Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20964 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20964 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17979/2023 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
COGNOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 205/2023 depositata il 30/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME ha chiamato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Macerata, COGNOME NOME, chiedendo la condanna della convenuta alla restituzione della somma di € 33.166,66, che, secondo la prospettazione attorea, era stata consegnata alla convenuta a titolo di prestito con assegno bancario. Costituendosi, la convenuta ha eccepito che non si trattava di prestito, ma di
elargizione fatta in adempimento di un dovere morale, in considerazione dell’assistenza prestata dalla convenuta, quale convivente more uxorio , al fratello dell’attore, durante la convivenza, iniziata nel 2001 e protrattasi fino alla sua morte, avvenuta il 3 ottobre 2007.
Il tribunale ha rigettato tale eccezione e, ritenendo provata l’esistenza di un rapporto obbligatorio, ha condannato la convenuta alla restituzione di quanto richiesto . La Corte d’appello di Ancona, adita dalla COGNOME, ha riformato la decisione. Essa ha rimproverato al primo giudice di non avere fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, secondo i quali la consegna di una somma non è sufficiente a fondare la pretesa restitutoria, occorrendo la prova del titolo; ha richiamato poi il principio di giurisprudenza secondo cui, in casi del genere, si impone una valutazione complessiva delle circostanze del caso concreto, valutazione certamente richiesta nella vicenda in esame, «in cui parte appellante ha dato idonea e convincente dimostrazione delle circostanze di fatto a sostegno del motivo di liberalità per cui l’appellato, unitamente all’altro suo fratello, si era determinato alla dazione della somma per cui è controversia».
Per la cassazione della sentenza COGNOME Franco ha proposto ricorso, affidato a un solo motivo, illustrato da memoria.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso, depositando anche la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il solo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1421, 770, 782 c.c. e 345 c.p.c. La corte d’appello, nel momento in cui ha ravvisato nella dazione della somma l’esistenza di una donazione, aveva il dovere di rilevare d’ufficio la nullità del negozio per difetto della forma essenziale della donazione.
Il motivo è inammissibile. «La datio di una somma di danaro non vale – di per sé – a fondare la richiesta di restituzione, allorquando, ammessane la ricezione, l’ accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione e, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell’ accipiens , della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, mentre la deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale ad invertire l’onere della prova. Ne consegue che l’attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non solo l’avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione» (Cass. n. 30944/2018; n. 9541/2010).
La sentenza impugnata ha inteso esattamente fare applicazione di tale principio, precisando di doverlo considerare in relazione a quanto precisato da Cass. n. 17050 del 2014, richiamata dalla Corte d’appello nella motivazione. L’analisi di tale pronunzia si rileva essenziale per comprendere la ratio della decisione, che non è stata colta dal ricorrente.
Cass. n. 17050 del 2014, in primo luogo, conferma incondizionatamente il principio, applicato nel caso in esame della sentenza impugnata, in base al quale è a carico di chi pretende la restituzione di una somma di provare «non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l’obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto – il quale,
riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa – si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova». La pronunzia in esame (Cass. n. 17050 del 2014), dopo avere incondizionatamente riconosciuto la validità del principio, ha aggiunto che esso deve essere precisato nel senso che «la prova rigorosa del titolo è richiesta solo quando l’attore ponga a fondamento della domanda di restituzione esclusivamente uno specifico e particolare contratto (nella specie, il mutuo) senza formulare neppure in subordine domanda di accertamento del carattere ingiustificato del pagamento, o di ripetizione di indebito o di arricchimento senza causa, sì da porre contemporaneamente in questione il diritto della controparte di trattenere la somma ricevuta». A tale rilievo, la Corte di legittimità, nella pronunzia di Cass. n. 17050 del 2014, ha aggiunto che «qualora la parte deduca in giudizio e dimostri l’avvenuto pagamento di una somma di denaro – ancorché sulla base di un titolo specifico, che è suo onere dimostrare – il convenuto è tenuto quanto meno ad allegare il titolo in forza del quale si ritiene a sua volta legittimato a trattenere la somma ricevuta. In mancanza di ogni allegazione in tal senso, il rigetto per mancanza di prova della domanda di restituzione proposta dal solvens va argomentato con una certa cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, al fine di accertare se e fino a che punto la natura del rapporto e le circostanze del caso giustifichino che l’una delle parti trattenga senza causa il denaro indiscutibilmente ricevuto da altri».
Ciò posto, la Corte d’appello ha riconosciuto che nel caso in esame l’ allegazione a cui allude Cass. n. 17050 del 2014 era stata fatta, avendo parte appellante «dato idonea e convincente dimostrazione delle circostanze di fatto a sostegno del motivo di liberalità per
l’appellato, unitamente all’altro suo fratelli, si era determinato alla dazione della somma per cui è controversia». Tale passaggio, nel complesso della decisione, non vuol dire che la domanda di restituzione è stata rigettata perché la corte d’appello ha riconosciuto l’esistenza di una donazione , come a torto si assume con il ricorso. La ratio della decisione è nel riconoscimento del non avere il solvens dato la prova fatto costitutivo della pretesa. Il passaggio finale della decisione impugnata, sul quale si appunta il motivo di ricorso, nel contesto della decisione vale solo a significare che, secondo la corte di merito, il principio generale, sull’onere della prova imposto al solvens , si applicava nella specie senza riserve, in rapporto alle difese svolte dalla convenuta.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con addebito di spese in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in € 3 .500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda