Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34469 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34469 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6070/2023 R.G. proposto da:
COGNOME AVV. NOME, difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO Roma presso Marano INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME-) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1644/2022 depositata il 01/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Salerno respinse la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere nei confronti del Comune di Montecorvino Rovella il riconoscimento della proprietà del complesso immobiliare costituito da Conservatorio e INDIRIZZO, sito nel medesimo Comune, oltre al risarcimento del danno.
Alla domanda aveva resistito l’Amministrazione comunale, rilevando che la sentenza del Tribunale di Salerno n. 106/2011, invocata ex adverso per far valere il giudicato , avesse riconosciuto all’attore la proprietà della sola Chiesa, mentre il Conservatorio sarebbe rimasto di proprietà esclusiva del predetto Comune. Lo Sparano aveva anche evocato in giudizio il Conservatorio medesimo, in persona del legale rappresentante presso la Prefettura, nonché la Regione Campania e chiesto altresì la sospensione del giudizio, a seguito di una domanda possessoria -proposta dallo stesso attore -nei confronti della Chiesa. L’istanza era stata rigettata dal giudice di primo grado per assenza di collegamento con la domanda petitoria.
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 1644 del 5 dicembre 2022, ha rigettato il gravame dello Sparano, proposto nei confronti del Comune di Montecorvino Rovella e del Conservatorio, in contraddittorio col Conservatorio di Santa Sofia, rimasto contumace.
Il giudice di secondo grado ha motivato rilevando la mancanza dei presupposti per sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., in assenza del nesso di pregiudizialità-dipendenza rispetto al giudicato formatosi sulla scorta di altre prove.
Ha poi osservato che la res iudicata non avrebbe presentato alcuna affermazione di carattere petitorio sul Conservatorio, l’unico oggetto della domanda di rivendica, né vi sarebbero stati elementi o titoli idonei a far ipotizzare né l’edificazione del Conservatorio sul suolo di proprietà COGNOME, né la natura pertinenziale dello stesso manufatto rispetto alla Chiesa di proprietà dell’attore. Inoltre, la dedotta querela di falso circa la nota comunale concernente la chiusura
dell’accesso all’oratorio, sarebbe stata irrilevante, non presentando alcuna connessione con il giudizio di accertamento della proprietà.
Secondo la Corte di merito, l’attore non aveva assolto all’onere probatorio nella revindica della proprietà del Conservatorio.
Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Montecorvino Rovella.
A seguito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., il ricorrente, con domanda sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto la decisione della causa.
Il ricorrente ha altresì domandato che la decisione stessa fosse assunta dalle Sezioni Unite di questa Corte, ma con decreto del 7 settembre 2003 la Prima Presidente ha rigettato la richiesta, restituendo gli atti alla sezione semplice.
La causa è stata quindi portata alla discussione della camera di consiglio, nel corso dell’odierna udienza.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria nei termini di legge.
RAGIONI DI DIRITTO
Preliminarmente, va rilevato che non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio ch e definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis. c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. SSUU sentenza n. 9611 del 10 aprile 2024).
Con la prima censura, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 102 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in tema di integrazione del contraddittorio necessario, perchè l a Corte d’appello, nel dichiarare la contumacia del
Conservatorio, avrebbe ritenuto il predetto Ente litisconsorte necessario, nonostante il Tribunale l’avesse considerato quale ‘terzo chiamato in causa’.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha preliminarmente dichiarato la contumacia del Conservatorio di Santa Sofia, senza assumerne in qualche modo la natura litisconsortile.
La sentenza impugnata ha poi affermato, in relazione alla declaratoria della chiamata in causa dei terzi ad opera del Tribunale: ‘ Si era invero in presenza di un irrituale uso dello strumento previsto dall’art. 269 c.p.c. e non in un’ipotesi di integrazione del contraddittorio; si trattava in realtà di un tentativo dell’attore di correggere l’errore della chiamata in giudizio del Com une in relazione alla domanda di estinzione dell’Ente Conservatorio di Santa Sofia. Del resto….l’appellante neppure si è premu nito di rappresentare una specifica argomentazione idonea al rilievo di un ipotetico errore del Tribunale circa la necessità di disporre d’ufficio l’integrazione ‘.
Si tratta in definitiva di un problema di difetto di legittimazione e non di litisconsorzio necessario.
Con tale ratio decidendi manca di confrontarsi la doglianza del ricorrente.
Con il secondo mezzo, lo COGNOME si duole della violazione degli artt. 948, 2943 e 2946 c.c. 167 e 416 e 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché dell’omessa interpretazione dei giudicati esterni ed omessa applicazione dell’art.2943 c.c. ‘con condanna sostitutiva della ineseguibilità di giudicato nei confronti di P.A. non condannabile ad un facere’.
La Corte di Appello di Salerno, a dire del ricorrente, avrebbe omesso l’interpretazione e la valutazione dei fatti accertati nei giudicati esterni (relativi alle sentenze 106/07 della Corte d’appello e 106/11 del Tribunale) per ineseguibilità, attribuibile a colpa del Comune, rimasto inattivo oltre il termine prescrizionale massimo di dieci anni (ex art. 2946 c.c.), entro il quale la P.A. avrebbe potuto adempiere agli obblighi ed oneri quale ‘convenuta’ ai sensi dell’art.948 c.c. con esecuzione spontanea de gli stessi.
Il mezzo d’impugnazione è inammissibile, perché complessivamente aspecifico.
Per un verso, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di atti amministrativi, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso stesso – che il testo di tali atti sia interamente trascritto e che siano, inoltre, dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito (Sez. 5, n. 1951 del 24 gennaio 2022; Sez. 6-3, n. 1391 del 24 gennaio 2014). A ciò il ricorrente non ha provveduto, limitandosi ad indicare genericamente gli atti da cui si sarebbero dovuti dedurre i fatti (‘ Archivi dello Stato di Salerno e di Napoli, Archivio notarile di Salerno Ministero dei Beni Ambientali e Culturali tramite Soprintendenza Archeologica, certificato Ipotecario generale- Agenzia delle Entrate dal1904, da 2 relazioni di C.T.U. Ing. COGNOME NOME rese in giudicato105/2007, da comparsa dell’Avvocatura Region ale Campania (R.G. 10353/17) dal sopraluogo dei Carabinieri e da probatio diabolica seguita da giudicato n.106/11 del Tribunale. (cfr all. ti inviati con querela di falso l’08 -102019 in primo grado RG 7863/15′ ).
Per altro verso, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 5 febbraio 2019).
Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne
il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021).
A tanto il ricorrente non ha adempiuto.
Il terzo rilievo denuncia, ex art. 360 n. 5 c.p.c, l’ omesso esame delle conseguenze della revindica ex art 948 c.c., della presa d’atto di sdemanializzazione tacita e delle sue conseguenze, del regime delle pertinenze, trascrizioni nonché dei principi delle S.U. Cass. n. 7739/2020.
La ‘sdemanializzazione tacita’ non avrebbe dovuto essere dichiarata da nessuna autorità, neppure da quella amministrativa.
La quarta doglianza s’impernia sulla violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (agli artt. 948, 2909 e 2943 c.c.).
L’impossibilità di condanna ad un facere del Comune non lo avrebbe assolto dall’osservanza della legge, cioè di adempiere ai propri oneri ed obblighi (art.948 c.c.), in quanto l’Ente non sarebbe legibus solutus rispetto al titolare del giudicato ineseguito che avrebbe il diritto riconosciutogli, trasformabile in diritto di risarcimento danni da lesione del diritto fondamentale corrispondente ed equipollente allo stesso.
I suddetti due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro evidente connessione -sono inammissibili.
L’esito dei giudizi di merito prospetta l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c (v. art. 348 ter cpc). La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto
argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
Conseguentemente, quando ricorre la predetta ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 3, n. 26924 del 20 settembre 2023; Sez. 3, n. 5947 del 28 febbraio 2023). Nel ricorso, manca qualunque accenno in tal senso.
D’altronde, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
In ogni caso, l’accertamento da parte della sentenza impugnata (v. pag. 12) è preciso, analitico e plausibile nel ravvisare il mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine alla proprietà del Conservatorio, privo di collegamento con la chiesa, e la infondatezza della tesi dell” unicum ‘ rispetto al complesso immobiliare, precisandosi che la indivisibilità architettonica non ha alcuna attinenza con la pretesa unicità giuridica dei due beni; le doglianze quindi si risolvono in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
E’ dunque opportuno ricordare che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente.
Al rigetto del ricorso, conforme alla proposta del consigliere delegato, consegue altresì, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. Civ vigente l’art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ. – la condanna del ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195 del 22 settembre 2023).
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge condanna, altresì, il ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 4.000,00 (quattromila) in favore dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 2.000 (duemila), ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024.