Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4370 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4370 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18509/2023 R.G. proposto
da
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
Oggetto: Contratti bancari -Conto corrente -Interessi -Superamento tasso soglia -Commissione di massimo scoperto -Capitalizzazione
R.G.N. 18509/2023
Ud. 08/01/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO PALERMO n. 837/2023 depositata il 27/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 837/2023, pubblicata in data 27 aprile 2023, la Corte d’appello di Palermo, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 749/2016, depositata in data 11 maggio 2016.
Quest’ultima aveva integralmente respinto le domande proposte dal medesimo COGNOME il quale, in relazione ad un rapporto di conto corrente, aveva dedotto la nullità del tasso di interesse debitore ultralegale, della commissione di massimo scoperto, della disciplina differenziata delle valute e della capitalizzazione degli interessi passivi e delle commissioni.
Il Tribunale aveva disatteso la domanda rilevando che, per la parte del rapporto relativa al periodo compreso tra il 1° gennaio 1981 ed il 31 dicembre 1996, l’azione di ripetizione era prescritta – essendo stato interessato il rapporto soltanto da rimesse solutorie – mentre, per la parte residua, l’azione di ripetizione non era provata, in quanto l’attore non aveva assolto il relativo onere.
La Corte d’appello, nel respingere il gravame ha, in primo luogo, disatteso il motivo di appello con il quale si deduceva la genericità dell’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado dalla banca, in quanto ha ritenuto non necessario che la formulazione
dell’eccezione venisse ad indicare le singole operazioni da ritenersi prescritte.
Quanto agli ulteriori motivi di gravame, la Corte d’appello, pur ritenendo in astratto configurabile la fattispecie del ‘fido di fatto’, ha osservato che il carattere parziale delle produzioni degli estratti conto ad opera dell’appellante, non consentiva d i ritenere dimostrato l’indebito per la cui ripetizione COGNOME aveva agito ed in relazione al quale il medesimo era gravato del relativo onere probatorio.
A tal riguardo, la Corte territoriale ha disatteso l’istanza di esibizione della documentazione relativa al rapporto di conto corrente, sia per il carattere indeterminato della medesima, sia per non aver l’appellante dimostrato di essersi avvalso preliminarmente del disposto di cui all’art. 119 TUB, sia perché in ogni caso l’appellata non poteva ritenersi tenuta a conservare la documentazione risalente ad oltre un decennio prima.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorre NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
In data 16 marzo 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a sette motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione del principio di non contestazione art. 88 -115-167 cpc -111 Cost. e 2697 c.c.’ .
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che costituisse circostanza contestata quella relativa all’esistenza, di una ‘scopertura concordata’.
Argomenta il ricorso che, a fronte della specifica allegazione contenuta nell’originaria citazione, le difese della banca convenuta presentavano un carattere di genericità tale da integrare una non contestazione.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., deduce, testualmente: ‘errore su fatto storico processuale -error in procedendo – motivazione apparente – nullità della sentenza ex art. 132 comma 2 n. 4 cpc’ .
Si censura la Corte d’appello per aver quest’ultima affermato l’incompletezza delle produzioni documentali offerte dall’odierno ricorrente, omettendo, quindi, di procedere all’esame dei documenti comunque prodotti.
Argomenta il ricorrente che ‘non si riesce a comprendere perché dall’esame degli estratti conto regolarmente prodotti in giudizio non si possa evincere la sussistenza o meno di tutti quegli elementi dalla medesima Corte indicati come importanti e conducenti. Il fatto che a dire della Corte siano pochi gli estratti conto forniti in giudizio (sei anni completi e quattro parziali non ci sembrano invero pochi) non esclude, né vizia comunque tale esame’ .
Richiamata la documentazione prodotta, il ricorrente deduce l’esistenza di adeguata prova della fondatezza delle proprie deduzioni e conclude, quindi, affermando il carattere ‘assolutamente illogico ed
apodittico’ della decisione ‘sia nella determinazione della quantità minima necessaria per potersi ottenere il riconoscimento dell’indebito, sia nell’esclusione, sic et simpliciter, di qualsiasi esame di quanto emerge dagli estratti conto prodotti in giudizio’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c.; 2697, 2725, 2727, 2729 c.c.; 117 TUB.
Si censura la decisione impugnata per aver la stessa deciso in contrasto le presunzioni gravi, precise e concordanti ex artt. 2727 e 2729 c.c. che potevano evincersi dall’esame della documentazione.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1194 c.c.
Come testualmente dedotto dal ricorrente, ‘In ogni caso, ammesso e non concesso, che il ragionamento della Corte di Palermo sia corretto e conforme al diritto, e per quanto sopra esposto non lo è, parimenti lo stesso è palesemente viziato, stante che non ha tenuto conto che al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, ‘occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo de l conto” .
Si deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto comunque procedere a verificare la funzione solutoria dei pagamenti solo in relazione alla parte di rimesse pari alla differenza tra lo scoperto ed il limite del fido, procedendo all’imputazione del pagame nto ex art. 1194, secondo comma, c.c. limitatamente a questa parte.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 119 TUB e 210 c.p.c.
Si censura la decisione impugnata, nella parte in cui ha disatteso l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. per non avere il ricorrente preliminarmente esercitato il diritto ex art. 119 TUB, deducendosi in contrario che l’istanza ex art. 210 c.p.c. di cui, nella specie, il ricorrente esclude il carattere di genericità -è da ritenersi equivalente alla richiesta ex art. 119 TUB.
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1283, 1284, 1422, 1460, 2033, 2697 e 2946 c.c.
Viene ancora una volta censurata la decisione della Corte territoriale di disattendere l’impugnazione senza esaminare la documentazione in ogni caso prodotta, deducendosi che ‘se è vero che incombe sul cliente che agisce in giudizio l’onere della produzione della serie completa degli estratti conto, è anche vero che, nel caso di produzione parziale degli stessi, come avvenuto nel caso in esame, essendo stati prodotti , il Giudice ha l’obbligo comunque di esaminare i detti estratti conto ed ove vi rinvenga anatocismo o altri addebiti illegittimi di accogliere la domanda di indebito ex art. 2033 c.c.’ .
Il ricorrente, quindi, deduce che la Corte avrebbe dovuto valutare il gravame sulla scorta della documentazione disponibile, evidenziando, peraltro, che dalla consulenza tecnica disposta in primo grado era emersa l’applicazione di una indebita capitalizzaz ione trimestrale.
Conclude, pertanto, ‘che la Corte di Appello di Palermo ha violato l’onere della prova invertendo erroneamente le parti e gravando ingiustamente l’odierno ricorrente dell’onere di provare l’insussistenza della pattuizione scritta del tasso convenzionale applicato nel corso del rapporto, mentre doveva essere parte avversa a provare la legittimità degli addebiti in conto a titolo di interessi convenzionali’ .
1.7. Con il settimo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., si deduce, testualmente, ‘manifesta illogicità – affermazioni tra loro inconciliabiliomesso esame fatto storico decisivo’ .
Il ricorrente assume che ‘la sentenza impugnata è altamente contraddittoria, ingarbugliata, errata, manifestamente illogica’ , risulterebbe anche affetta dall’ulteriore vizio di omesso esame di un fatto decisivo -gli estratti conto -che avrebbe condotto ad un diverso esito della decisione.
I motivi ricorso sono, nel complesso, inammissibili.
Quanto al primo motivo , l’inammissibilità discende da un duplice ordine di ragioni.
La prima è costituta dal mancato rispetto della regola di specificità di cui a ll’art. 366 c.p.c., dal momento che il ricorrente omette sia di riprodurre sia di localizzare negli atti processuali la comparsa di costituzione e risposta depositata dalla controricorrente nel giudizio di primo grado, limitandosi il ricorrente a riprodurre -sommariamente -solo le proprie allegazioni iniziali.
La seconda deriva -come già rilevato nella proposta ex art. 380bis c.p.c. dall’applicazione del principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o
apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
4. L’inammissibilità del secondo motivo discende invece dal principio per cui la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare -come già ha rilevato la nella proposta ex art. 380bis c.p.c. – che, ancora una volta, le doglianze del
ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione e nella sollecitazione a procedere ad un inammissibile sindacato sulla valutazione delle prove, riservata invece al giudice di merito.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
5. La proposta ex art. 380bis c.p.c. deve essere confermata -nella sua valutazione di inammissibilità -anche in relazione al terzo motivo, il quale, questa volta, viene a sollecitare a questa Corte un inammissibile esercizio di sindacato in ordine alla valutazione della rilevanza o meno di elementi indiziari.
Questa Corte ha chiarito che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal
giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. Sez. L -Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020), e ciò in quanto quel che compete alla Corte di cassazione è controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta (Cass. Sez. L – Sentenza n. 18611 del 30/06/2021).
Da ciò consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022).
6. Quanto al quarto motivo, si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, invece, il ricorrente si è venuto integralmente a sottrarre a tale onere argomentativo ed illustrativo, limitandosi ad invocare in modo apodittico -e quindi privo della necessaria specificità ex art. 366 c.p.c. -l’applicazione dell’art . 1194 c.c., la cui effettiva rilevanza nella vicenda in esame non è neppure argomentata.
L’inammissibilità del quinto motivo discende, invece, dall’applicazione dell’art. 360bis, n. 1), c.p.c., dal momento che la decisione impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte ed il motivo non offre alcun elemento per confermare o mutare tale orientamento.
Costante, invero, è l’affermazione da parte di questa Corte del principio per cui il diritto del cliente di ottenere, ex art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio può essere esercitato, nei confronti della banca inadempiente, attraverso un’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. nel corso di un giudizio, a condizione che la documentazione invocata sia stata precedentemente fatta oggetto di richiesta – non necessariamente stragiudiziale – e siano decorsi novanta giorni senza che l’istituto di credito abbia proceduto alla relativa consegna (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24641 del 13/09/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 23861 del 01/08/2022; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9082 del 31/03/2023; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9807 del 2024).
Quanto al sesto motivo, ancora una volta si deve constatare un difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. nell’articolazione delle deduzioni.
Premesso, invero, che la decisione impugnata si è comunque conformata all’orientamento di questa Corte (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 1763 del 17/01/2024) – come già rilevato nella proposta ex art. 380bis c.p.c. -va osservato che il ricorrente ha omesso di fornire concrete indicazioni che venissero a fondare l’applicazione di un qualche criterio correttivo a fronte della significativa carenza documentale degli estratti conto evidenziata nella decisione impugnata, risultando nella presente sede arduo anche stabilire se l’ultimo estratt o conto prodotto coincidesse o meno con la chiusura del conto.
Il settimo ed ultimo motivo, poi, prospetta un’inammissibile sovrapposizione tra piani che devono essere invece tenuti distinti, e cioè quello del difetto assoluto di motivazione, da un lato, e quello dell ‘omesso esame di un fatto decisivo, dall’altro .
Orbene, risulterebbe a questo punto sufficiente richiamare il principio, da questa Corte reiteratamente affermato, per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
A tale insanabile vizio di formulazione del motivo, si aggiunge, poi, una duplice considerazione relativa ai due profili inestricabilmente dedotti.
La prima, relativa alla deduzione di omesso esame di fatto decisivo, è che – essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2017 – la deduzione di omesso esame di fatto decisivo risulta inammissibile in virtù dell’operare dello sbarramento di cui all’art. 360, penultimo comma, c.p.c. (inserito dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 1), D. Lgs. n. 149/2022, ed applicabile secondo la disciplina transitoria di cui al successivo art. 35, comma 5, e quindi ai giudizi introdotti con ricorso a far tempo dal 1° gennaio 2023) – il quale peraltro ripropone la similare preclusione precedentemente stabilita dall’art. 348 -ter c.p.c. -in quanto la decisione impugnata non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
La seconda, relativa alla dedotta illogicità della motivazione, consiste in un ulteriore richiamo ai principi enunciati da questa Corte in tema di vizio di motivazione e nella constatazione che, in realtà, ancora una volta, il ricorrente cerca di introdurre – con la deduzione di un, insussistente, vizio di motivazione – una mera ed inammissibile critica al merito della decisione.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui
all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore del ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 10.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima