Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18895 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20971/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall ‘ AVV_NOTAIO del Verme, domicilio digitale p.e.c.: EMAIL
-ricorrente –
contro
FALLIMENTO N. 20/2018 RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall ‘ AVV_NOTAIO, domicilio digitale p.e.c.:
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE CASERTA
-intimate – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di RAGIONE_SOCIALE n. 2022/2021, pubblicata in data 1° giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Fatti di causa
Nell ‘ ambito di procedura esecutiva mobiliare presso terzi, promossa da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della debitrice RAGIONE_SOCIALE e del terzo pignorato RAGIONE_SOCIALE, spiegava intervento, prima della dichiarazione di fallimento, la società RAGIONE_SOCIALE, quale creditrice della debitrice, in forza di due decreti ingiuntivi.
La debitrice esecutata, costituendosi in giudizio, contestava il diritto della società intervenuta di procedere all ‘ esecuzione, sull ‘ assunto che il credito rivendicato fosse stato già integralmente soddisfatto.
Disposta la sospensione dell ‘ esecuzione e introdotto il giudizio di merito, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accoglieva l ‘ opposizione e, per l ‘ effetto, dichiarava ‹‹ nullo e privo di efficacia l ‘ intervento spiegato dalla RAGIONE_SOCIALE ›› , nel frattempo fallita.
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato la suddetta sentenza dinanzi alla Corte d ‘ appello di RAGIONE_SOCIALE, che ha parzialmente accolto l ‘ appello, dichiarando ‹‹ legittimo l ‘ intervento in relazione al decreto
ingiuntivo n. 7407/2006 ›› , limitatamente all ‘ importo di euro 29.323,02, per sorte, oltre interessi.
In sintesi, la Corte territoriale ha osservato che la debitrice esecutata non aveva fornito prova dell ‘ avvenuto pagamento del credito portato dalle fatture azionate con il decreto ingiuntivo n. 7407/2006, dando atto che il mandato di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO, impartito dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in data 21 novembre 2007 al tesoriere Banco San Paolo Imi RAGIONE_SOCIALE.p.a., dimostrava soltanto il pagamento effettuato in favore della società RAGIONE_SOCIALE, in esecuzione di un complesso accordo transattivo che prevedeva che quest ‘ ultima avrebbe dovuto provvedere al pagamento dei debiti e poi sarebbe stata rimborsata dall ‘ RAGIONE_SOCIALE; il mandato di pagamento, pur riferendosi alle fatture azionate con il decreto ingiuntivo, costituiva prova dell ‘ avvenuto rimborso dall ‘ RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, ma non del pagamento effettuato in favore di RAGIONE_SOCIALE, come confermato dal fatto che l ‘ ordine di pagamento riportava l ‘ indicazione dell ‘ accredito delle somme sul conto ‘ 01020503 -Depositi c/o istituto cassiere ‘ , non intestato alla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della sentenza d ‘ appello, con un unico motivo.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
In data 21 gennaio 2024 è stata depositata proposta di definizione del giudizio ai sensi dell ‘ art. 380bis cod. proc. civ., per la rilevata inammissibilità del ricorso, comunicata in data 25 gennaio 2024. Con istanza depositata il 23 febbraio 2004, alla quale è stata allegata procura, la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l ‘ adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il Collegio si è riservato il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
Con l ‘ unico motivo la ricorrente denunzia ‹‹violazione dell’ art. 116 cod. proc. civ., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per avere la Corte d ‘ appello ritenuto non dimostrato il pagamento effettuato alla RAGIONE_SOCIALE, ma solo il rimborso fatto dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE››.
Sostiene che la Corte d ‘ appello non avrebbe fatto buon governo del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l ‘ adempimento dell ‘ obbligazione pecuniaria da parte dell ‘ Amministrazione deve ritenersi eseguito, con conseguente liberazione dalla prestazione dovuta, mediante l ‘ emissione dell ‘ ordinativo di pagamento, non essendo applicabile per i debiti dell ‘ Amministrazione la regola del pagamento al domicilio del creditore, stabilita dall ‘ art. 1182 cod. civ.
Ribadisce che le fatture portate dal decreto ingiuntivo n. 7407/2006 erano state integralmente pagate alla RAGIONE_SOCIALE a mezzo dell ‘ ordinativo di pagamento n. 6541/2007, che era stato emesso in attuazione della transazione stipulata in data 23 febbraio 2007 e della contestuale cessione dei crediti pro soluto conclusa tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, e che l ‘ avvenuta estinzione del debito trovava riscontro nella certificazione di pagamento rilasciata dall ‘ Istituto tesoriere in data 10 dicembre 2007, emergente dal timbro ‘ pagato ‘ .
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Conformemente a quanto evidenziato nella proposta di definizione accelerata, la censura non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata, che poggia sul rilievo,
effettivamente dirimente, che l ‘ ordinativo di pagamento n. 6541 del 21 novembre 2007 non è riferibile alla creditrice opposta, RAGIONE_SOCIALE, odierna controricorrente, ma piuttosto alla società RAGIONE_SOCIALE
2.2. Difatti, la ricorrente, anche in questa sede, si limita a ribadire di avere pienamente assolto al proprio onere probatorio, ossia di avere dimostrato di avere integralmente estinto il debito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, attraverso la produzione dell ‘ ordinativo di pagamento, trascurando di considerare che il giudice d ‘ appello, in esito alla valutazione del corredo probatorio, ha escluso che il richiamato mandato di pagamento fornisse prova del pagamento del credito azionato da RAGIONE_SOCIALE con il decreto ingiuntivo n. 7407/2006.
2.3. La Corte territoriale ha fondato la decisione adottata sulle seguenti considerazioni: a) l ‘ ordine di pagamento si inseriva nell ‘ ambito di un più complesso accordo transattivo, al quale avevano partecipato la stessa debitrice esecutata, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale quest ‘ ultima si era obbligata ad estinguere i crediti vantati dai privati nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale e, tra questi, anche quelli della società poi fallita, per poi ottenere il rimborso di quanto versato dalla RAGIONE_SOCIALE, odierna ricorrente; b) il mandato di pagamento eseguito dalla ricorrente il 21 novembre 2007, pur facendo espresso riferimento alle fatture di cui era stato ingiunto il pagamento con decreto n. 7407/2006, era stato accreditato su conto ‘ 01020503 ‘ , non intestato alla RAGIONE_SOCIALE, la quale, in sede di accordo transattivo aveva indicato quale conto corrente bancario sul quale versare le somme ad essa dovute quello contraddistinto dal diverso numero ‘ NUMERO_DOCUMENTO ‘ , acceso presso il Banco di RAGIONE_SOCIALE, agenzia di RAGIONE_SOCIALE.
2.4. Le contestazioni, che la ricorrente reitera con la doglianza qui in esame, si risolvono, quindi, in una critica alla valutazione del
materiale probatorio svolta dal giudice d ‘ appello.
Invero, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell ‘ art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘ , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867).
Il motivo, quindi, sia pure sotto l ‘ apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, è volto a criticare il convincimento che il giudice si è formato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza, ed opera interamente sul piano dell ‘ apprezzamento di merito riservato in via esclusiva al giudice ed è, come tale, insindacabile in sede di legittimità (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940; Cass., sez. 1, 01/03/2022, n. 6774; Cass., sez. 5, 22/11/2023, n. 32505).
La denuncia di violazione dell ‘ art. 116 cod. proc. civ., dunque, solo apparentemente veicola un vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto e si traduce piuttosto nella denuncia di un ‘ errore di fatto ‘ , che, d ‘ altro canto, neppure è riconducibile nel paradigma dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nuova
formulazione, deducibile soltanto in caso di omesso esame di un fatto storico controverso, inteso quale fatto fenomenico, che sia tato oggetto di discussione ed appaia decisivo ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per censurare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 803 e n. 8054; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
Conseguentemente, non pertinente è il richiamo alla giurisprudenza di legittimità dettata in tema di adempimento dell ‘ obbligazione pecuniaria da parte dell ‘ Amministrazione, dal momento che, nel caso de quo , il giudice d ‘ appello non ha messo in discussione l ‘ avvenuto pagamento delle somme mediante il mandato di pagamento, ma ha piuttosto rilevato che quel pagamento è avvenuto in favore della RAGIONE_SOCIALE e non anche in favore della creditrice RAGIONE_SOCIALE: evidentemente escludendo, per la conclamata diversità tra i due soggetti, l’ accipiens e la creditrice, che il pagamento alla prima potesse valere per la debitrice per l’estinzione del debito verso la seconda.
Va, dunque, dichiarata l ‘ inammissibilità del ricorso.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ.
Come chiarito dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n. 36069/2023, ‹‹ richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l ‘ art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l ‘ art. 380bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del
processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata sanzionabile con la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore a euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, cod. proc. civ., ove, appunto il legislatore usa la locuzione ‹‹ altresì ›› ) (v. Cass., sez. U, 22/09/2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale) ›› .
Anche se va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, nell ‘ ipotesi in esame non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla previsione legale, stante la complessiva ‘ tenuta ‘ , pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l ‘ inammissibilità del ricorso, senza parlare della totale carenza di motivazione della successiva istanza di decisione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, della somma di euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento, in favore del controricorrente, ai sensi dell ‘ art. 96, terzo comma, c.p.c., della ulteriore somma di euro 5.500,00 ed al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della ulteriore somma di euro 5.000,00.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione