Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 393 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 393 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31672 R.G. anno 2020 proposto da:
COGNOME Antonio , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 2169/2020 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 30 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ NOME COGNOME ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. chiedendo l’accertamento del suo diritto di credito nascente da indebiti pagamenti effettuati in esecuzione di uno dei tre contratti di mutuo stipulati con la detta banca, la declaratoria dell’ illegittimità della decadenza del beneficio del termine a lui comunicata, oltre che del recesso esercitato dalla convenuta, la pronuncia della risoluzione per inadempimento di un contratto di interest rate swap concluso con la stessa evocata in lite, nonché la condanna di questa alla restituzione delle somme riscosse senza titolo e alla cancellazione della segnalazione del proprio nominativo presso la Centrale rischi della Banca d’Italia.
Banca Nazionale del Lavoro si è costituita in giudizio resistendo alle domande attrici e domandando in via riconvenzionale la condanna dell’attore al pagamento della somma di euro 5.723.829,47, quale saldo debitore del conto corrente da lui acceso, oltre interessi convenzionali.
Il Tribunale ha respinto le domande di COGNOME e lo ha condannato al pagamento della somma pretesa in via riconvenzionale dalla banca.
Lo stesso COGNOME ha poi proposto innanzi al medesimo Tribunale opposizione al precetto notificatogli da Banca Nazionale del Lavoro per la somma di euro 5.337.633,87, pari all’ esposizione debitoria relativa a tre contratti di mutuo fondiario, deducendo la carenza descrittiva dell’atto di precetto, la pendenza del giudizio volto all’accertamento dell’insussistenza del credito della banca fondato sugli stessi contratti di mutuo, l’in sussistenza del diritto della convenuta alla risoluzione dei contratti in difetto di una morosità pari a sette mensilità e l’errata indicazione dell’importo del credito indicato in precetto, siccome comprensivo di interessi moratori non dovuti.
La Banca Nazionale del Lavoro ha chiesto il rigetto dell’opposizione.
Il Tribunale ha respinto la medesima.
2 . ─ Le due pronunce sono state impugnate. La Corte di Roma ha riformato quella con cui è stato definito il primo dei giudizi sopraindicati e condannato COGNOME al pagamento degli interessi moratori sulle rate scadute e sul capitale residuo, anziché al pagamento degli interessi convenzionali sull’intera somma di euro 5.723.829,87; ha invece respinto l’impugnazione della sentenza che aveva definito il giudizio di opposizione a precetto.
– Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 30 aprile 2020, COGNOME ha proposto ricorso per cassazione. L’impugnazione è basata sul cinque motivi ed è resistita, con controricorso, da Banca Nazionale del Lavoro.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la nullità della sentenza. Il ricorrente lamenta il vizio motivazionale della pronuncia impugnata con riguardo al tema dell’usurarietà dei contratti di mutuo da lui conclusi. Secondo l’istante sarebbe sufficiente, al riguardo, raffrontare i tassi di mora dei contratti di mutuo con le soglie usurarie vigenti per avere contezza della fondatezza della censura sollevata. Si lamenta che la Corte di appello non abbia indicato i tassi contrattuali da raffrontare coi tassi soglia dei decreti ministeriali, non abbia specificato se le soglie considerate siano quelle relative ai mutui ipotecari, ovvero a quelle pertinenti alla categoria «altri finanziamenti», né «se le stesse siano state aumentate dello spread del 2.1% ancorché non applicabile alla fattispecie in esame».
Il motivo è nel complesso infondato.
È escluso, per un verso, che il vizio motivazionale possa ricavarsi dall’esame delle prove acquisite al giudizio: infatti, il vizio motivazionale denunciabile in sede di legittimità deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 25 settembre 2018, n.
22598).
Per altro verso, tale vizio consiste nell’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante: anomalia, questa, che si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (decisioni sopra citt.). Ora, la Corte di merito ha fatto rinvio alla consulenza tecnica esperita nel corso del giudizio e ha rilevato che una volta detratta dal calcolo totale delle voci che componevano il tasso effettivo globale medio quella relativa alla penale per estinzione anticipata (non computabile ai fini dell’usura), «risulta che l’interesse applicato rientra nei limiti del tasso soglia per tutti i contratti e ciò sia nell’ipotesi che i contratti in questione considerati nella categoria ‘ altri finanziamenti ‘, sia in quella dei mutui, essendo il tasso soglia comunque inferiore in entrambe le ipotesi». Tale motivazione si colloca oltre la soglia del «minimo costituzionale» e non è riconducibile ad alcune delle ipotesi di anomalia motivazionale di cui si è sopra detto. Né rileva che la sentenza manchi di fare puntuale menzione dei valori numerici oggetto di comparazione, dal momento che la motivazione è svolta per relationem , attraverso il rinvio alla consulenza tecnica; ed è qui da rammentare, in termini generali, che non è carente di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito (Cass. 13 ottobre 2020, n. 22056; Cass. 14 febbraio 2019, n. 4352).
