Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26527 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6388/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Piedimonte Matese INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2995/2021 depositata il 28/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, cui si era rivolto NOME COGNOME con diverse iniziative processuali, poi riunite, volte ad accertare l’illegittimità del recesso del Banco di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. dalla convenzione di fido stipulata e l’illegittima applicazione di interessi in misura ultra legale, chiedendone la condanna al risarcimento del danno, nonché l’illegittimità degli addebiti per capitalizzazione interessi, clausola di massimo scoperto, valute, spese ed oneri mai pattuiti e per interessi usurari.
1.1.A fonte della domanda svolta dall’attore e di quella riconvenzionale della banca per il pagamento della somma di lire 56.553.132 per lo scoperto relativo all’apertura di credito mai ripianato, il Tribunale, all’esito della CTU, epurati i conteggi dagli effetti dell’applicazione degli interessi ultralegali e della capitalizzazione trimestrale, aveva rideterminato il saldo debitore del conto corrente in euro 20.858,78, condannato il signor COGNOME al pagamento della predetta in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE succeduta nel credito del Banco di RAGIONE_SOCIALE; aveva inoltre respinto la domanda di risarcimento dei danni per illegittima revoca dell’apertura di credito ed accolto la domanda di risarcimento per illegittima classificazione a sofferenza del debito condannando la banca al risarcimento del danno per la somma di 10.000 euro.
2.La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, dopo aver effettuato ulteriore CTU, ha accolto i motivi di gravame relativi alla illegittimità di spese e commissioni non pattuite e all’applicazione delle commissioni di massimo scoperto, confermando per il resto la
sentenza, e condannando l’appellante al pagamento della minor somma di euro 17.303,08 a titolo di saldo del conto corrente.
3.Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha presentato ricorso, affidandolo a due motivi di cassazione, corredato da memoria. Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, avente causa di RAGIONE_SOCIALE che a sua volta aveva acquistato il credito oggetto del ricorso da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di cassazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione deve dedursi, anche se non è esplicitato in rubrica all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.
Reputa la ricorrente che la sentenza impugnata sia errata perché la Corte di merito, pur avendo ritenuto che la banca fosse onerata della prova del credito, in contraddizione con detta premessa accoglieva la riconvenzionale senza alcuna prova della formazione del saldo negativo alla data del 14.1.93 e che in mancanza di detta prova, avrebbe dovuto azzerare detto saldo, errando nel non ritenere necessario detto azzeramento per il solo fatto che era stato il correntista che aveva promosso l’azione di accertamento negativo del credito e di ripetizione dell’indebito, poiché in ipotesi di domande contrapposte, come nella specie entrambe le parti sono onerate della prova delle rispettive pretese, come prevede la giurisprudenza di legittimità; la Corte d’appello avrebbe quindi errato nell’applicazione dell’articolo 2697 c.c. in quanto avrebbe ritenuto che l’onere probatorio rispetto al fatto che il saldo da cui partire fosse «zero» gravasse sull’appellante che nella specie non l’aveva fornita.
1.1 -Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata.
Invero nell’affrontare la censura mossa alla sentenza di primo grado fondata sulla distribuzione – in tesi erratadell’onere della
prova, la Corte territoriale ha osservato correttamente che, allorquando vengano, come nel caso di specie, formulate contrapposte domande da parte del correntista di ripetizione dell’indebito e da parte della banca di pagamento del saldo, secondo la giurisprudenza di legittimità che lo stesso ricorrente invoca, ciascuna delle parti è onerata della prova della propria pretesa, derivandone che, in assenza di elementi di prova che consentono di accertare il saldo nel periodo non documentato e di mancanza di allegazioni delle parti che permettono di ritenere pacifica l’esistenza in quell’arco di tempo di un credito o di un debito di un certo importo, deve procedersi alla determinazione del rapporto di dare e avere con riguardo al periodo successivo documentato dagli estratti conto procedendo all’azzeramento del saldo iniziale del primo di essi (cita Cass. n. 23852/ 2020). Ha quindi rilevato, che nel caso di specie -ove il conto era stato aperto il 14.1.1993 – il saldo debitore iniziale al 31.12.92 di lire 1.573.407, era stato azzerato dal CTU su indicazione corretta del primo giudice, in quanto detto saldo non risultava giustificato da nessuna documentazione e risaliva ad un momento addirittura anteriore alla stipulazione del contratto stesso; e che altrettanto correttamente la successiva appostazione del 14.1.93 negativa per lire 24.563.666 (appostazione recante la causale «giroconto») era stata mantenuta ferma in quanto premesso che « è onere della banca dare la prova della genesi della prima appostazione negativa ove tale appostazione sia preceduta da altre movimentazioni rimaste sconosciute per mancata produzione degli estratti conto sin dall’inizio del rapporto », la banca aveva depositato gli estratti conto sin dalla data di sottoscrizione del contratto. Perciò, in assenza di lacune probatorie, il correntista per conseguire il preteso azzeramento del saldo recante la causale «giroconto», avrebbe dovuto dimostrare o che il rapporto di conto corrente in questione era nato in epoca precedente alla data di stipula del contratto per
iscritto o che l’addebito iniziale derivava dal saldo di altro pregresso rapporto al quale erano state applicate condizioni parimenti illegittime, di modo che tra i due conti correnti potesse ritenersi vi fosse continuità e potessero essere considerati come un unicum; mentre in assenza di allegazione e prova di una tale continuità o unicità di rapporti l’addebito iniziale andava mantenuto fermo.
Il ragionamento decisorio della Corte d’appello quindi risulta fondato sulla distribuzione dell’onere probatorio tra banca e correntista che lo stesso ricorrente reputa corretto, né detto ragionamento incorre in alcuna contraddizione ove rileva che avendo la banca assolto all’onere probatorio che le competeva circa la formazione del saldo inziale spettava al correntista dimostrare che il giroconto era frutto di una continuità con il relativo conto corrente e quindi era presumibilmente affetto dalle medesime appostazioni illegittime che rendevano inaffidabile il risultato di partenza.
Questa ratio decidendi -secondo cui l’importo a debito non era frutto di rapporto regolato dalle clausole di cui l’opponente aveva denunciato l’illegittimità, ragion per cui sarebbe stato onere del correntista dimostrare che si trattava di debito derivante dall’applicazione di clausole illegittime nel corso di un precedente rapporto, non è intercettata dalla censura del ricorrente.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente deduce « la nullità della sentenza per errata valutazione della prova documentale che ha determinato una confusione del saldo tra lire ed euro», in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di convertire il saldo iniziale da lire in euro, assumendo che il saldo di lire 17.303,08 all’esito della CTU doveva essere convertito in euro 8.936,30.
2.2- Il motivo è inammissibile poiché il ricorrente non indica alcuna violazione di legge sostanziale o processuale né il vizio specifico che intende qui far valere. Va ribadito infatti che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi
di ricorso onde il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore: la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; in senso sostanzialmente conforme: Cass. 14 maggio 2018, n. 11603; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 29 maggio 2012, n. 8585). In particolare, il principio di specificità di cui all’art. 366, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronuncia (Cass. 18 agosto 2020, n. 17224).
Peraltro l’erronea conversione del saldo in lire risultante dalla CTU in euro, con sostanziale raddoppio dell’importo dovuto) costituisce errore percettivo, da impugnarsi con ricorso per revocazione.
3.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente NOME COGNOME al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate nell’importo di euro 2.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 30.09.2025
Il Presidente
NOME COGNOME