Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1600 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1600 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10574/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME (C.F. avvocato, difensore di sé stesso;
CODICE_FISCALE),
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) (P_IVA), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende, giusto procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 578/2019 della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 25.01.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
La vicenda processuale, per quale che qui ancora rileva, può riassumersi nei termini seguenti:
-il Tribunale di Roma, accolta l’opposizione avanzata da NOME COGNOME, revocò il decreto ingiuntivo emesso a carico dell’opponente, per l’importo di € 30.077,37, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, avente titolo nella mancata restituzione dei benefici erogati ai sensi della l. n. 608/1996 (cd. ‘prestito d’onore’);
-accolta l’impugnazione dell’opposta, la Corte d’appello di Roma rigettò l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo.
Le ragioni del diverso opinamento del Giudice di secondo grado possono sintetizzarsi siccome segue.
2.1. Il Tribunale aveva affermato che l’AVV_NOTAIO, il quale aveva usufruito dei benefici di cui alla legge sopra richiamata, ricevuta la comunicazione da parte dell’ente finanziatore, in data 27/1/2014, con la quale era stato informato che, in applicazione della sopraggiunta legge n. 350/2003, la scrivente era autorizzata ad accettare a saldo, senza svolgere istruttoria, il pagamento nella misura non minore del 50% dei crediti ‘incagliati’, aveva, con lettera raccomandata del 25/2/2004, accettato la proposta, allegando un assegno postale dell’importo di € 7.029,20, a titolo di pagamento delle rate insolute e saldo definitivo del finanziamento.
Il Giudice di prime cure aveva disatteso la tesi dell’opposta, la quale aveva affermato di avere ricevuto solo la lettera, con la quale il professionista aveva manifestato la propria adesione, non accompagnata da alcun assegno; inoltre, il 5/1/2006 aveva
riscontrato il pagamento di € 1.615,86, corrispondente all’ammontare della prima rata del piano di ammortamento del mutuo, il cui mancato rispetto aveva causato la revoca del finanziamento e la restituzione dei contributi erogati, ivi incluso il prestito agevolato di £ 14.847,2 (l’unico da rimborsarsi in cinque anni).
2.2. La Corte d’appello, dopo avere disatteso l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione avanzata dall’appellato ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., ribalta la decisione del Tribunale attraverso il complesso argomentativo che qui si sintetizza.
A fronte di una copia della missiva (diversa da quella con la quale aveva manifestato l’accettazione), alla quale il COGNOME aveva dichiarato di avere allegato l’assegno postale n. 498719896 -9, dell’importo di € 7.029,20, intestato a RAGIONE_SOCIALE, il modulo di adesione, che l’appellato affermava avere spedito, in uno alla nota con allegato l’assegno, non recava riferimento alcuno all’assegno.
L’Ente aveva dedotto che la raccomandata conteneva solo il modulo di adesione al condono; che la ricevente non avrebbe potuto provare il fatto negativo; che non era stata contestata la lettera del 15/5/2004, con la quale l’Ente aveva comunicato al COGNOME l’esistenza di un debito per rate scadute e interessi di mora al 30/9/2003, di € 1.676,55.
Doveva reputarsi <>, che sarebbe stato non dovuto <>.
<>, con pagamento da effettuarsi entro trenta giorni, pena recupero coattivo.
Il creditore aveva provato il titolo mediante produzione del contratto di finanziamento e, pertanto, sarebbe spettato al debitore dimostrare di avere pagato quanto dovuto.
La matrice dell’assegno non assumeva rilevanza probatoria, poiché da essa non era dato risalire all’effettiva negoziazione del titolo.
Il COGNOME non aveva assolto all’onere su di lui gravante di dimostrare l’adempimento mediante la produzione di copia dell’estratto conto, oppure dell’assegno, dai quali ricavare l’effettivo incasso da parte del creditore.
Il COGNOME, dopo avere disconosciuto come propria la firma apposta in calce alla copia dell’avviso di ricevimento della delibera di revoca dei benefici, dopo che l’RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto l’originale della ricevuta, non aveva provveduto, come era suo onere, a disconoscere la sottoscrizione ivi apposta.
L’eccezione di errata quantificazione della somma complessivamente dovuta andava disattesa perché il computo era stato effettuato sulla base di clausola <>; nonché in quanto essa eccezione era fondata <>; inoltre, il COGNOME non aveva mai contestato in modo specifico il conteggio.
AVV_NOTAIO propone ricorso avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro censure, ulteriormente illustrate da memoria.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) resiste con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente impugna la sentenza <>.
Afferma il ricorrente che, per contro, aveva provveduto al disconoscimento alla prima udienza di comparizione del 4/10/2012 e, successivamente, dopo che era stato prodotto l’originale, nella prima udienza del 3/4/2013, successiva al deposito effettuato dalla controparte con la memoria ex art. 183, co. 6, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo il COGNOME, riportata la parte motiva con la quale era stata rigettata l’eccezione avanzata in ordine alla quantificazione dell’ammontare asseritamente dovuto, afferma che il contratto, al contrario di quanto asserito in sentenza, era stato prodotto.
Con il terzo motivo il ricorrente, riportata la parte motiva con la quale era stata disattesa la prospettazione del ricorrente in ordine al pagamento dell’importo determinato in adesione al condono, sostiene che la prova documentale offerta avrebbe dovuto essere sconfessata <>.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta il rigetto dell’eccezione d’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ.
Si evidenzia che l”atto d’appello aveva omesso di specificare <>, mancando, in definitiva, la parte argomentativa dello strumento impugnatorio.
Il quarto motivo, che per ragioni logiche, va esaminato per primo, è privo di giuridico fondamento.
La Corte di merito si è specificamente soffermata sul punto negando che l’appellante fosse incorsa nell’ipotesi d’inammissibilità contemplata dall’art. 342 cod. proc. civ.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che gli artt. 342 e 434, cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (S.U. n. 27199, 16/11/2017, Rv. 645991; conf., ex multis, da ultimo, Cass. n. 13535/2018, n. 36481/2022, S.U. n. 36481/2022Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Dall’esposto principio di diritto si è ulteriormente chiarito che non può considerarsi aspecifico e deve, quindi, essere dichiarato ammissibile, il motivo d’appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione (senza necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, le vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno, riporti analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l’impugnazione a critica vincolata (Sez. 2, n. 7675, 19/03/2019, Rv. 653027).
L’appellante, come non manca di riportare la sentenza (pagg. 4 e 5), aveva puntualmente evidenziato le motivate ragioni di dissenso dell’appellante rispetto alla sentenza di primo grado, in ordine alla ricostruzione fattuale e processuale e alle inferenze tratte, così pienamente soddisfacendo la prescrizione di cui all’art. 342 cod. proc. civ., nel pieno rispetto dei principi di diritto enunciati in sede di legittimità sul punto.
Gli altri motivi sono accomunati dalla scarsa aderenza alla griglia di cui all’art. 360 cod. proc. civ.
Come le Sezioni unite hanno già avuto modo di riaffermare il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1 c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (ord. n. 3245, 08/11/2021, Rv. 662880). In precedenza,
si era spiegato che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (Sez. 6-2, n. 11603, 14/05/2018, Rv. 648533; si veda pure in senso conforme Cass. n. 19959/2014).
Nel caso in esame i restanti motivi avversano singoli passaggi motivazionali della sentenza d’appello e le relative conclusioni, presentando una struttura assai vicina alla devoluzione d’appello, non immediatamente correlabile con le ipotesi tassative di cui all’art. 360 cod. proc. civ.
Tuttavia, la scarsa tassatività e specificità, superata da una, pur non agevole, lettura dell’insieme censorio, permette di enucleare e perimetrare le critiche alla stregua dei parametri di cui all’art. 360 cod. proc. civ., così consentendo di scrutinare le doglianze (in questa direzione S.U. n. n. 3245, 08/11/2021, Rv. 662880 cit.).
10. Il primo motivo è inammissibile per difetto di decisività.
Non è dubbio che il finanziamento venne erogato e le agevolazioni furono revocate a seguito dell’inadempimento del ricorrente. La decisione dell’Ente non necessitava di forme solenni o vincolate, costituendo atto ricognitivo dell’inadempimento del
beneficiario, che può essere contestato anche con l’azione giudiziale, nella specie costituita dalla richiesta dell’ingiunzione.
Il secondo motivo è inammissibile poiché non attinge la ‘ratio decidendi’.
La revoca ebbe a riguardare sia il mutuo che il complesso delle agevolazioni erogate. Di conseguenza, la critica non coglie nel segno, essendosi immediatamente sopra chiarito che non assume rilievo alcuno la questione riguardante il disconoscimento della firma da parte del ricorrente.
Il terzo motivo è destituito di giuridico fondamento.
Spettava, invero, al ricorrente, debitore della somma mutuata, dimostrare di avere adempiuto al proprio obbligo. Prova che, come si è visto, la Corte d’appello, con giudizio di merito in questa sede non sindacabile, ha reputato non essere stata resa.
Nel suo complesso il ricorso merita, quindi, rigetto.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, a carico della ricorrente e in favore del controricorrente, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre