Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21925 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21925 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18850-2021 proposto da:
COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimati –
Oggetto
R.G.N.18850/2021
COGNOME
Rep.
Ud 25/06/2025
CC
avverso la sentenza n. 1098/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/12/2020 R.G.N. 1070/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione con la quale il locale Tribunale, pronunziando sul ricorso delle odierne ricorrenti inteso alla condanna in solido dei convenuti Consorzio RAGIONE_SOCIALE Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE e Ministero della Giustizia, al pagamento di differenze retributive connesse all’espletamento di lavoro subordinato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE in misura superiore a quella contrattualmente pattuita, aveva dichiarato cessata la materia del contendere nei confronti del Ministero della Giustizia e respinto il ricorso per difetto di allegazione in merito ai presupposti giustificativi delle pretese azionate.
La Corte di merito, pur dando atto della fondatezza della censura delle lavoratrici appellanti concernente la esclusione della efficacia probatoria degli attestati di presenza allegati al CDROM depositato per l’assenza della dichiarazione di conformit à all’originale, evidenziata la tardività del disconoscimento e la genericità della relativa eccezione proposta dal Consorzio convenuto, ha convenuto con il primo giudice in ordine alla carenza di idonee allegazioni destinate a sorreggere la pretesa azionata, avente ad oggetto, in estrema sintesi, il
pagamento della retribuzione connessa all’espletamento di un numero di ore lavorative superiore a quelle stabilite nel contratto individuale; le circostanze di fatto esposte nel ricorso originario erano infatti erano prive di sufficienti riferimenti spazio -temporali e tale carenza non risultava sanata dalle tabelle riepilogative di cui al prospetto elaborato dal consulente di parte; in questa prospettiva la certificazione prodotta negli allegati CD ROM, costituita da fogli redatti da cancelliere attestanti la mera presenza in udienza delle lavoratrici, impiegate quali stenotipiste addette alla raccolta in udienza degli atti dibattimentali e alla creazione in ufficio di file audio riportanti le registrazioni dei processi all’interno del Portale Giustizia, risultava del tutto insufficiente a consentire l’accoglimento della originaria domanda
Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso le originarie ricorrenti sulla base di tre motivi; il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; Fallimento RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono rimasti intimati.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2719 e 2729 c.c. e con gli artt. 99, 112, 115, 414 c.p.c. e 36 Cost.; la sentenza impugnata è censurata per avere affermato che le originarie ricorrenti non avessero compiutamente assolto all’onere di compiuta allegazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata.
Con il secondo motivo deduce ex art. 360 n. 4 c.p.c. nullità del procedimento per effetto della violazione dell’art. 420 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per non avere ammesso le ulteriori richieste istruttorie afferenti alle ore di lavoro effettivamente espletate.
Con il ‘terzo motivo’ censura la statuizione di condanna alle spese di lite ‘stante la fondatezza’ delle pretese avanzate dalle ricorrenti.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Occorre premettere che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati attraverso la mera indicazione delle singole norme che si pretendono violate, ma non spiegati mediante una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere
le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 17570/2020, Cass. n. 287/2016, Cass. n. 635/2015, Cass. n. 25419/2014, Cass. n. 16038/2013, Cass. n. 3010/2012).
4.2. Parte ricorrente si è sottratta all’onere prescritto posto che ha omesso di indicare partitamente, in relazione alle singole norme indicate in rubrica, le ragioni alla base dell’errore in diritto ascritto alla sentenza impugnata. Le censure concretamente formulate investono in realtà la valutazione del giudice di appello, confermativa di quella del giudice di primo grado, in punto di inadeguatezza del compendio allegatorio dell’atto introduttivo, destinato a sorreggere la pretesa patrimoniale relativa alle ore asseritamente lavorate in più. Tale valutazione non risulta validamente inficiata dalle critiche svolte alla luce del principio espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale <> (Cass. Sez. Un. n. 8077/2012). Invero parte ricorrente ha omesso la trascrizione del contenuto degli originari ricorsi, come prescritto dall’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., applicabile ratione temporis nel testo antecedente alla c.d. ‘riforma Cartabia’, che ha ridimensionato la portata del requisito dell’autosufficienza del ricorso per cassazione quale interpretato dalla giurisprudenza di legittimità. Il mancato assolvimento di tale onere impedisce infatti al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti, indispensabile al vaglio delle censure in concreto articolate con il ricorso per cassazione.
Il secondo motivo di ricorso risulta anch’esso inammissibile per difetto di autosufficienza correlandosi la mancata ammissione dei mezzi istruttori denunziata dalle odierne ricorrenti alla accertata carenza di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa azionata non incrinata dalle deduzioni formulate con il primo motivo di ricorso. L’ammissione dei mezzi istruttori presuppone infatti la chiara e completa esplicitazione degli elementi che integrano i fatti costitutivi sui quali deve necessariamente misurarsi la richiesta di prova.
Resta assorbita la richiesta di condanna alle spese di lite formulata con il ‘terzo motivo’ che, in quanto dichiaratamente, ancorata all’assunto di fondatezza della pretesa azionata, non appare riconducibile al paradigma dei vizi di cui all’art. 360, c.p.c., configurandosi quale mera conseguenza dell’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso per cassazione, accoglimento come visto -qui disatteso.
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite nei confronti del Ministero della Giustizia dovendosi escludere la tardività del deposito del controricorso sol perché la notifica del ricorso per cassazione è avvenuta presso l’Avvocatura distrettuale anziché, come prescritto, presso l’Avvocatura generale (Cass. n. 12410/2020, Cass. n. 4977/2015).
Le ricorrenti sono altresì tenute al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti alla rifusione, in favore del Ministero della giustizia, delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25 giugno 2025
Il Presidente Dott. NOME COGNOME