Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19346 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24436/2020 R.G. proposto da:
NOME, domiciliato ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE GIL RAGIONE_SOCIALE ANTONINO PIO NOME -intimati-
RAGIONE_SOCIALE NOME, domiciliata in Conversano INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME (CODICE_FISCALE)
-intimata-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 32/2020 depositata il 13/01/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo con cui il Tribunale di Bari sez. distaccata di Rutigliano -le aveva ingiunto di pagare a NOME COGNOME COGNOME NOME, la somma di 62.522,79 euro in ragione di 4 assegni bancari (due dei quali emessi dalla opponente in favore dell’opposto, ed altri due emessi da terzi e girati dalla prenditrice COGNOME all’opposto) eccependo, per quel che qui interessa, l’infondatezza della pretesa creditoria:
quanto ai due assegni emessi dalla opponente all’ordine dell’opposto, rispettivamente dell’importo di 33.500 € e 16.500 euro, deduceva (a) che – contrariamente a quanto assunto nel ricorso monitorio -gli stessi erano stati pagati, seppure in ritardo, come da dichiarazione di quietanze del 25.2.2005, rilasciate dall’opposto e autenticate dal notaio onde evitare che l’emissione di questi titoli, presentati per l’incasso ma richiamati dal creditore per mancanza di provvista, potesse comportare (pure in assenza di protesto) la revoca dell’autorizzazione alle emissioni di assegni e la segnalazione della debitrice alla RAGIONE_SOCIALE; (b) che la loro emissione sottendeva «delle operazioni di giro», iniziate a favore del padre della opponente e perpetuate nei suoi confronti, in un sistema che portava al versamento di interessi usurari, tant’è che il primo, dell’importo di 33.500,00, era stato emesso a fronte di un importo mutuato pochi giorni prima di euro 32.000,00;
quanto agli altri due titoli deduceva (a) che la pretesa creditoria cui si riferiva quello emesso da NOME COGNOME per euro 10.000,00 e poi girato dall’opponente, era stata estinto con
l’emissione di ulteriore assegno dell’importo di 12.000,00 incassato dall’opposto/creditore; (b) la pretesa creditoria di cui all’assegno emesso da NOME COGNOME per l’importo di euro 2000,00 e girato all’opposto, era stata estinta dalla COGNOME stessa mediante l’emissione di ulteriore assegno di euro 7.000,00 il quale era stato «oggetto di azione di recupero da parte del difensore dell’opposto» che «pur avendone ricevuto il saldo non aveva provveduto alla restituzione del titolo».
2.L’opposto NOME COGNOME NOME ha replicato che aveva rilasciato dette quietanze perché la debitrice opponente si era impegnata – a parziale scomputo del debito- a pagare gli oneri notarili dovuti per un atto pubblico che suo figlio avrebbe dovuto, di lì a poco, stipulare con un congiunto, nonché a corrispondere in seguito la relativa differenza, ma né i suddetti oneri né detta differenza erano mai stati pagati; ha contestato, inoltre, che per pagamento degli altri due titoli fossero stati emessi altri due assegni e tantopiù che detti titoli sarebbero stati regolarmente incassati.
3.- Il Tribunale -assunte le prove testimoniali ammesse- ha respinto l’opposizione (oltre che la domanda riconvenzionale di risarcimento danni), in quanto le quietanze attestanti l’avvenuto pagamento autenticate dal notaio potevano fare piena prova soltanto della loro provenienza dal soggetto che le aveva sottoscritte ma non della veridicità delle dichiarazioni contenute, smentita questa dai testi (il figlio dell’opposto e il notaio che aveva rogato l’atto con il di lui congiunto nonché autenticato le quietanze) che avevano confermato che i due assegni non erano stati pagati e che non era stato assolto neppur l’impegno di pagare gli oneri notarili e il restante importo, assunto onde ottenere l’emissione delle quietanze volte ad evitare il protesto a danno della debitrice; né l’opponente aveva fornito le prove del contrario (le uniche ritualmente richieste ed ammesse) avendovi anche rinunciato.
Infine alcuna prova la debitrice opponente aveva dato o offerto di dare circa l’asserito pagamento degli altri due titoli mediante emissione di ulteriori assegni, o circa l’assunto per cui l’opposto avesse – mediante gli assegni azionati – preteso interessi usurari sulle somme asseritamente mutuate (donde l’emissione dei titoli azionati in sede monitoria).
4.- La sentenza è stata impugnata dalla sig. COGNOME. La Corte d’appello di Bari – avanti alla quale si sono costituiti gli eredi dell’appellato deceduto nelle more -disattesa l’istanza di sospensione della esecutività della sentenza di primo grado e acquisita la documentazione in atti, ha respinto l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado.
4.1La Corte predetta, preliminarmente, ha dichiarato l’improponibilità della querela di falso proposta dall’appellante in via incidentale solo con la comparsa conclusionale in appello, querela con cui la stessa intendeva denunciare il falso costituito dalla mancata allegazione al ricorso monitorio della disposizione del richiamo degli assegni e delle collegate quietanze liberatorie, il quale falsoin tesi dell’appellante -avrebbe consentito all’opposto/appellato di ottenere un titolo esecutivo per importi che, in realtà, erano state integralmente pagati.
4.2- Nel merito: (a) ha respinto il motivo d’appello fondato sulla eccepita incapacità a testimoniare del teste figlio dell’opposto, richiamando giurisprudenza di legittimità circa la necessità che la nullità della deposizione testimoniale resa da persone incapace sia eccepita subito dopo l’espletamento della prova anche ove eccepita prima dell’assunzione del teste (in ragione della natura disponibile dell’interesse protetto dalle norme invocate) ed osservando, quindi, che nel caso di specie l’appellante non aveva mai eccepito, né prima né dopo, l’incapacità del teste in questione, che, anzi, nella 3° memoria ex art. 183 comma 6° c.p.c. aveva addirittura indicato come teste a prova contraria; (b) ha respinto il motivo d’appello
riguardante l’inammissibilità della prova per testi assunta- in tesi in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2722- 2723 c.c. anche in tal caso richiamando l’orientamento di legittimità -poiché l’appellante non aveva eccepito detta inammissibilità dopo il suo espletamento, né aveva mai chiesto la revoca dell’ordinanza che l’aveva disposta; (c) quanto ai mezzi istruttori richiesti e – in tesi dell’appellante – illegittimamente non ammessi dal Tribunale, ha rilevato che dette richieste non erano state reiterate dalla opponente in sede di precisazione delle conclusioni (avendo ivi solo rilevato che vi erano due procedimenti connessi al giudizio in corso le cui risultanze istruttorie avrebbero dimostrato i suoi assunti circa l’estinzione del debito oggetto dell’opposizione, e chiesto una decisione congiunta); sicché, dovendosi ritenere le medesime rinunciate secondo un consolidato orientamento di legittimità, ne ha ritenuto inammissibile la riproposizione in appello, anche ai sensi dell’articolo 345 c.p.c poiché -ai sensi detta norma- il giudizio di indispensabilità operato dal giudice del gravame è relativo alle sole prove nuove e non a quelle dichiarate inammissibili o tacitamente rinunciate; (d) ha respinto, infine, perché infondata la censura relativa alla decisione sulla infondatezza dell’eccezione di pagamento dei due assegni girati dall’opponente, poiché non era stata fornita alcuna prova della effettiva consegna degli ulteriori assegni a copertura del debito portato dai due titoli originari e girati dalla debitrice; nè a tale carenza poteva sopperire la ammissione in sede di gravame delle istanze istruttorie disattese in prime cure poiché l’appellante era parimenti decaduta dalla possibilità di reiterarle in appello, osservando ( ad abudantiam ) che la consulenza contabile richiesta sarebbe stata, comunque, inammissibile per la natura marcatamente esplorativa della stessa in quanto finalizzata a sopperire ad oneri probatori che erano a carico della parte.
5.- Avverso detta sentenza la sig. COGNOME ha presentato ricorso, affidandolo a cinque motivi di cassazione. Controparte è rimasta intimata. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., ribadendo le ragioni di censura alla decisione già illustrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso assume la violazione e falsa applicazione dell’articolo 372 c.p. per gli effetti dell’articolo 374 c.p. in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio. La ricorrente censura il fatto che il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, abbiano omesso la valutazione della avvenuta estinzione dei crediti portati dagli assegni azionati in sede monitoria, risultante per i titoli all’ordine dell’opposto COGNOME NOME– dalle quietanze di pagamento autenticate, e -per gli altri due titoli emessi da terzi – dalla emissione di ulteriori assegni per maggiori somme asseritamente riscossi.
Ciò assume in quanto il convincimento del giudice di merito sulla insussistenza di detti fatti estintivi si sarebbe fondata su una testimonianza palesemente contraddittoria del figlio del NOME COGNOME NOME che non solo incapace all’ufficio di teste per aver interesse in causa -avrebbe reso una rappresentazione dei fatti difforme dal reale e dichiarazioni contraddittorie.
1.1- Il motivo è chiaramente inammissibile ex art. 348 ter comma 4 c.p.c. -ratione temporis vigente – poiché la censura per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non può essere proposta quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni inerenti i medesimi fatti, come è nella specie alla luce della narrativa in fatto che precede.
2.- Il secondo motivo di ricorso assume violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo d’appello circa la
nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio del contraddittorio. Il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia deciso « sulla base della stabilizzazione di un’ordinanza istruttoria non definitiva e soggetta alle modifiche richieste in appello », reputa cioè -per quanto è dato capire dalla non chiara esposizione – che la sentenza gravata sia nulla per avere la Corte territoriale omesso di valutare « l’assenza di contraddittorio » dovuta al fatto che le istanze istruttorie richieste in primo grado (che, a suo dire, avrebbero consentito una diversa ricostruzione dell’evento fattuale) erano state ingiustamente non ammesse, né dalle stesse la ricorrente poteva essere considerata decaduta avendo insistito per l’ammissione delle stesse in sede d’appello.
2.1- Il motivo è inammissibile. Nel caso di specie la violazione dell’art. 112 c.p.c. quale fonte di nullità delle sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. è stata denunciata in riferimento a profili che esulano dall’ambito di applicazione della norma, in quanto il vizio di omessa pronuncia non è prospettabile in relazione a domande diverse da quelle di merito, secondo il consolidato orientamento di questa Corte: « il mancato esame da parte del giudice, su sollecitazione della parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte. (Cass. n. 7406/2014 )». Nella specie, del resto, la Corte d’appello non ha omesso alcuna pronuncia sul fatto costitutivo dell’eccezione della ricorrente opponente replicata in appello (estinzione del credito fatto valere per effetto dell’asserito avvenuto pagamento), bensì ha respinto il motivo d’appello che riguardava l’erroneità della decisione del
giudice di primo grado sulla ammissibilità delle istanze istruttorie della parte opponente, con motivazione che è immune da censura, che in effetti neppure la ricorrente muove con riguardo alla violazione di norme processuali.
3.- il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli art. 246 e 257 c.p.c. 2722, 2724 c.c. agli effetti degli art. 372 e 374 c.p.
3.1- Per quanto è dato capire dalla confusa esposizione del motivo (che fa riferimento a norme del codice civile diverse da quelle -2222 e 2726 c.c.- erroneamente indicate in rubrica) la ricorrente lamenta che il giudice abbia considerato «stabilizzati» gli effetti di una testimonianza sui fatti di causa contraddittoria e palesemente non veritiera, ammessa in violazione dei limiti richiamati dalle norme del codice civile la cui violazione censura, ed in assenza della assunzione delle prove dalla ricorrente stessa richieste in quanto ritenute tardivamente indicate ed invece – a suo dire- tempestivamente introdotte già con la memoria n. 2 di cui all’articolo 183 comma 6° c.p.c.
In sostanza denuncia che erroneamente il giudice d’appello non avrebbe accolto le censure svolte circa l’inammissibilità della testimonianza resa e ritenuto la ricorrente decaduta dalle istanze istruttorie formulate perché non introdotte tempestivamente.
3.2Il motivo è inammissibile anzitutto per mancanza di autosufficienza ovvero perché formulato in violazione dell’art. 366 comma 1 n. 6 c.p.c. che, imponendo l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre siano riportato in ricorso le deduzioni svolte negli atti del giudizio di merito che sconfessano la decisione censurata del Giudice: regola cui il ricorrente non si è attenuto richiamando solo le pagine degli atti in cui avrebbe espresso le sue contestazioni circa l’ammissibilità della testimonianza e indicato le prove ritenute, invece, tardivamente introdotte. Mentre tale
indicazione puntuale e specifica a sostegno della censura sarebbe stata tanto più necessaria perché, nella specie la Corte d’appello ha disatteso la ragione di impugnazione ex art. 246 c.p.c.(« Incapacità a testimoniare ») osservando (come detto nella narrativa in fatto che precede) che l’appellante «n on ha mai eccepito l’incapacità a testimoniare del teste figlio dell’opposto … né prima né dopo la sua escussione. Anzi nella memoria n. 3 ex art. 183, comma VI, c.p.c., depositata il 21.02. 2009, lo ha addirittura indicato come teste a prova contraria », in conformità a consolidato orientamento di legittimità correttamente richiamato ( S. U. Sentenza n. 9456 del 06/04/2023).
3.3.Con riguardo, poi, alla violazione dell’art. 257 c.p.c. (« Assunzione di nuovi testimoni e rinnovazione dell’esame» ) il ricorrente non illustra neppure perché la sentenza gravata ne avrebbe violato il disposto.
4.- Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1193 c.c. per gli effetti dell’articolo 372 e 374 c.p. in relazione all’articolo 360 primo comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto pare di capire -il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di estinzione dei crediti relativi agli assegni girati dalla ricorrente mediante gli assegni di 12.000,00 euro e di 7000,00 euro asseritamente emessi e consegnati al creditore, poiché in ragione di detta eccezione, era il creditore che avrebbe dovuto provare le condizioni di imputabilità di detti assegni al pagamento di un credito diverso: il giudice non avrebbe considerato detta inversione dell’onere della prova a carico del creditore in presenza di imputazione estintiva da parte del debitore, e, quindi, non avrebbe considerato che la controparte a detto onere probatorio non aveva in alcun modo assolto.
4.1- Il motivo che richiama le norme penali in punto falsa testimonianza (372 c.p.) e frode processuale (374 c.p.) oltre alla
norma civilistica che regola l’imputazione del pagamento in presenza di più crediti, è del tutto inammissibile.
Anzitutto per difetto di autosufficienza in violazione dell’art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c. poiché la ricorrente neppure illustra la ragione della individuata violazione delle norme del codice penale né della nullità della sentenza in ragione di detta violazione. Ed inoltre per l’evidente ragione che il motivo non si confronta con la ratio decidendi, avendo la Corte d’appello respinto l’eccezione per la semplice ragione che ha ritenuto insussistente la prova del «fatto» estintivo dedotto, ovvero della emissione e della consegna dei titoli successivi invocati.
5.- il quinto motivo denuncia violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 4 c.p.c. « In quanto il convincimento del Collegio si è formato in violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c quanto all’apprezzamento del risultanze probatorie ».
5.1- Il motivo -già evidentemente inammissibile per come formulato senza alcuna illustrazione delle ragioni della violazione invocata – si infrange contro il principio, affermato, tra le tante, da Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, « per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ».
Mentre la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è inammissibile perché il ricorrente contesta (genericamente) solo che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, che, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., può dedursi solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
6. – Non è necessario provvedere sulle spese poiché gli eredi di NOME COGNOME NOME, sono rimasti intimati. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, il 10/07/2024.