Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23458 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23458 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30163-2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato AVV_NOTAIO;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– controricorrente – avverso la sentenza n. 2450/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2021 R.G.N. 4187/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME.
Oggetto
Retribuzione rapporto privato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
Con ricorso al Tribunale di Roma gli eredi di NOME COGNOME, in epigrafe indicati, riproponevano -premesso che era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra il loro dante causa e RAGIONE_SOCIALE con con danna di quest’ultima al ripristino del rapporto di lavoro; che con ordinanza n. 9376/2013 la Corte di Cassazione aveva statuito, cassando la pronuncia di appello, che la determinazione del risarcimento del danno avvenisse secondo i parametri di cui all’ar t. 32 co. 5 della legge n. 183/2010 e che il conseguente giudizio di rinvio non era stato riassuntoai sensi dell’art. 393 cpc la domanda instando che la indennità suddetta fosse quantificata in almeno dodici mensilità, oltre a chiedere l’ulteriore import o di euro 5,600,00 a titolo di TFR mai corrisposto.
L’adito Tribunale respingeva le domande dei ricorrenti accogliendo la proposta eccezione, da parte della società, di prescrizione.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2450/2021, respingeva l’appello degli eredi confermando la gravata pronuncia sia pure con diverse argomentazioni.
I giudici di seconde cure rilevavano che l’eccezione di prescrizione, a differenza di quanto opinato dal Tribunale, non era fondata in quanto il dies a quo andava individuato quanto meno nella data del 17.4.2013, giorno di pubblicazione della ordinanza della Suprema Corte; ritenevano, poi, ai fini della determinazione della indennità ex art. 32 legge n. 183/2010 che, in considerazione della brevissima durata del rapporto (28 giorni) e del disinteresse manifestato dal lavoratore rispetto al suo ripristino (circa quattro anni per offrire le proprie prestazioni) rispetto alle dimensioni della impresa e alle condizioni delle parti, era
equo quantificare la stessa in n. 2,5 mensilità (misura minima) e che, risultando la somma dovuta (euro 3.395,00) inferiore a quella già corrisposta dalla società, la pretesa andava respinta; per quanto riguardava il TFR specificavano che tale emolumento n on era stato chiesto con l’originario ricorso del 19 febbraio 2004.
Avverso la sentenza di secondo grado gli eredi di NOME COGNOME, in epigrafe indicati, proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La società depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la falsa e/o errata applicazione dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale, in assenza di qualsivoglia prova documentale, ritenuto che RAGIONE_SOCIALE aveva corrisposto la somma di euro 3.692,93 e che non vi era traccia del pagamento per gli effetti del sisma che aveva colpito la città di L’Aquila, in quanto tali circostanze non erano state contestate. Si deduce che la sottesa questione della ‘non contestazione’ non era stata esaminata dal primo giudice, il quale si era limitato ad affrontare la sola eccezione di prescrizione e che, quindi, la contestazione avvenuta con le note di trattazione scritta innanzi alla Corte di appello era tempestiva poiché solo in quella sede era stato possibile affrontare le problematiche rimaste sospese per la pronuncia di primo grado concernente la sola questione preliminare di merito.
Il motivo non è fondato.
A prescindere dalla sindacabilità in cassazione della statuizione relativa all’accertamento o meno della sussistenza di una contestazione (Cass. n. 27490/2019), deve rilevarsi che, nella fattispecie in esame, dalla stessa prospettazione di parte ricorrente la doglianza si rivela non meritevole di accoglimento in quanto, anche a volere ammettere che il primo giudice non si fosse pronunciato sulle altre problematiche, tuttavia la società aveva dedotto, sin dalla sua costituzione in giudizio in primo grado, di avere corrisposto l’importo di euro 3.692,93 per cui quanto meno l’onere di contestazione avrebbe dovuto essere assolto con il ricorso in appello; invece, la circostanza è stata contestata solo con il deposito delle note di trattazione scritta avvenuto il 1° giugno 2021 e, quindi, effettivamente in modo tardivo come precisato dai giudici di seconde cure.
Con il secondo motivo si censura l’errata applicazione dell’art. 2948 n. 5 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere ritenuto erroneamente che il riconoscimento dell’emolumento, riguardante l’importo dovuto a titolo di TFR, non era stato richiesto con il ricorso depositato in data 19 febbraio 2004 per cui doveva ritenersi prescritto. Si rappresenta che, se la cristallizzazione del diritto ad ottenere il risarcimento avesse dovuto farsi risalire all’ordinanza della Suprema Corte del 17.4.2013, essi eredi sarebbero stati pienamente legittimati a richiedere tutte le somme conseguenti al riconosciuto rapporto di lavoro.
Il motivo è inammissibile perché non coglie nel segno della decisione.
La Corte territoriale non ha dichiarato prescritta la domanda diretta ad ottenere il pagamento del TFR ma ha considerato
inammissibile l’esame della questione perché non risultava essere stata richiesta con l’originario ricorso depositato il 19.2.2004, di talché l’effetto interruttivo del giudizio estinto non poteva operare.
In ogni caso, va osservato che il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale doveva individuarsi nella data di cessazione del rapporto di lavoro (giorno da cui il diritto poteva essere fatto valere non essendovi alcun collegamento tra la pretesa concernente il TFR con la pronuncia dichiarativa della nullità del termine e delle sue conseguenze risarcitorie) coincidente, al più tardi, con la data di decesso del de cuius (avvenuto il 1° agosto 2003), con la relativa conseguente individuazione del termine di prescrizione al 1° agosto 2008, molto tempo prima, quindi, della instaurazione del presente giudizio.
Con il terzo motivo si eccepisce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dal libretto di lavoro di NOME COGNOME da cui si evinceva che il rapporto di lavoro non era stato solo di 28 giorni ma aveva riguardato un periodo maggiore (circa sei mesi).
Il motivo è anche esso infondato perché, il fatto storico che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti non fosse durato solo 28 giorni, ma circa sei mesi, non si rivela decisivo ai fini della determinazione dell’indennità ex art. 32 co. 5 legge n. 183/2010 in quanto la sua quantificazione è stata calibrata anche su altri presupposti, (disinteresse del lavoratore) ritenuto comunque preminente rispetto alle dimensioni dell’impresa e alle condizioni delle parti.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 maggio 2025