Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27220 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27220 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12536/2019 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME e COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
nonchè contro
NOME COGNOME,
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n.329/2019 depositata il 24.1.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.10.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari di un lotto con annesso fabbricato, con ricorso del 4.10.2007 al Tribunale di Benevento, chiedevano nei confronti dei frontisti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (il primo usufruttuario e gli altri due nudi proprietari per 1/2 ciascuno), di essere reintegrati nel possesso di una strada di lottizzazione in Comune di Ceppaluni (BN), che collegava due tratti della strada comunale INDIRIZZO ed era fiancheggiata dalle proprietà dei lotti assegnati alle parti, realizzata con la larghezza di sette metri sulla base delle previsioni dell’atto del AVV_NOTAIO del 24.11.1964, col quale erano stati assegnati i lotti ricompresi nel piano di lottizzazione.
Lamentavano i ricorrenti che le controparti il 10.8.2007 avevano demolito una preesistente rete metallica di delimitazione della proprietà, realizzando, in posizione più avanzata, un muro in cemento armato, inglobando una striscia della strada, e riducendone l’ampiezza da 7 metri a 6,20 metri proprio in corrispondenza della loro proprietà, rendendo così disagevoli oltre al passaggio, le manovre dei mezzi in entrata ed in uscita ed il
parcheggio, e chiedevano quindi la condanna dei COGNOME–COGNOME all’eliminazione del muro, con ripristino della larghezza di sette metri della strada, ed il risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano i COGNOME–COGNOME, che negavano di avere ristretto la strada di lottizzazione, e sostenevano che in passato la rete metallica era separata da tale strada da uno scivolo in cemento, che consentiva di accedere al loro fondo, lievemente sopraelevato.
Il ricorso, respinto nella fase sommaria, nella quale era stata espletata solo una CTU, veniva accolto dal Tribunale di Benevento in composizione collegiale in sede di reclamo, previa audizione dei sommari informatori.
Nel conseguente giudizio di merito possessorio il Tribunale di Benevento, con la sentenza n. 570/2012, condannava i COGNOMECOGNOME a ripristinare lo stato dei luoghi con arretramento del muro di recinzione dove il tracciato della strada di lottizzazione risultava di larghezza inferiore a sette metri, rigettando invece la domanda dei COGNOME di risarcimento danni.
Appellata la sentenza dai COGNOME–COGNOME, la Corte d’Appello di Napoli, nella resistenza dei COGNOME, con la sentenza n. 329/2019, accoglieva l’appello, ed in riforma della sentenza di primo grado, respingeva il ricorso possessorio dei COGNOME, che condannava alle spese del doppio grado.
La Corte d’Appello di Napoli, dopo avere ricordato che in materia di ricorso possessorio l’onere della prova del possesso, che era una stuazione di fatto, gravava sulla parte ricorrente, e che non trattandosi di un giudizio petitorio, il titolo del diritto reale corrispondente poteva essere utilizzato solo ad colorandam possessionem, ma non poteva sostituire la prova del possesso medesimo, riteneva dall’approfondito esame e confronto delle contraddittorie testimonianze raccolte, della CTU, delle foto e dei documenti, che non fosse stato univocamente provato dai COGNOME, che ne avevano l’onere, che il muro di recinzione degli appellanti
avesse determinato un restringimento della strada di lottizzazione con pregiudizio del possesso del passaggio da loro esercitato nell’anno precedente al ricorso del 4.10.2007, e che comunque non si era verificata una restrizione della strada di lottizzazione tale da produrre un’apprezzabile riduzione della possibilità di utilizzo della strada da parte dei COGNOME e da essere tutelabile attraverso l’azione di spoglio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso a questa Corte COGNOME NOME con due motivi, ed hanno resistito con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
E’ stata formulata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c. per inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso, ed il legale di COGNOME NOME, munito di procura speciale, ha presentato istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c..
Il solo ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 1063, 1145 comma 2°, 1168 e 2697 cod. civ.
In particolare il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia considerato irrilevante ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio del giudizio possessorio l’atto pubblico del 24.11.1964, col quale era stata prevista la strada di lottizzazione larga sette metri, ancorché l’art. 1063 cod. civ. preveda che ” l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolate dal titolo “, e benché la giurisprudenza della Suprema Corte consenta di utilizzare il titolo per meglio determinare i contorni di un possesso già altrimenti dimostrato (Cass. 22.4.1981 n. 2359). Ulteriormente lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello, pur non avendo messo in discussione la legittimazione dei ricorrenti all’azione di spoglio ex art. 1145
comma 2° cod. civ., nel ritenere comunque non apprezzabile la lesione possessoria lamentata, non abbia tenuto conto del fatto che l’atto pubblico del 24.11.1964 prevedeva comunque una larghezza della strada di lottizzazione di sette metri, e del fatto che i ricorrenti avevano lamentato, oltre alla lesione del passaggio esercitato, anche la menomazione delle facoltà di parcheggio sulla strada e di manovra dei mezzi in entrata ed in uscita dalla loro proprietà.
Il primo motivo é manifestamente infondato, in quanto l’art. 1063 cod. civ. si riferisce alle cause petitorie e non ai giudizi possessori, in cui il ricorrente deve anzitutto fornire prova della situazione di fatto invocata ed il titolo può essere utilizzato solo ad colorandam possessionem, ossia per determinare i contorni di un possesso già altrimenti dimostrato (Cass. 1.8.2017 n. 19144; Cass. 22.4.1981 n. 2359), e nella specie la Corte d’Appello, attraverso un’approfondita valutazione delle contraddittorie prove testimoniali, delle foto, dei documenti e della CTU, ha ritenuto, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, che gli originari ricorrenti non abbiano dimostrato l’esercizio del possesso del passaggio del quale hanno chiesto tutela nell’anno anteriore all’atto introduttivo (vedi sul riferimento a tale periodo Cass. 26.4.1984 n.2628), e non c’é dubbio che nei giudizi possessori incomba sulla parte ricorrente l’onere di fornire prova della situazione di fatto della quale si chiede tutela, mentre non può essere invocata la violazione dell’art. 2697 cod. civ. al fine di ottenere, in sede di legittimità, una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, espressione del principio del libero convincimento (vedi ex multis Cass. 14.3.2024 n. 6785; Cass. sez. un. 25.10.2013 n. 24148).
Quanto alla doglianza del ricorrente circa la mancata considerazione del fatto che erano stati lamentati oltre alla lesione del possesso della servitù di passaggio, anche quella della facoltà di parcheggio sulla strada di lottizzazione e di manovra in entrata ed
in uscita dei veicoli dalla sua proprietà, per come formulata é inammissibile, in quanto volta ad ottenere un diverso accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità, rispetto a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, che peraltro ha escluso che sia stato provato univocamente il restringimento del tracciato stradale, incidente su tutte le facoltà che si intendevano tutelare (passaggio, parcheggio, manovra dei veicoli in entrata ed in uscita).
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. c.p.c., la violazione degli articoli 2697 cod. civ. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. per omesso esame delle prove testimoniali, della CTU e della foto del 24.5.2007, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., l’inversione dell’onere probatorio, in quanto sarebbe stata la controparte a dover dimostrare che la servitù di passaggio di originari sette metri era stata ridotta prima della costruzione del muro di recinzione del quale era stata chiesta la demolizione.
Anche a voler ritenere superabile la promiscua prospettazione di censure attinenti a profili di violazione di legge che presuppongono accertati i fatti, e di censure che invece attengono alla compiuta ricostruzione del fatto, il che rimette alla Corte la selezione delle doglianze meritevoli di accoglimento, il secondo motivo é manifestamente infondato.
Avendo i destinatari del ricorso possessorio contestato ab origine l’estensione del possesso del passaggio esercitato dai COGNOME prima della costruzione del loro muro di recinzione, prima ancora di dedurre che la larghezza del passaggio si era ristretta rispetto a quella originaria di sette metri prevista nell’atto del AVV_NOTAIO del 24.11.1964, erano anzitutto i COGNOME che dovevano fornire prova del possesso di un passaggio della larghezza di sette metri nell’anno anteriore alla presentazione del ricorso introduttivo, e la Corte d’Appello ha ritenuto non raggiunta tale prova, non dovendo quindi
applicare il principio dell’onere della prova per i fatti estintivi di una situazione possessoria che non era stata dimostrata.
Inammissibile é poi la doglianza formulata col secondo motivo ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, (Cass. 14.3.2024 n.17157; Cass. sez. un. 30.9.2020 n. 20867) in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che a fondamento della decisione siano state poste prove non introdotte dalle parti, ma disposte dal giudice di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, ed inoltre la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, che nella specie non sono stati dedotti.
Alla reiezione del ricorso segue la condanna di COGNOME NOME al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo, nonché al risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c. ed al pagamento in favore della Cassa delle Ammende ex art. 96 comma 4° c.p.c. nelle misure
precisate in dispositivo per la conformità della decisione alla proposta di definizione anticipata.
Sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico del ricorrente, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 2.100,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, del risarcimento danni ex art. 96 comma 3° c.p.c., liquidati in € 2.100,00, ed al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 3.000,00. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.10.2024