (P.I. ), tutti rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. con studio in Torino, INDIRIZZO già INDIRIZZO e presso lo studio del medesimo elettivamente domiciliati, per procura allegata ex art. 83, 3°co., cpc alla comparsa di risposta parte appellata C.F. P. C.F.
P.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per parte appellante:
‘Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello, respinta ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, in totale riforma della sentenza n. 4768/2022 del Tribunale di Torino, Giudice dott. NOME COGNOME resa tra le parti nel giudizio avente R.G. n. 28176/2018, pubblicata in data 07/12/2022 e non notificata IN VIA ISTRUTTORIA: – respingere tutte le istanze istruttorie ex adverso formulate; – disporre rinnovazione/integrazione di CTU tecnico -contabile per i motivi di cui alla presente citazione, nonché al verbale d’udienza del 24/02/2021 del giudizio di primo grado. NEL MERITO: respingere l’opposizione e tutte le domande ex adverso proposte e, per l’effetto, confermare la validità e l’efficacia del de creto ingiuntivo opposto n. 8611/18 emesso dal Tribunale di Torino in data 05/10/2018 per la somma di Euro 414.002,60, oltre agli interessi legali dal 18/06/2018 sino all’effettivo pagamento; – dichiarare, in ogni caso, tenuti e condannare la società e il signor al pagamento, in favore di della somma di Euro 414.002,60 – o somma veriore accertanda in corso di causa – oltre agli interessi legali dal 18/06/2018 sino all’effettivo pagamento. In ogni caso, con il favore del compenso professionale, per entrambi i gradi del giudizio ai sensi del DM n. 147/2022, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge ‘
Per parte appellata:
‘all’Ill.ma Corte d’Appello di Torino di voler: -accertare e dichiarare l’improcedibilità/inammissibilità della presente impugnazione, per i motivi tutti di cui in narrativa; rigettare con ogni statuizione l’appello per cui si discute e, per l’effetto, confermare la sentenza n. n. 4768/2022 del Tribunale di Torino; Il tutto per le ragioni esposte nelle presenti note e per tutte le ragioni di cui in atti, da intendersi espressamente richiamati. Ciò premesso, richiama integralmente le conclusioni già svolte, anche in ambito istruttorio ivi compresa l’integrazione del quesito formulato dal Giudicante. Con vittoria di diritti ed onor ari del presente grado di Giudizio d’Appello da distrarsi ai sensi dell’art 93 C.p.c. a favore dell’Avv. NOME COGNOME
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il fatto
La presente controversia trae origine dai rapporti bancari instaurati tra la società
e
personalmente, quale fideiussore, con
successivamente ceduto ad
attraverso operazione di
scissione parziale.
Oggetto di controversia erano due distinti contratti: un conto corrente ordinario numero 5544.96 aperto il 18 aprile 2011 presso la Filiale di Torino Agenzia numero 4 della e un rapporto di anticipazioni contro cessione di credito numero 68441212.49 aperto il 2 marzo 2012 per una linea di credito di Euro 500.000,00 utilizzabile per anticipazioni su fatture commerciali. Il signor aveva prestato
fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società sino alla concorrenza dell’importo massimo di Euro 612.000,00.
Il deterioramento del rapporto bancario si manifestò attraverso comunicazioni formali della Banca: lettera del 27 settembre 2017 con proposta di sistemazione, comunicazione del 28 maggio 2018 di revoca degli affidamenti e classificazione “a sofferenza”, e infine lettera del 21 giugno 2018 di intimazione di pagamento per Euro 414.002,60 derivante dal saldo passivo del conto corrente per Euro 120.461,29 e dal saldo passivo del rapporto anticipi per Euro 293.540,77.
2. Lo svolgimento del processo di primo grado
Il procedimento ebbe inizio con il decreto ingiuntivo numero 8611/2018 emesso dal Tribunale di Torino in data 5 ottobre 2018 per Euro 414.002,60 oltre interessi e spese processuali.
L’opposizione venne proposta con atto del 4 dicembre 2018, con richieste di accertamento dei vizi dell’ingiunzione, riquantificazione mediante CTU degli importi dovuti, e revoca del decreto per contestazioni relative a tassi oltre soglia, anatocismo e illegittimo addebito di commissioni.
Esperita infruttuosamente la mediazione, con ordinanza del 9 settembre 2020 veniva disposta CTU contabile affidata al dott. . L’elaborato peritale, depositato il 17 febbraio 2021, ricostruiva il saldo del conto corrente formulando diversi scenari alternativi, riscontrando usura in 3 dei 29 trimestri analizzati.
Nelle more del giudizio, si costituiva ex art. 111 cpc, dando atto di essere divenuta titolare del portafoglio crediti attraverso operazione di scissione parziale perfezionata con atto del 25 novembre 2020.
All’udienza del 12 ottobre 2022 le parti precisavano le conclusioni e il Giudice tratteneva la causa a decisione.
3. Decisione oggetto dell’impugnazione
La sentenza numero 4768/2022 del Tribunale di Torino, pubblicata il 7 dicembre 2022, in parziale accoglimento dell’opposizione, ha definito la controversia, revocando il decreto ingiuntivo opposto e dichiarando tenute e condannando le parti attrici opponenti, in via solidale tra loro, a pagare alla convenuta opposta la somma di Euro 222.658,07 oltre agli interessi di legge dal 18 giugno 2018 al saldo, rigettato le altre domande ed eccezioni proposte dalle parti, compensate per il 50% le spese di lite e restanti a carico di parte opponente, secondo parziale soccombenza
In via preliminare, il Tribunale rigettava l’eccezione proposta da parte convenuta opposta circa l’indeterminatezza e genericità delle domande dedotte da parte attrice opponente, ritenendo che nell’atto di citazione fosse stato sufficientemente delineato il petitum e la causa petendi relativa all’azione. Analogamente, veniva rigettata l’eccezione di decadenza dell’attrice dai diritti fatti valere in giudizio per mancata contestazione degli estratti di conto corrente, richiamando il consolidato insegnamento della Suprema Corte secondo cui l’approvazione anche tacita dell’estratto conto non impedisce di sollevare contestazioni
ed eccezioni fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità dell’inclusione o eliminazione di partite del conto.
Nel merito, con riguardo alla questione -sollevata dagli opponenti -di nullità del contratto di fideiussione per violazione della normativa antitrust, il Tribunale, dopo aver ricostruito il quadro normativo relativo alle intese restrittive della concorrenza e il provvedimento della Banca d’Italia numero 55 del 2 maggio 2005 concernente lo schema di fideiussione predisposto dall’ABI, altresì richiamata la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 41994 del 30 dicembre 2021 che aveva affermato il principio secondo cui i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante sono parzialmente nulli solo in relazione alle clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, rigettava alfine la domanda. Il giudice di prime cure affermava infatti l’insufficienza del mero richiamo ai principi giuridici per eccepire la nullità della fideiussione, occorrendo invece allegare che le disposizioni convenute contrattualmente coincidessero con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, circostanza non riscontrabile nel caso concreto.
Quanto ai rapporti bancari oggetto di causa, il Tribunale, attraverso motivata condivisione degli esiti della CTU, preliminarmente accertava che il credito ingiunto dalla banca traeva origine dal saldo passivo del conto corrente numero 5544.96 per Euro 120.461,29 e dal saldo passivo del rapporto anticipi su fatture numero 68441212.49 per Euro 293.540,77 e, per quanto riguarda il rapporto anticipazioni, segnalava che erano stati prodotti in atti i soli estratti conto del rapporto numero 5544.96, unico rapporto su cui era possibile determinare un saldo ricalcolato sulla base delle movimentazioni dare-avere e della documentazione contrattuale in essere.
Con riguardo all’usura, il CTU ne aveva rilevato la presenza in 3 dei 29 trimestri analizzati e aveva formulato due ipotesi alternative: la prima in cui aveva stornato tutte le competenze legate al credito addebitate nei trimestri usurari e la seconda in cui si riconduceva alla soglia l’eccedenza. Il Giudice, richiamata la recente Ordinanza della Cassazione n. 35118 del 29 novembre 2022 che ha chiarito come non possa applicarsi in via estensiva ai rapporti di conto corrente la sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/2017 pronunciata con riferimento all’usura sopravvenuta nei rapporti di mutuo, concludeva sul punto affermando che l’usura nei rapporti di conto corrente sia rilevabile solo successivamente alla stipulazione del contratto e che per questi contratti non si possa mai parlare di usura sopravvenuta ma sempre di usura contrattuale.
Anche la capitalizzazione degli interessi è stata oggetto di specifica valutazione. Il CTU aveva riferito che il contratto del 18 aprile 2011 riportava la pari periodicità trimestrale nella liquidazione trimestrale degli interessi, specificamente approvata per iscritto, applicando pertanto la capitalizzazione trimestrale sino al 31 dicembre 2013 e utilizzando successivamente la capitalizzazione semplice per gli interessi passivi sino al
termine del rapporto, non essendo in atti l’autorizzazione del cliente all’addebito degli interessi in conto per il periodo post 31 dicembre 2016.
L’esame degli altri addebiti ha portato il CTU ad accertare che la commissione di massimo scoperto non risultava addebitata nel periodo esaminato, mentre la commissione per la messa a disposizione fondi risultava addebitata dal 30 giugno 2011 al 31 dicembre 2014 per un totale di Euro 518,44 senza che fosse presente in atti la pattuizione contrattuale, determinando lo storno dai conteggi di quanto addebitato a tale titolo. Analogamente, veniva stornata la voce “rimborso forfettario” per un totale di Euro 218,80 in quanto non pattuita, mentre le altre voci di spesa risultavano regolarmente pattuite nel contratto del 18 aprile 2011. Il saldo finale è stato determinato dal CTU applicando diversi parametri di ricalcolo al conto corrente numero 5544.96, utilizzando il criterio della Cassazione numero 16303/2018 per l’usura, la capitalizzazione trimestrale fino al 31 dicembre 2013 e semplice successivamente, l’espunzione della commissione disponibilità fondi e del rimborso forfettario. Il CTU ha formulato due ipotesi di conteggio alternative, la prima applicando l’articolo 1815 del codice civile nei trimestri usurari con un saldo finale ricalcolato di Euro 88.870,76, la seconda riconducendo alla soglia il debordo usurario con un saldo finale di Euro 90.973,45.
Il Tribunale recepiva l’ipotesi di conteggio basata sull’applicazione dell’articolo 1815 c.c. nei trimestri usurari, ritenendo che in seguito all’accertamento del superamento dei tassi soglia dovesse applicarsi tale disposizione con esclusione di qualsiasi remunerazione e interessi non dovuti. Tale scelta motivazionale si fondava sulla considerazione che, diversamente dai contratti di mutuo, nei rapporti di conto corrente l’usura non può mai qualificarsi come sopravvenuta ma sempre come contrattuale, atteso che il superamento della soglia deriva dall’applicazione di condizioni economiche che, pur validamente pattuite ab origine , determinano nel loro concreto funzionamento un costo complessivo del credito superiore ai limiti di legge; veniva inoltre ritenuto che lo scenario integrativo elaborato dal consulente tecnico d’ufficio dovesse essere accolto nonostante l’assenza di specifiche contestazioni da parte degli opponenti relative alle competenze del rapporto anticipazioni, in quanto ritenuto tecnicamente corretto sulla base delle risultanze probatorie acquisite.
Considerando il debito ingiunto certificato alla data del 18 giugno 2018 pari a Euro 120.461,29 per il conto corrente e Euro 293.540,77 per il rapporto anticipi, e applicando le rettifiche delle competenze trimestrali relative al conto anticipi non provate, il Giudice ha quindi determinato un debito complessivo ricalcolato pari a Euro 221.558,00.
4. Le difese delle parti nel giudizio di appello
L’appello è stato proposto da in nome e per conto di
on atto di citazione del 6 giugno 2023, notificato il 7 giugno
2023, chiedendo la totale riforma della sentenza di primo grado. L’appellante ha articolato la propria
impugnazione su tre motivi principali, preceduti da una dettagliata ricostruzione del fatto e dello svolgimento del giudizio di primo grado.
Il primo motivo di appello denuncia l’errata interpretazione e valutazione da parte del Giudice di primo grado delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio resa in primo grado. L’appellante contesta specificamente tre aspetti dell’elaborato peritale poi recepiti in sentenza a fondamento delle statuizioni assunte. In primo luogo, viene censurata l’errata verifica sulla asserita violazione della normativa antiusura con riferimento al conto corrente numero 5544.96, sostenendo che il CTU avrebbe dovuto raffrontare il tasso effettivo con i tassi soglia relativi alla categoria “Scoperti senza affidamento” anziché con quelli delle “Aperture di credito in conto corrente”, considerando che agli atti di causa non era stata comprovata alcuna apertura di credito. L’appellante produce un prospetto ricalcolato che evidenzierebbe come la non abbia mai violato la normativa antiusura nei trimestri ritenuti usurari dal CTU.
In secondo luogo, viene contestata l’inammissibilità e inattendibilità dello “scenario integrativo” formulato dal CTU per l’illegittima eliminazione delle competenze trimestrali di liquidazione del rapporto anticipazione per complessivi Euro 180.988,44. L’appellante sostiene che tale scenario integrativo sia stato elaborato ultra-petitum dal CTU, estendendo arbitrariamente la sua indagine alle competenze del rapporto anticipi ed eliminando illegittimamente tutti gli addebiti rilevati a titolo di competenze, nonostante la avesse comprovato la regolare pattuizione delle condizioni economiche con il contratto del 2 marzo 2012 e nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado nulla fosse stato contestato in merito alle competenze sugli anticipi.
In terzo luogo, viene censurata l’inattendibilità delle ipotesi con applicazione dell’articolo 1815 c.c., sostenendo che tale modalità comporterebbe una illegittima sotto-quantificazione degli interessi debitori a favore dell’azienda di credito, postulando l’ipotesi di usurarietà “sopravvenuta” e non “originaria” non sanzionabile dal disposto dell’articolo 1815 comma II del codice civile. L’appellante richiama la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24675 del 19 ottobre 2017 che ha sancito come il superamento della soglia usura nel corso del rapporto non determini nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso validamente concordato.
Il secondo motivo di appello riguarda la riproposizione ex articolo 346 del codice di procedura civile di tutte le domande, eccezioni, questioni e argomentazioni difensive trattate avanti al Tribunale di Torino che non sono state esaminate o ritenute pretermesse o assorbite dal rigetto delle domande attoree, senza specificare, peraltro, quali sarebbero le domande o eccezioni rimaste non esaminate, limitandosi a una formula generica di richiamo integrale di tutti gli atti del giudizio di primo grado.
Il terzo motivo concerne l’istanza istruttoria di rinnovazione e integrazione della consulenza tecnica d’ufficio per i motivi esposti nell’atto di citazione in appello e nel verbale di udienza del 24 febbraio 2021 del giudizio di primo grado.
Gli appellati, costituitisi con comparsa di risposta del 20 ottobre 2023, hanno contestato integralmente i motivi di appello ex adverso dedotti, ritenendoli infondati per le ragioni di fatto e di diritto esposte. In via preliminare, gli appellati hanno eccepito l’improcedibilità e inammissibilità della presente impugnazione ai sensi dell’articolo 348 bis del codice di procedura civile, sostenendo che l’impugnazione nel suo complesso non avrebbe ragionevoli probabilità di accoglimento.
Nel merito, gli appellati hanno articolato le proprie difese su tre punti principali corrispondenti ai motivi di appello. Sulla verifica dell’eventuale violazione della normativa antiusura, gli appellati sostengono che il CTU nel proprio elaborato peritale ha correttamente indicato che il conto corrente rientrava nella categoria “Aperture di credito in conto corrente” fino al primo trimestre 2015, quando la categoria di appartenenza è divenuta “Scoperti senza affidamento”. La dimostrazione dell’affidamento viene desunta dall’addebito trimestrale della voce “Commissione per la messa a disposizione somme” che per definizione rappresenta un onere calcolato in percentuale sul fido accordato dalla banca al correntista.
Sull’inammissibilità e inattendibilità dello scenario integrativo formulato dal CTU, gli appellati precisano che il credito ingiunto dalla banca traeva origine da entrambi i rapporti e che il Giudice aveva esteso l’indagine a ogni ulteriore rapporto di conto corrente intrattenuto tra la società e la banca. Il CTU ha correttamente esaminato i rapporti sotto un duplice aspetto, effettuando una valutazione del conto numero 68441212.49 come rapporto indipendente e dando atto che, non essendo stati prodotti gli estratti conto, la banca non dava prova del conteggio delle competenze addebitate sul conto numero 5544.96 per un ammontare di Euro 180.988,44.
Sull’inattendibilità delle ipotesi con applicazione dell’articolo 1815 c.c., gli appellati precisano che in un rapporto di conto corrente non si ravvisa la fattispecie di usura sopravvenuta, in quanto l’eventuale sforamento del TEG rispetto alla soglia usura altro non è che l’esercizio da parte della banca dello ius variandi , laddove siano variate in senso sfavorevole al correntista le condizioni economiche pattuite ab origine. L’applicazione dell’articolo 1815 c.c. non coinvolge solo gli interessi in senso stretto, ma tutte le competenze legate al credito addebitate nel trimestre in usura.
Negli atti successivi del giudizio di appello, le parti hanno sostanzialmente ribadito le rispettive posizioni. L’appellante ha insistito per l’accoglimento della propria istanza istruttoria di rinnovazione e integrazione di CTU tecnico-contabile, mentre gli appellati si sono opposti a tale istanza ritenendo che il consulente tecnico d’ufficio avesse evaso in maniera più che esaustiva l’analisi tecnica e che ogni rinnovazione sarebbe puramente superflua. La Corte d’Appello, con ordinanza del 14 novembre 2023, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti dell’articolo 348 bis c.p.c. e che le istanze istruttorie formulate da parte appellante dovessero essere esaminate unitamente al merito della controversia.
5. Tema del contendere
Le questioni controverse che emergono dal giudizio di appello si articolano su diversi piani, tecnicocontabili e giuridici, tutti riconducibili alla corretta determinazione del debito residuo derivante dai rapporti bancari intrattenuti tra le parti. Il nucleo centrale della controversia riguarda l’attendibilità e la correttezza metodologica della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, con particolare riferimento ai criteri adottati per la verifica del superamento delle soglie usurarie e per la ricostruzione dei rapporti dareavere tra le parti.
La prima questione controversa concerne la corretta categoria di riferimento per la verifica del superamento del tasso soglia dell’usura. L’appellante sostiene che il consulente tecnico d’ufficio avrebbe erroneamente utilizzato i tassi soglia previsti per la categoria delle “Aperture di credito in conto corrente” anziché quelli relativi alla categoria “Scoperti senza affidamento”, considerando che agli atti di causa non sarebbe stata comprovata alcuna apertura di credito formale. Gli appellati replicano che l’esistenza dell’affidamento può essere desunta dall’addebito della commissione per la messa a disposizione somme, che per definizione rappresenta un onere calcolato sul fido accordato, e che il contratto di affidamento non richiede necessariamente la forma scritta potendo essere desunto dall’indicazione dell’ammontare in estratto conto o dalla presenza della Centrale dei Rischi.
La questione assume rilevanza determinante ai fini dell’accertamento dell’eventuale usura, poiché i tassi soglia delle due categorie presentano differenze significative che potrebbero comportare esiti opposti nella verifica del superamento delle soglie. La giurisprudenza di legittimità, come noto, ha reiteratamente affermato che la verifica del superamento del tasso soglia richiede l’indicazione specifica del tasso ritenuto usurario, della data della pattuizione e della tipologia di contratto bancario interessato, elementi che nel caso di specie assumono carattere dirimente per la soluzione della controversia.
La seconda questione controversa riguarda la legittimità dello “scenario integrativo” elaborato dal consulente tecnico d’ufficio con l’eliminazione delle competenze trimestrali di liquidazione del rapporto anticipazione per complessivi Euro 180.988,44. L’appellante denuncia che tale scenario sia stato formulato ultra petita , estendendo arbitrariamente l’indagine peritale alle competenze del rapporto anticipi ed eliminando illegittimamente tutti gli addebiti rilevati a titolo di competenze, nonostante la regolare pattuizione delle condizioni economiche e l’assenza di specifiche contestazioni nella citazione introduttiva del giudizio. Gli appellati sostengono invece che il consulente abbia correttamente esaminato i rapporti sotto un duplice aspetto, rilevando che la banca non aveva fornito prova del conteggio delle competenze addebitate sul conto corrente principale.
Questa questione si inserisce nel più ampio tema dell’onere probatorio nelle controversie bancarie e dei limiti dell’indagine peritale. Al riguardo deve osservarsi che se è vero che la parte che deduce il superamento del tasso soglia deve specificamente indicare i periodi e la misura del supposto superamento, non potendo la consulenza tecnica d’ufficio supplire al mancato assolvimento di tale onere, resta altresì
fermo che, nel caso di specie, la distribuzione dell’ onus probandi va riguardata anche alla luce della natura accessoria del rapporto anticipazioni e per l’assenza di estratti conto specifici di tale rapporto, confluendo le relative movimentazioni nel conto corrente ordinario.
La terza questione controversa concerne l’applicabilità dell’articolo 1815 c.c. segnatamente nei trimestri ritenuti usurari. L’appellante sostiene che tale modalità comporterebbe una illegittima sotto-quantificazione degli interessi debitori, postulando l’ipotesi di usurarietà “sopravvenuta” e non “originaria” non sanzionabile dal disposto dell’articolo 1815 co, II c.c., che sarebbe riferito esclusivamente agli interessi e non estensibile agli altri oneri quali commissioni e spese. Gli appellati replicano che in un rapporto di conto corrente non si ravvisa la fattispecie di usura sopravvenuta, in quanto l’eventuale sforamento del TEG rispetto alla soglia usura altro non è che l’esercizio da parte della banca dello ius variandi , e che l’applicazione dell’articolo 1815 c.c. non coinvolge solo gli interessi in senso stretto ma tutte le competenze legate al credito addebitate nel trimestre in usura.
Su tutte queste questioni controverse non si è formato giudicato interno, rimanendo esse integralmente devolute al giudizio di appello. Pacificamente non contestato risulta invece l’ammontare del debito relativo al rapporto anticipazioni numero 68441212.49 pari a Euro 293.540,77, confermato dal consulente tecnico d’ufficio e non oggetto di specifiche contestazioni da parte degli appellati. Analogamente non controversa è la regolare pattuizione delle condizioni economiche dei rapporti bancari, documentata dalla contrattualistica prodotta dalla e analiticamente riprodotta dal consulente tecnico d’ufficio nella propria relazione.
6. Motivi della decisione
6.1 Primo motivo di appello: errata interpretazione e valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio
Il primo motivo di appello articolato dall’appellante denuncia l’errata interpretazione e valutazione da parte del Giudice di primo grado delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, contestando specificamente tre aspetti dell’elaborato peritale che sono stati accolti nella sentenza impugnata. La censura si concentra sulla metodologia adottata per la verifica del superamento delle soglie usurarie, sull’ammissibilità dello scenario integrativo elaborato dal consulente e sull’applicabilità dell’articolo 1815 c.c. nei trimestri ritenuti usurari.
6.1.2 Sulla corretta categoria di riferimento per la verifica del superamento del tasso soglia dell’usura
La prima censura dell’appellante concerne il criterio tecnico-contabile utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio per la verifica dei tassi soglia usura, ritenuto errato dal Giudice di primo grado. L’appellante sostiene che il consulente avrebbe dovuto raffrontare il tasso effettivo con i tassi soglia relativi alla categoria “Scoperti senza affidamento” anziché con quelli delle “Aperture di credito in conto corrente”, considerando che agli atti di causa non sarebbe stata comprovata alcuna apertura di credito formale. Gli
appellati replicano che l’esistenza dell’affidamento può essere desunta dall’addebito della commissione per la messa a disposizione somme e che il contratto di affidamento non richiede necessariamente la forma scritta.
Nel caso di specie, l’analisi della documentazione contrattuale e degli estratti conto prodotti evidenzia elementi che consentono di qualificare correttamente il rapporto bancario. Il contratto di apertura del conto corrente numero 5544.96 del 18 aprile 2011 prevede espressamente condizioni economiche differenziate per il tasso creditore e debitore, con specifica indicazione del “tasso debitore con adozione della capitalizzazione trimestrale per sconfinamento s.b.f.” del 8,600% TAN e 8,881% TAE. La presenza di tale clausola contrattuale, unitamente all’addebito sistematico della commissione per la messa a disposizione fondi dal 30 giugno 2011 al 31 dicembre 2014 per un totale di Euro 518,44, costituisce elemento probatorio significativo dell’esistenza di un affidamento formale.
La commissione per la messa a disposizione fondi rappresenta infatti, per sua natura giuridica ed economica, un onere calcolato in percentuale sul fido accordato dalla banca al correntista, non trovando giustificazione causale in assenza di una specifica apertura di credito. Nel caso in esame, la presenza di tale commissione nel periodo iniziale del rapporto, successivamente eliminata dal consulente tecnico d’ufficio per mancanza di specifica pattuizione contrattuale, conferma l’originaria configurazione del rapporto come apertura di credito in conto corrente.
La qualificazione del rapporto come apertura di credito in conto corrente per il periodo dal 18 aprile 2011 al 31 dicembre 2014 trova ulteriore conferma nella circostanza che il consulente tecnico d’ufficio ha correttamente applicato i tassi soglia della categoria “Aperture di credito in conto corrente” per tale periodo, modificando la classificazione in “Scoperti senza affidamento” solo a partire dal primo trimestre 2015. Tale periodizzazione appare coerente con l’evoluzione del rapporto bancario e con la cessazione dell’addebito della commissione per la messa a disposizione fondi, circostanza che segna il passaggio da un rapporto formalmente affidato a una situazione di mero scoperto tollerato dalla banca.
La metodologia adottata dal consulente tecnico d’ufficio risulta pertanto corretta e conforme ai principi giurisprudenziali consolidati.
6.1.3 Sull’ammissibilità dello scenario integrativo formulato dal consulente tecnico d’ufficio
La seconda censura dell’appellante riguarda l’ammissibilità e attendibilità dello “scenario integrativo” elaborato dal consulente tecnico d’ufficio con l’eliminazione delle competenze trimestrali di liquidazione del rapporto anticipazione per complessivi Euro 180.988,44. L’appellante, come cennato, denuncia che tale scenario sia stato formulato ultra petita , estendendo arbitrariamente l’indagine peritale alle competenze del rapporto anticipi ed eliminando illegittimamente tutti gli addebiti rilevati a titolo di competenze, nonostante la regolare pattuizione delle condizioni economiche e l’assenza di specifiche contestazioni nella citazione introduttiva del giudizio.
La questione si inserisce nel più ampio tema dell’onere probatorio nelle controversie bancarie e dei limiti dell’indagine peritale. La banca che agisce per il recupero del proprio credito è tenuta a fornire la prova del fatto costitutivo attraverso la produzione dell’intera documentazione contrattuale e contabile e, anche in caso di specifica contestazione da parte degli opponenti, la mancata produzione dell’intera serie storica degli estratti conto da parte della banca non è rilevante se le censure di nullità risultano infondate, salvo che per specifiche voci di cui sia stata accertata l’illegittimità.
Nel caso di specie, l’analisi della documentazione prodotta evidenzia che la ha regolarmente depositato il contratto di anticipazioni contro cessione di credito numero 68441212.49 del 2 marzo 2012, nel quale sono analiticamente indicate le condizioni economiche applicabili. Il contratto prevede espressamente un tasso ordinario variabile basato sul parametro Euribor 3 mesi maggiorato di uno spread del 3,50%, un tasso di proroga con spread del 5,50%, commissione di utilizzo dello 0,400% sull’importo dell’anticipazione, commissione di pratica di Euro 10,00, maggiorazione interessi di mora del 2,00% e liquidazione interessi trimestrale. Tali condizioni economiche risultano chiaramente determinate e determinabili, non presentando profili di nullità per indeterminatezza dell’oggetto.
La circostanza che non siano stati prodotti estratti conto specifici del rapporto anticipazioni non assume carattere decisivo, considerando che, come correttamente rilevato dal consulente tecnico d’ufficio, in riferimento alle anticipazioni non esiste un estratto conto distinto in cui vengono contabilizzate le relative movimentazioni perché le stesse confluiscono sul rapporto ordinario.
Tuttavia, la valutazione del Giudice di primo grado circa l’ammissibilità dello scenario integrativo appare giuridicamente corretta per le seguenti ragioni. In primo luogo, nelle controversie bancarie l’onere probatorio specifico grava sulla banca (ove, come nel caso di specie, attore in senso sostanziale), che deve fornire prova analitica del calcolo delle competenze, non potendo limitarsi alla mera produzione del contratto. Come evidenziato nella sentenza di primo grado, ” le competenze trimestrali relative al conto anticipi, non risultando in atti la documentazione relativa alla modalità di determinazione devono essere rettificate “. Nel caso di specie, per il rapporto anticipi mancano gli estratti conto specifici che dimostrino il calcolo trimestrale delle competenze per Euro 180.988,44.
In secondo luogo, il principio di vicinanza della prova impone che la documentazione relativa al calcolo delle competenze, essendo nella disponibilità esclusiva della banca, dovesse essere prodotta integralmente. La mera allegazione contrattuale non supplisce alla mancanza di prova del calcolo effettivo delle competenze addebitate trimestralmente sul conto corrente principale.
In terzo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, le contestazioni degli opponenti non possono dirsi assenti o generiche. Nella citazione introduttiva del giudizio gli opponenti hanno espressamente chiesto di ” accertare e dichiarare i vizi contenuti nell’ingiunzione opposta, ovvero, l’assenza del credito su somme parzialmente vantate e per l’effetto riquantificare gli importi realmente dovuti dagli attori in opposizione “. Tale
formulazione abbraccia necessariamente tutti i rapporti bancari oggetto dell’ingiunzione, incluso il rapporto anticipazioni che costituisce parte integrante del credito complessivamente vantato.
Come correttamente osservato dal Giudice di primo grado, ” lo scenario integrativo elaborato dal consulente tecnico d’ufficio dovesse essere accolto nonostante l’assenza di specifiche contestazioni da parte degli opponenti relative alle competenze del rapporto anticipazioni, in quanto ritenuto tecnicamente corretto sulla base delle risultanze probatorie acquisite “. La distinzione tra conto principale e rapporto anticipi è meramente tecnica, trattandosi di un unico rapporto economico complessivo la cui riquantificazione era stata espressamente richiesta dagli opponenti.
La valutazione del consulente tecnico d’ufficio non può pertanto considerarsi ultra-petitum , rientrando pienamente nel thema probandum delimitato dalle allegazioni delle parti. Il consulente ha correttamente applicato il principio secondo cui, in presenza di contestazioni generali del credito e di carenze probatorie specifiche, devono essere eliminate le voci non adeguatamente documentate dalla parte che ne invoca il riconoscimento.
La censura dell’appellante deve pertanto essere respinta, risultando lo scenario integrativo elaborato dal consulente tecnico d’ufficio conforme ai principi dell’onere probatorio nelle controversie bancarie e alla corretta delimitazione dell’indagine peritale rispetto alle domande delle parti.
6.1.4 Sull’applicabilità dell’articolo 1815 del codice civile nei trimestri ritenuti usurari
La terza censura dell’appellante concerne l’applicabilità dell’articolo 1815 c.c. nei trimestri ritenuti usurari, sostenendo che tale modalità comporterebbe una illegittima sotto quantificazione degli interessi debitori postulando l’ipotesi di usurarietà “sopravvenuta” e non “originaria”.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che tale principio non può essere esteso automaticamente ai rapporti di conto corrente, che presentano caratteristiche strutturali diverse rispetto ai contratti di mutuo. Come evidenziato nella sentenza di primo grado, richiamando Cass. ord. n. 35118 del 29 novembre 2022, non può applicarsi in via estensiva ai rapporti di conto corrente la sentenza delle Sezioni Unite numero 24675/2017 pronunciata con riferimento all’usura sopravvenuta nei rapporti di mutuo, non risultando analoghe le due fattispecie contrattuali.
La distinzione si fonda su elementi strutturali dei due tipi contrattuali. Nei contratti di mutuo il tasso pattuito rimane uguale per tutta la durata del rapporto, mentre per i contratti di conto corrente il tasso può essere suscettibile di modifiche, anche unilaterali, da parte della banca. Inoltre, l’usura nei rapporti di conto corrente è rilevabile solo successivamente alla stipulazione del contratto, in quanto concorrono alla formazione del TEG costi e fattori che durante il rapporto variano, determinando oscillazioni del tasso effettivo globale che pertanto solo durante il corso del rapporto può sconfinare oltre il tasso-soglia usurario.
Per i contratti di conto corrente non si può mai parlare di usura sopravvenuta ma sempre di usura contrattuale, poiché il superamento della soglia deriva dall’applicazione di condizioni economiche che, pur
validamente pattuite ab origine , determinano nel loro concreto funzionamento un costo complessivo del credito superiore ai limiti di legge. In tale contesto, l’applicazione dell’articolo 1815 c.c. trova piena giustificazione, comportando l’esclusione di qualsiasi remunerazione e interessi non dovuti nei trimestri in cui si verifica il superamento del tasso soglia.
La soluzione adottata dal Giudice di primo grado risulta pertanto corretta e conforme ai principi giurisprudenziali consolidati.
6.2 Secondo motivo di appello: riproposizione ex articolo 346 cpc
Il secondo motivo di appello formulato dall’appellante concerne la riproposizione ex art. 346 cpc di tutte le domande, eccezioni, questioni e argomentazioni difensive trattate avanti al Tribunale di Torino che non sono state esaminate o ritenute pretermesse o assorbite dal rigetto delle domande attoree. L’appellante sostiene che il contenuto di qualsivoglia atto, documento o dichiarazione prodotti o dedotti nel giudizio di primo grado deve intendersi integralmente richiamato anche nel presente giudizio di appello.
L’art. 346 cpc, tuttavia, stabilisce che ” le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate “, ponendo a carico della parte interessata l’onere di una specifica riproposizione per evitare la presunzione di rinuncia.
La giurisprudenza di legittimità, anche recentemente, ha chiarito che ” in tema di riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado perché assorbite, la parte vittoriosa non ha l’onere di proporre appello incidentale, difettando di interesse, ma deve manifestare in modo espresso la volontà di riproporre tali questioni nel primo atto difensivo in appello, trattandosi di fatti già rientranti nel thema decidendum del giudizio di primo grado. La riproposizione, pur non essendo soggetta a forme sacramentali, deve essere fatta in modo specifico ed inequivoco, non essendo sufficiente un mero richiamo generico alle difese e conclusioni del primo grado che si traduca in una formula di stile ” (Cass. civ. Sez. I ord. n. 2670 del 4 febbraio 2025).
Nel caso di specie, la mera lettura della sentenza di primo grado esclude la ricorribilità di qualsivoglia non liquet da parte del giudice di prime cure, avendo questi esaminato nel merito tutte le questioni controverse sollevate dalle parti, pronunciandosi specificamente sull’eccezione di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, sull’eccezione di decadenza per mancata contestazione degli estratti conto, sui rapporti bancari oggetto di causa e sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Non risultano questioni rimaste assorbite o non esaminate che richiedano specifica riproposizione ai sensi dell’art. 346 cpc.
È noto, peraltro, che ” il giudizio di appello non integra una revisio prioris instantiae , sicché l’omessa pronuncia su una domanda o su un punto di essa non può essere oggetto di mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. ma deve essere denunciata, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., con la formulazione di uno specifico motivo di appello, mediante il quale si deduca l’errore commesso dal giudice di primo grado ” (in luogo di molte, Cass. civ. Sez. II n. 2855 del 12 febbraio 2016).
La riproposizione generica operata dall’appellante mediante il richiamo integrale di tutti gli atti e documenti del giudizio di primo grado non soddisfa i requisiti di specificità richiesti dalla giurisprudenza consolidata. non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice. Nel caso di specie, l’appellante non ha individuato alcuna specifica domanda o eccezione rimasta non esaminata, rendendo la riproposizione meramente generica e inidonea al raggiungimento dello scopo.
Il secondo motivo di appello deve pertanto essere respinto siccome generico e, juxta alligata , infondato. 6.3 Terzo motivo di appello: istanza istruttoria di rinnovazione e integrazione della consulenza tecnica d’ufficio
Il terzo motivo di appello concerne l’istanza istruttoria di rinnovazione e integrazione della consulenza tecnica d’ufficio formulata dall’appellante per i motivi esposti nell’atto di citazione in appello e nel verbale di udienza del 24 febbraio 2021 del giudizio di primo grado. L’appellante sostiene che la consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado presenterebbe profili di inattendibilità che richiederebbero una nuova indagine peritale per la corretta soluzione della controversia.
La questione dell’ammissibilità di nuove prove in appello -di là della sua sussumibilità ex se quale autonomo motivo di appello -è regolata dall’art. 345 cpc, che stabilisce il principio generale secondo cui ” nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove ” e ” non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile “. Tuttavia, tale divieto non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche ai sensi e nei limiti di cui all’ art. 196 cpc, che attribuisce al giudice la facoltà di ” disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico “.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ” nel giudizio d’appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, poiché non viene chiesta l’ammissione di un nuovo mezzo di prova. Il giudice, peraltro, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata ” (Cass. civ. Sez. III ord. n. 3447 del 6 febbraio 2024).
Nel caso di specie, l’analisi dell’elaborato peritale evidenzia una consulenza tecnica d’ufficio completa ed esaustiva, che ha affrontato tutte le questioni controverse sollevate dalle parti con metodologia scientificamente corretta. Il consulente ha ricostruito analiticamente il saldo del rapporto di conto corrente numero 5544.96 formulando diversi scenari di conteggio alternativi, ha verificato il rispetto della normativa antiusura applicando la formula delle Istruzioni della Banca d’Italia, ha esaminato la capitalizzazione degli interessi e ha analizzato tutti gli addebiti contestati dalle parti.
Le censure mosse dall’appellante alla consulenza tecnica d’ufficio non evidenziano vizi metodologici o errori tecnici tali da giustificare la rinnovazione dell’indagine peritale, ma si limitano a contestare le conclusioni raggiunte dal consulente in base a una diversa interpretazione dei dati contabili e normativi. La richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio appare sostanzialmente finalizzata a ottenere un diverso risultato peritale più favorevole alle proprie tesi, piuttosto che a correggere specifici vizi metodologici dell’indagine già espletata.
Questa Corte, con ordinanza del 14 novembre 2023, ha ritenuto che le istanze istruttorie formulate da parte appellante dovessero essere esaminate unitamente al merito della controversia, non ravvisando elementi tali da giustificare l ‘immediata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio e riservando ogni compiuta valutazione al riguardo unitamente all’esame del merito . Nel contesto dato, permane la valutazione di piena esaustività dell’ elaborato peritale reso in primo grado , all’esito di un iter logico -motivazionale sistematico e metodologicamente corretto tutte le questioni controverse, dalla verifica del superamento delle soglie usurarie alla ricostruzione dei rapporti dare-avere, dalla capitalizzazione degli interessi all’analisi degli addebiti contestati. Il consulente ha formulato diversi scenari alternativi di ricalcolo, ha motivato analiticamente le proprie conclusioni e ha risposto alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte, fornendo un quadro probatorio completo e attendibile per la decisione della controversia.
L’assenza di specifici vizi metodologici o di lacune nell’indagine peritale rende la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio priva di fondamento giuridico. La mera circostanza che l’appellante non condivida le conclusioni raggiunte dal consulente, ovviamente, non può costituire motivo sufficiente per disporre una nuova indagine peritale, dovendo la parte dimostrare l’esistenza di specifici errori tecnici o di omissioni nell’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione.
Non sussistono i presupposti per la rinnovazione dell’indagine peritale richiesta dall’appellante.
7. Conclusioni e spese
L’esame dei motivi di appello conduce, dunque, al l’integrale rigetto integrale dell’impugnazione proposta dall’appellante.
La regolazione delle spese processuali segue l’integrale soccombenza dell’appellante ed il compenso, come da seguente dispositivo, va determinato a valori medi (complessivamente lievemente arrotondati per eccesso, € 10.000, in luogo di € 9991,00) del pertinente scaglione, considerate tutte le fasi in concreto esperite (studio, introduttiva e decisoria).
Ai fini della determinazione del valore, limitatamente al presente grado, deve applicarsi il criterio del disputatum in considerazione del rigetto integrale dell’appello; il valore della controversia in appello corrisponde dunque alla differenza tra l’importo originariamente ingiunto e quello riconosciuto dalla sentenza di primo grado, ovvero Euro 191.344,53.
Sussistono, infine, i presupposti processuali per il versamento, da parte dell ‘appellante , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
pqm
La Corte d’Appello di Torino, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da
n nome e per conto di
sentenza numero 4768/2022 del Tribunale di Torino,
· rigetta l’appello;
· conferma integralmente , per l’effetto , la sentenza impugnata
· condanna l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 10.000,00 per compenso professionale, oltre 15% rimb. spese generali, IVA e contributo previdenziale come per legge;
· dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 a carico di parte appellante.
Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2025.
Il Consigliere est. La Presidente dott. NOME COGNOME dr.ssa NOME COGNOME
avverso la