Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21659 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21659 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8715-2023 proposto da:
NOMECOGNOME domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME E NOME COGNOME NOME; – intimata – avverso la sentenza n. 882/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/11/2022 R.G.N. 750/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento per superamento del comporto
R.G.N. 8715/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 12/02/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Milano respingeva l’appello proposto da NOME contro la sentenza del Tribunale di Pavia n. 224/2022 che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza, il ricorso del sud detto lavoratore per la parte relativa all’impugnativa del licenziamento intimatogli dalla RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE, disponendo come da separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado per due distinti ordini di ragione: in primo luogo, per aver il Tribunale accolto l’eccezione di tardività dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, facendo decorrere il termine dal 29.10.2019, data in cui la lettera di licenziamento era giunta all’indirizzo di residenza del lavoratore; anziché, come sostenuto dall’appellante, dal 6.2.2020, giorno in cui era avvenuta la consegna a mani della lettera di licenziamento da parte della società allora appellata, e, in secondo luogo, per avere il Tribunale ingiustamente dichiarato la decadenza dal termine di inizio della causa ex art. 6, comma 2, l. n. 604/1966.
La Corte rilevava che l’appellante sosteneva che non vi fosse alcuna prova che nella busta (a dire dall’appellata consegnata in data 29.10.2019) fosse effettivamente contenuta la lettera di licenziamento e che l’onere della prova del contenuto della stessa spettava al datore di lavoro, considerato, oltretutto, che nella copia prodotta in giudizio dalla società non risultava apposto alcun timbro atto a provarne la data certa.
3.1. Nel ritenere infondato il primo motivo d’appello, la Corte distrettuale, sulla base di una serie di precedenti di legittimità, riteneva invece incombesse sul lavoratore l’onere di fornire la prova che la suddetta raccomandata non conteneva alcun atto o conteneva un atto diverso.
Disattendeva, altresì, la seconda censura, con la quale l’appellante aveva dedotto che il termine di inizio della causa doveva ritenersi tempestivo, in quanto il blocco dei licenziamenti, introdotto dall’art. 46 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia), era stato ripetutamente prorogato fino al 30.6.2021, sino a quando era venuto meno a seguito del d.l. 25.5.2021, n. 73 (c.d. decreto Sostegni bis), sicché, partendo dal 30.6.2021 per il calcolo dei 180 giorni, ne conseguiva che, escludendo il termine feriale di sospensione e contando i mesi residui, il centottantesimo giorno avrebbe dovuto scadere il 30.1.2022, data successiva, quindi, al deposito del ricorso in data 20.1.2022.
4.1. Osservava in contrario la Corte d’appello che, non operando nella specie la sospensione dei termini processuali nel mese di agosto, il termine finale del centottantesimo giorno doveva ritenersi scaduto, quantomeno, in data 27.12.2021, sicché era evidente la tardività del deposito del ricorso d’impugnazione del licenziamento, deposito avvenuto in data 20.1.2022, quando ormai la decadenza ex art. 6, comma 2, l. n. 604 del 1966 si era già ampiamente verificata.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimata è rimasta tale, non avendo svolto difese in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, ‘Sul termine di impugnazione del licenziamento’, il ricorrente assume che, ‘In caso di negazione della ricezione per posta da parte del ricorrente della busta prodotta dall’attore, in base alla regola di cui all’art. 2697 cc, spetta a chi sostiene l’assunto, in questo caso a controparte che ha affermato di averla inviata e che conteneva la lettera di licenziamento, la prova relativa’. Richiama a riguardo Cass., sent. 12.5.2005, n. 10021, e sostiene che ‘Il Giudice di secondo grado in vece ha gravato l’attuale ricorrente della detta prova, contrariamente a quanto disposto dalla norma sopra indicata in violazione dell’art. 2697 c.c.’ e che ‘La sentenza va pertanto riformata anche perché non è opponibile al sig. NOME la lettera non es sendovi sulla stessa alcun timbro di data certa’.
Con un secondo motivo, ‘Sui termini di inizio della causa’, deduce la ‘violazione della normativa. Per errore, è stata indicata la decorrenza del termine del 30.06.2021’, perché ‘In realtà, il decreto sostegni sopra indicato ha previsto per le imprese agricole il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo a partire dal 30.10.2021, come già indicato in narrativa’.
Il primo motivo è privo di fondamento.
La Corte territoriale, osservando che l’allora appellante si era limitato a rilevare la mancata prova da parte del datore di lavoro in ordine al contenuto della lettera racc.ta, esattamente ha richiamato Cass., sez. I, sent. 28.9.2017, n. 22687, espress iva dell’orientamento di legittimità, secondo il quale non basta che il destinatario della raccomandata, al fine di superare la presunzione ex art. 1335 c.c., deduca genericamente che la
lettera fosse priva di contenuto o che ne portasse un diverso tenore, in quanto, se la comunicazione è fatta con raccomandata, è onere della parte che ne contesta il contenuto fornire la prova che la raccomandata non conteneva alcun atto o conteneva un atto diverso.
4.1. In proposito, il ricorrente fa riferimento, come si è visto, a Cass., sent. 12.5.2005, n. 10021, ma quest’ultima decisione già quando fu emessa esprimeva un orientamento minoritario nella giurisprudenza di legittimità, non confrontandosi peraltro con i più numerosi precedenti di questa Corte che già avevano delineato l’indirizzo opposto cui si è riferita l’impugnata sentenza.
Inoltre, anche successivamente Cass. n. 16528/2018, con orientamento che questa Corte intende confermare, ha affermato che la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova (v. in termini nella motivazione Cass., sez. lav., 11.11.2021, n. 33464).
5. Il secondo motivo dev’essere dichiarato inammissibile.
6. Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, una volta rigettato o dichiarato inammissibile il motivo che investe una delle argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, diventano inammissibili, per difetto di interesse, i restanti m otivi, atteso che, quand’anche essi dovessero risultare fondati, non potrebbe comunque giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla
base della ratio ritenuta corretta (così, tra le tante, Cass. n. 17648/2020).
Nella specie, la reiezione del primo motivo di ricorso comporta il consolidamento della prima ratio decidendi della sentenza gravata circa la tardività dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento da parte del lavoratore, in quanto spedita il 20.2.2020 (e ricevuta dalla società il 24.2.2020), e quindi oltre il termine di 60 giorni, previsto a pena di decade nza dall’art. 6, comma primo, l. n. 604/1966, novellato, a far tempo dalla data del 29.10.2019, data in cui doveva presumersi conosciuta dal lavoratore la comunicazione del licenziamento.
Invero, lo spirare di detto termine decadenziale era così intervenuto prima dell’entrata in vigore dell’originaria previsione di c.d. blocco dei licenziamenti, di cui all’art. 46 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e poi modificato); previsione che ha trovato applicazione solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge, e quindi dopo la scadenza del termine per impugnare in via stragiudiziale il licenziamento di cui è causa.
Conseguentemente, il ricorrente è privo d’attuale interesse all’accoglimento del secondo motivo, perché, anche se risultasse fondato, la decadenza già pronunciata dal primo giudice sulla base della disposizione di cui all’art. 6, comma primo, l. n. 604/1966, rimarrebbe ferma.
Nulla dev’essere disposto sulle spese processuali, in mancanza di difese dell’intimata; nondimeno la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del