Col secondo motivo si oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 644 c.p. in relazione all’art. 2 l. n. 108/1996 nella parte in cui non è stato rilevato il superamento della soglia di usura. Si deduce che il ragionamento della Corte di appello risulterebbe viziato
giacché la verifica dell’usura va condotta raffrontando il tasso di mora con il limite di legge e, ove manchino le rilevazioni dei tassi moratori medi, senza operare alcuna maggiorazione del tasso effettivo globale indicato nel decreto ministeriale da prendere in considerazione ai fini della verifica del superamento della soglia. Si spiega che nel caso in esame il tasso moratorio pattuito nei tre contratti per cui è causa era risultato superiore alle soglie dell’usura vigenti all’epoca della stipulazione, a prescindere dall’applicazione di altre voci di costo quali la penale di estinzione anticipata del mutuo.
Il motivo è inammissibile.
Come sopra detto, la Corte di appello ha escluso dal calcolo del TEG (tasso effettivo globale) la sola penale di estinzione anticipata, elemento, questo, che il ricorrente non assume dovesse essere preso in considerazione ai fini della verifica del superamento della soglia usuraria; l ‘interesse moratorio non è stato invece estromesso dal computo suddetto. Ciò posto, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare non solo le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, ma di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998). Ebbene, il ricorrente non indica quali passaggi della sentenza impugnata veicolino errori di diritto né assume che il c.t.u. vi sia incorso nell’accertamento tecnico da lui compiuto, che è stato recepito dalla Corte territoriale.
Il terzo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione
e falsa applicazione degli artt. 1418 c.c., 21 ss. t.u.f. (d.lgs. n. 58 del 1998) nella parte in cui non è stata rilevata la nullità del contratto derivato, e ciò in relazione all’art. 2697 c.c. per errata ripartizione dell’onere probatorio in materia contrattuale. Si assume che la Corte di merito, una volta constatata l’assenza del contratto quadro, avrebbe dovuto dichiarare la nullità del suddetto derivato, «non potendo essere addossato al contraente l’onere di dimostrare l’inesistenza del contratto scritto » che la banca aveva di contro l’onere di produrre per contrastare l’eccezione svolta. Con riferimento al profilo della nullità del contratto per mancanza della causa in concreto si rileva, poi, che la sentenza impugnata avrebbe risolto «sbrigativamente» la questione: si espone che l’istante, fin dall’atto introduttivo del giudizio, aveva prodotto copia del contratto impugnato e dato riscontro di tutti i pagamenti effettuati nel corso del rapporto, «sicché sarebbe stato agevole per i giudici del merito accertare le dedotte illegittimità con il semplice esame della documentazione versata in atti». Con riguardo, infine, alla lamentata inosservanza degli obblighi informativi, si rileva che l’odierno ricorrente aveva individuato le omissioni imputabili alla banca riferendo di non aver ricevuto dalla stessa alcun ragguaglio circa la natura, gli effetti e la portata del contratto che veniva stipulato, il quale era «caratterizzato da un altissimo grado di rischio». COGNOME avrebbe altresì dimostrato che, ove correttamente informato, non avrebbe proceduto alla stipula; lo stesso ricorrente avrebbe infine dato prova del danno derivante dall’inadempimento di controparte: danno consistito nell’esborso da lui eseguito per l’operazione in questione , con cui aveva inteso contenere i rischi derivanti dalla fluttuazione dei tassi di interesse.
Il motivo è inammissibile.
Ha osservato, in sintesi, la Corte di appello: che difettavano le ragioni specifiche della pretesa nullità del contratto di interest rate swap dal momento che l’appellante si era «dilungato nell ‘ esplicitazione di
motivi astratti e teorici in ordine alla categoria dei contratti in questione senza tuttavia esporre in modo piano e dettagliato gli elementi che avrebbero dovuto indurre a ritenere insussistente la causa del contratto stesso»; che, quanto alla dedotta violazione degli obblighi informativi, l’appellante non aveva indicato in modo specifico quali informazioni fossero state taciute dalla banca, né precisato quale danno avesse egli subito in ragione della mancanza di informazioni né, infine, indicato quale incidenza dette informazioni avrebbero potuto avere ove fossero state fornite.
Con riguardo alla dedotta mancata produzione di contratto quadro si rileva un difetto di autosufficienza: ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
La seconda censura non intercetta la ratio decidendi della pronuncia resa con riguardo al tema della causa concreta nel contratto di swap e tanto destina la doglianza alla statuizione di inammissibilità (Cass. 9 aprile 2024, n. 9450; Cass. 3 luglio 2020, n. 13735).
Con riguardo alla dedotta inadempienza della banca intermediaria risulta assorbente il rilievo attribuito dalla Corte di appello alla mancata individuazione degli obblighi informativi che la stessa controricorrente avrebbe mancato di fornire: rilievo che COGNOME mostra di non cogliere, nella sua precisa estensione e consistenza, e che risulta conforme al principio per cui l’investitore che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario ha l’onere di
allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111).
4. Col quarto motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., in relazione all’art. 115 c.p.c. «per l’errata applicazione del principio della prova delle obbligazioni di pagamento». La censura investe il passaggio della sentenza in cui, con riguardo al dedotto pagamento, da parte del ricorrente, di somme superiori rispetto al dovuto, la Corte di appello ha osservato che la motivazione di primo grado non era stata censurata dall’appellante dimostrando la correttezza del metodo di indagine del proprio consulente ovvero contestando criteri indicati dal Tribunale. Deduce il ricorrente di aver contestato il metodo, indicato nella pronuncia di primo grado, con cui avrebbe dovuto dedursi l’indebito pagamento: metodo fondato sul preventivo esame delle pattuizioni contrattuali e sulla conseguente verifica della conformità del piano di ammortamento convenuto a quello applicato dalla banca. L’odierno istante assume che con l’atto di appello era stata espressamente rimarcata l’illegittimità della decisione si primo grado nella parte in cui aveva omesso di valutare la documentazione acquisita agli atti del giudizio.
Anche tale motivo manca di cogliere la reale portata della pronuncia impugnata.
La Corte di merito ha infatti ritenuto inammissibile il quinto motivo di appello richiamando il principio per cui il requisito della specificità dei motivi di cui all’art. 342 c.p.c. «postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico giuridico delle prime non essendo le statuizioni di una sentenza scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono».
Per aggredire efficacemente detta statuizione il ricorrente
avrebbe dovuto denunciare l’ error in procedendo in cui fosse incorsa la Corte di appello nel giudicare inammissibile il detto motivo: e ciò tenendo conto del decisum , il quale era incentrato sulla ravvista assenza di specificità del gravame (in particolare: sul mancato esame delle pattuizioni contrattuali e di un raffronto delle stesse col piano di ammortamento cui era stata data esecuzione). Non risulta quindi appropriata la deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c. con riguardo all’ar t. 1218 c.c. (norma di diritto sostanziale, che l’istante non spiega in che modo sia stata violata o falsamente applicata), a ll’art. 2697 c.c. (la cui inosservanza entra in gioco solo ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata: Cass. 31 agosto 2020, n. 18092; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395) e all’art. 115 c.p.c. ( la cui violazione ricorre ove il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli: Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016).
5. Il quinto mezzo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 d.lgs. n. 385 de l 1993 in relazione all’art. 474 c.p.c.. Si lamenta il mancato rilievo dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale di Banca Nazionale del Lavoro diretta alla condanna al pagamento della somma di denaro derivante dai contratti di mutuo fondiario; si osserva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il creditore, ancorché munito di un titolo esecutivo giudiziale, può procurarsene un altro, ma sempre che l’azione non si sia consumata, che sussista l’interesse ad agire e non vi sia abuso del diritto o del processo.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha rilevato che la formazione di un titolo esecutivo giudiziale da parte del creditore che sia già in possesso di
titoli esecutivi non giudiziali per lo stesso credito non è di per sé inammissibile dovendosi riconoscere la possibilità che il creditore intenda acquisire un titolo più completo, mentre è inammissibile l’esecuzione compiuta in forza di più titoli.
Tale affermazione è conforme al canone per cui deve negarsi che esista un principio, generale ed assoluto, ostativo alla duplicazione dei titoli esecutivi (in termini: Cass. 28 agosto 2019, in motivazione; cfr. pure: Cass. 10 ottobre 2013, n. 23083; Cass. 26 giugno 2006, n. 14737): la sentenza non è dunque censurabile con riguardo all’enunciato in questione.
– Il ricorso è rigettato.
7 . – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione