Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2620 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 2620  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13326/2018 R.G. proposto da:
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvAVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO , che lo rappresenta e difende;
– ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvAVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, tutti rappresentati e difesi dall’avvAVV_NOTAIO COGNOME NOME;
– controricorrenti – avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  DI  ANCONA  n. 447/2017 depositata il 24.03.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 13.02.2007 il ragioniere NOME COGNOME otteneva, dal Tribunale di Ascoli Piceno -Sez. dist. di San Benedetto del Tronto, nei  confronti  di  NOME  COGNOME (titolare  dell’omonima  ditta)
decreto  ingiuntivo  per  il  pagamento  di  € .  15.907,50  (oltre  Cassa Previdenza  ed  IVA)  per  prestazioni  professionali  rese  negli  anni 1996-2002.
1.1. Avverso detto decreto ingiuntivo proponeva opposizione il debitore COGNOME, deducendo l’avvenuto pagamento delle prestazioni, nonché la prescrizione presuntiva triennale dei crediti; in  via  riconvenzionale,  chiedeva  accertarsi  le  proprie  ragioni  di credito nei confronti del COGNOME per lavori di manutenzione effettuati presso lo studio del medesimo.
All’esito del giudizio di opposizione, il Tribunale di Ascoli Piceno -Sez. dist. Di San Benedetto del Tronto, con sentenza depositata il 04.03.2010, revocava il decreto ingiuntivo, condannando l’opponente al pagamento, in favore degli eredi del COGNOME (frattanto deceduto) , di € . 13.841,67 (oltre ad interessi legali dalla domanda al saldo).
Il  COGNOME  proponeva  appello  avverso  la  predetta  sentenza innanzi alla Corte d’Appello di Ancona.
 Con  sentenza  n.  447/2017  la  Corte  territoriale  rigettava  il gravame, osservando, per quanto rileva in questa sede:
-che la recente giurisprudenza di legittimità conferma l’utilizzabilità, da parte del giudice di seconde cure, di documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo, rimasti a disposizione della controparte fino alla scadenza del termine per proporre opposizione e la cui produzione in secondo grado era stata reiterata dal creditore opposto in originale. Nel caso di specie, si trattava della lettera raccomandata A.R. con la quale il creditore opposto aveva fatto valere l’interruzione della prescrizione;
 che  era  provata  la  sussistenza  di  un  rapporto  professionale continuativo  intrattenuto  tra  il  rag.  COGNOME  e  la  ditta  RAGIONE_SOCIALE, peraltro  confermato  dalla  produzione -da  parte  del  debitore opponente -di  documentazione  informale,  non  sottoscritta  dal creditore,  che  faceva  riferimento  ad  un  tariffario  da  applicare  per
alcuni dei servizi assicurati dal COGNOME; oltre al fatto che nell’atto di opposizione il COGNOME non ha mai negato di essersi avvalso delle prestazioni  professionali  del  COGNOME,  avendo  egli  solo  contestato  il quantum dei crediti ingiunti;
che mancava qualsiasi prova dell’eccepito totale adempimento, apprezzabile  anche  alla  luce  del  mancato  riscontro  alle  reiterate richieste di pagamento documentate dal COGNOME, e dalla ammissione del  debito  risultante  da  un  fax  del  15.03.2000  con  riferimento  ai periodi precedenti.
Il COGNOME ricorre per cassazione avverso detta pronuncia, affidandolo  a  tre  motivi  contrastati  con  controricorso  da  NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (quali eredi del professionista).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4) e 5) cod. proc. civ. , e dell’art. 2697 cod. civ. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché per omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio per avere errato la Corte d’Appello nell’attribuire efficacia di prova legale alla presunta lettera di messa in mora redatta dall’AVV_NOTAIO per conto del cliente COGNOME, datata 28.03.2004 e ricevuta dal destinatario solo in data 19.05.2004, vagando per 53 giorni prima di raggiungere il destinatario. Sarebbe, infatti, onere del mittente provare il contenuto della lettera raccomandata ove il contenuto in essa racchiuso sia stato disconosciuto dal destinatario (cfr. di recente: Cass. n. 4482 del 05.04.2015). Si aggiunge come lo stesso deposito della lettera di messa in mora eseguito solo in appello sia tardivo e, quindi, inammissibile ex art. 345, comma 3, cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
E’  inammissibile  la censura  sul  vizio  di  motivazione  ai  sensi de ll’art.  360,  comma  1, n. 5) cod.  proc.  civ.,  posto  che  la
riformulazione della norma (art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134) ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), a nulla rilevando l’ asserita errata valutazione di una prova documentale ( ex multis , di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20543 del 29/09/2020, Rv. 659204 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 2019, Rv. 655658 -01).
E’ altresì inammissibile la censura sulla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. La doglianza investe l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso il richiamo fatto all’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -01/2, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023), in virtù dei quali in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). La doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza
probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura sarebbe ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo alle condizioni in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, non sussistenti nel caso di specie (v. sopra).
1.2. Quanto alla pretesa inammissibilità del deposito in appello della lettera di messa in mora depositata nel fascicolo del decreto ingiuntivo, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che «L’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, terzo comma, cod. proc. civ., seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova” ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14475 del 10/07/2015, Rv. 635758 -01; più di recente: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8693 del 04/04/2017, Rv. 643542 – 01).
Nel caso che ci occupa, il giudice non ha attribuito alla raccomandata pervenuta il 19.05.2004 alcun valore di prova legale, come pure asserito dal ricorrente: piuttosto, facendo ricorso al suo prudente apprezzamento ha rinvenuto presuntivamente in essa l’ultimo atto di interruzione della prescrizione . E’, dunque, o pportuno ricordare che la valutazione circa la ricorrenza di presupposti (soggettivi ed oggettivi, il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti) è rimesso all’accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15140 del 31/05/2021, Rv. 661357 -01; Cass. 23821/2010).
E’ infondata la censura sulla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5), cod. proc. civ. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634 -01).
Nel caso di specie, il creditore aveva prodotto in giudizio la raccomandata: se la raccomandata ricevuta dall’opponente avesse avuto altro contenuto, diverso da quello implicitamente confermato con la sottoscrizione della cartolina di ritorno, spettava a quest’ultimo dimostrar lo producendo la diversa lettera, nella corretta distribuzione degli oneri di prova ex art. 2697 cod. civ. Infine, il ritardo nel ricevimento della raccomandata nulla dimostra ai fini del presente giudizio con riferimento al contenuto di essa, ossia
l’interruzione  della  prescrizione  mediante  richiesta  dei  pagamenti pretesi.
1.4.  In  definitiva,  la  doglianza  si  traduce  in  un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di  merito,  tesa  all’ottenimento  di  una  nuova  pronuncia  sul  fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione ( ex multis : Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Con il secondo motivo si censura la sentenza ‘ per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonché per omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma 2, e conformemente all’art. 2729 cod. civ ‘. Il ricorrente si duole del fatto che l’esistenza dei crediti e della loro consistenza sia stata affermata dal giudice di seconde cure mediante ricorso a prove presuntive che non seguono un percorso logico-giuridico atto a giustificare le ragioni della decisione.
2.2.  Il  motivo  è  inammissibile  laddove  denunzia  il  vizio  di motivazione per le ragioni sopra esposte.
2.3. Il motivo è, comunque, inammissibile perché ripropone una valutazione delle prove raccolte: con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021, Rv. 662103 -01; Cass. Sez. 2,
Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021, Rv. 661734 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1234 del 17/01/2019, Rv. 652672 – 01)
Nel caso in esame la motivazione resa dalla Corte d’Appello di Ancona presenta argomentazioni al riparo da incongruenze logicogiuridiche  e  in  linea  con  i  requisiti  della  precisione  gravità  e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ., con riferimento sia alla prova dell’ an del rapporto e del suo oggetto, sia alla mancata prova dell’avvenuto pagamento del debito a cura della ditta RAGIONE_SOCIALE.
3. Con il terzo ed ultimo motivo si deduce, ex art. 360 n. 3), cod. proc. civ., vviolazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. Nella prospettazione del ricorrente, la condanna alle spese del secondo grado di giudizio secondo la regola della soccombenza sarebbe contraddittoria e palesemente errata nella parte in cui non tiene conto del cambiamento giurisprudenziale in corso di causa, relativo all’esclusione dell’appl icabilità del limite di cui all’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., tale da consentire la compensazione delle spese (a séguito della modifica dell’art. 92, comma 2 , cod. proc. civ., intervenuta con l’entrata in vigore dell’art. 13, comma 1, D.l. 12 settembre 2014, n. 132).
3.1. Il motivo è infondato.
Non c’è violazione di legge sulla regolamentazione delle spese che  ricorre,  come  è  noto,  solo  in  caso  di  condanna  di  una  parte interamente vittoriosa (tra le tante, v. Sez. 2 – , Ordinanza n. 18128 del  31/08/2020  Rv.  658963)  o  di  liquidazione  di  spese  in  misura superiore ai massimi tariffari o inferiore ai minimi (v. tra le varie, Sez. 3 – , Ordinanza n. 89 del 07/01/2021).
Quanto al mutamento di giurisprudenza, la legge non impone un obbligo di compensazione, ma conferisce al giudice una facoltà (il codice infatti all’art. 92 comma 2 cpc usa l’espressione ‘ può ‘).
Solo  per  completezza,  dal  ricorso  non  risulta  neppure  che  la Corte  di  merito  sia  stata  sollecitata,  in  sede  di  conclusioni,  a compensare le spese per intervenuto mutamento di giurisprudenza,
posto che la pronuncia delle SSUU n. 14477/ 2015 presa in esame dalla Corte d’Appello nell’esame del primo motivo venne depositata il  10.7.2015  e  quindi  era  già  conosciuta -o  doveva  essere  già conosciuta -al momento  della  precisazione delle conclusioni (avvenuta il 14.6.2016, come riporta la sentenza in epigrafe a pag. 2).
4. In definitiva, il ricorso va respinto con inevitabile addebito di spese alla parte soccombente.
Si  dà  atto,  ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1quater D.P.R.  n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in  favore  del  controricorrente,  che  liquida  in  € .  3.000,00  per compensi, oltre ad € .  200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13,  comma  1quater D.P.R. n.  115/02,  della  sussistenza  dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda