Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20252 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18311/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliazione telematica EMAIL, dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), con ulteriore domiciliazione telematica EMAIL
-ricorrente-
contro
MARCHINI ALFIO
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 313/2022 depositata il 28/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio NOME COGNOME per fare accertare la sua responsabilità, ex artt. 2394, 2395, cod. civ., e comunque ex artt. 2043, 1218, cod. civ., per condotte illecite indicate come tenute in qualità di amministratore, prima di diritto poi di fatto, della RAGIONE_SOCIALE, poi fallita;
allegava che:
-la società deducente e il convenuto avevano concluso un contratto di opzione put a favore di RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE si erano obbligati in solido ad acquistare o far acquistare a terzi, a fronte dell’esercizio da parte di RAGIONE_SOCIALE del diritto di opzione, l’intera partecipazione da quest’ultima detenuta nella RAGIONE_SOCIALE, entro un determinato tempo e nel quadro di un progetto che prevedeva anche la nomina di COGNOME come amministratore delegato della stessa RAGIONE_SOCIALE;
-il prezzo era stato poi rinegoziato, e più complessivamente si pattuiva la cessione della sola nuda proprietà delle azioni di RAGIONE_SOCIALE detenute da RAGIONE_SOCIALE;
-rateizzato il debito così sorto, COGNOME dismetteva la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE ma, nella prospettiva attorea, continuava a mantenere le funzioni di amministratore di fatto;
-mancando l’adempimento, NOME dichiarava risolto il contratto e, in esercizio della prevista clausola compromissoria, avviava procedimento arbitrale concluso con un lodo della Camera Arbitrale di Milano che condannava la sola NOME a pagare COGNOME, ritenendo non vincolato COGNOME in quanto non parte del relativo contratto;
-ottenuto l’ exequatur , NOME avviava alcune procedure esecutive e infine, insoddisfatta, chiedeva e otteneva la dichiarazione di fallimento di NOME;
–COGNOME quindi chiedeva la condanna giurisdizionale di COGNOME al risarcimento poiché egli aveva ingenerato in essa un legittimo affidamento sugli esiti negoziali, salvo poi dolosamente depauperare il patrimonio di NOME causando l’insoluto;
il Tribunale accoglieva la domanda osservando che dalle ingerenze di COGNOME nei rapporti tra NOME e NOME emergeva che egli aveva continuato a svolgere di fatto le funzioni di amministratore della prima società e dalla sequenza dei fatti risultava, altresì, che il progressivo depauperamento del patrimonio della medesima compagine era quindi imputabile allo stesso;
la Corte di appello riformava la decisione osservando, in particolare, per quanto qui ancora di utilità, che:
–COGNOME aveva avuto un costante ruolo gestorio nelle trattative tra NOME e NOME, anche dopo il lodo con cui era stato accertato che non era responsabile in proprio a titolo solidale, opponendosi inoltre all’ exequatur dello stesso e sottoscrivendo persino la pattuizione di rateizzazione del debito, evidentemente quale amministratore della società seppure non più formalmente tale, e, infatti, la sua stessa difesa in giudizio aveva indicato che egli partecipava a quelle negoziazioni ‘in rappresentanza della NOME, qualità rivendicata pubblicamente in dichiarazioni rilasciate alla stampa;
-ciò nondimeno, trattandosi di affermata responsabilità di natura da qualificare aquiliana, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto provare che il pregiudizio subìto, determinato dal depauperamento del patrimonio sociale della RAGIONE_SOCIALE, era stato causato dalla condotta dolosa o colposa di COGNOME,
non potendo ciò derivare automaticamente dall’inadempimento della società ovvero dalla sua incapienza patrimoniale, né dalla mera coincidenza tra la progressiva decozione della compagine e l’introduzione del richiamato procedimento arbitrale, in uno al ruolo del convenuto, nulla potendosi evincere sulle ragioni del crollo finanziario né su specifici comportamenti dell’amministratore atti a venire meno agli obblighi di conservazione dell’integrità patrimoniale dell’amministrata;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, articolando due motivi;
non ha svolto difese NOME COGNOME; la ricorrente ha depositato memoria;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, a differenza di quanto fatto dal Tribunale, mancando di considerare che l’allegazione di dolosa condotta volta a determinare l’incapienza patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE in coincidenza con l’introduzione del giudizio arbitrale che avrebbe progressivamente portato alla statuizione di condanna della stessa al pagamento, in favore di NOME, di ingenti somme di denaro, non era stata specificatamente contestata da COGNOME ed era coerente con la presunzione derivante dall’evoluzione patrimoniale descritta, tenuto altresì conto del fatto che la medesima Corte di merito aveva fatto applicazione del suddetto principio in relazione alle allegazioni afferenti al ruolo gestorio dell’originario convenuto;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe comunque mancato di considerare che, per il logico principio di vicinanza della prova, avrebbe dovuto essere COGNOME a
dimostrare che le ragioni del dissesto erano state altre e diverse, ovvero a lui non imputabili, essendo stato lui stesso l’accertato amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, prima di diritto e poi di fatto;
considerato che
i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
il principio di non contestazione in tanto può operare in quanto l’allegazione dei fatti costitutivi sia specifica (arg. ex Cass., Sez. U., 15/11/2022, n. 33645, Cass., 31/05/2023, n. 15288);
nel caso, era stata allegata la sospetta coincidenza tra depauperamento patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE e introduzione del procedimento arbitrale, ma si tratta per un verso d’indizio non logicamente univoco, e per altro verso di allegazione generica rispetto alle ragioni del crollo finanziario e alle condotte gestorie dolose o colpose eziologicamente in tesi correlabili a quello;
la difesa di parte ricorrente ne è consapevole e richiama infatti le osservazioni del Tribunale secondo cui la RAGIONE_SOCIALE aveva circostanziato la sua ricostruzione, rimarcando la riduzione delle immobilizzazioni finanziarie dal 2013 al 2018, le partecipazioni della RAGIONE_SOCIALE dismesse senza che risultassero entrate risorse finanziarie in corrispettivo, i crediti dimezzati, i debiti più che raddoppiati, i valori mobiliari e i depositi bancari sensibilmente ridotti, insomma la riduzione del patrimonio netto e la probabile mancata appostazione del debito verso la RAGIONE_SOCIALE stessa;
ma si tratta della descrizione di una progressiva maturazione della decozione sociale: l’unica circostanza potenzialmente avulsa da tale considerazione potrebbe essere quella inerente alla dismissione senza corrispettivo delle partecipazioni, ma non è dato comprendere se fossero partecipazioni da cui poter trarre risorse finanziarie né altro, rimanendo anche in tal caso generico il fatto individuato;
proprio tale ultimo fatto rende comprensibile, poi, come il principio della vicinanza della prova non possa essere utilizzato per ridisegnare arbitrariamente il relativo onere: le risultanze di bilancio in parola avrebbero in ipotesi potuto consentire alla RAGIONE_SOCIALE di acquisire documentazione sulle poste creditorie in sofferenza ovvero sulle anomale dismissioni, eventualmente chiedendo ordini di esibizione documentale, insomma palesando e non solo affermando l’impossibilità di evadere per quanto possibile i propri incombenti istruttori e non limitandosi a richiamare difficoltà presuntivamente correlabili alla sede lussemburghese della RAGIONE_SOCIALE;
non a caso è stato affermato che il principio di vicinanza della prova non deroga -come qui vorrebbe parte ricorrente -alla regola di cui all’art. 2697 cod. civ., che impone all’attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte, ma opera allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le suddette due categorie di fatti, fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto, di modo che la vicinanza riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova (Cass., 22/04/2022, n. 12910);
in questo quadro ricostruttivo, il ricorso si rivela contestualmente mirato a una rilettura istruttoria estranea alla presente sede di legittimità;
non deve disporsi sulle spese stanti le mancate difese di parte intimata;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17/05/2024.