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Onere della prova nullità contratto: la Cassazione

Un correntista ha citato in giudizio una banca per la nullità di alcune clausole di due contratti di conto corrente. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo un punto fondamentale sull’onere della prova nullità contratto. La Suprema Corte ha stabilito che, poiché la domanda del cliente era volta a contestare la validità di specifiche clausole e non l’esistenza stessa del contratto scritto, l’onere di dimostrare tale nullità gravava sul correntista stesso, che non vi aveva adempiuto.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della prova nullità contratto: chi deve dimostrare cosa?

La questione dell’onere della prova nullità contratto bancario è da sempre al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale. A chi spetta dimostrare l’invalidità di una clausola contrattuale? Al cliente che la contesta o alla banca che la difende? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento decisivo, sottolineando l’importanza di come viene formulata la domanda giudiziale iniziale.

I Fatti di Causa

Un correntista, insieme alla sua garante, aveva avviato un’azione legale contro un istituto di credito. L’oggetto della controversia erano due contratti di conto corrente. Il cliente chiedeva l’accertamento del saldo reale e la restituzione delle somme che riteneva indebitamente versate. La domanda si fondava sulla presunta nullità di diverse clausole contrattuali, tra cui quelle relative alla determinazione del tasso di interesse ultralegale, alla capitalizzazione trimestrale, alla commissione di massimo scoperto e all’applicazione di spese aggiuntive.

In primo grado, il Tribunale aveva parzialmente accolto le ragioni del correntista. Tuttavia, la banca aveva impugnato la decisione.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto completamente le domande del cliente. Il motivo principale della decisione risiedeva proprio nella questione dell’onere probatorio. Secondo i giudici di secondo grado, il correntista non aveva adempiuto al proprio onere di provare la nullità delle clausole contestate. Di conseguenza, è stato respinto anche l’appello incidentale del cliente, che verteva sulla restituzione di somme ritenute erroneamente addebitate.

L’onere della prova nullità contratto davanti alla Cassazione

Il correntista ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo. Egli sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nell’applicare le norme sull’onere della prova nullità contratto (in particolare l’art. 2697 c.c.). A suo dire, la sua contestazione si fondava sulla radicale assenza di un contratto stipulato per iscritto. Pertanto, essendo chiamato a dimostrare un fatto negativo (la non esistenza del contratto), la prova non poteva essere posta a suo carico.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondata la censura del ricorrente. La Suprema Corte ha chiarito che l’interpretazione della domanda giudiziale è un accertamento riservato al giudice di merito. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente interpretato la domanda del correntista non come una contestazione della totale assenza di un contratto scritto, ma come una denuncia della nullità di singole clausole contenute in contratti la cui esistenza non era in discussione.

La Corte ha osservato che questa interpretazione era supportata anche dal comportamento processuale del cliente. Di fronte alle allegazioni della banca sull’avvenuta stipulazione scritta dei contratti, il correntista non aveva contestato tale circostanza, ma aveva incentrato le sue difese sull’analisi degli estratti conto per dimostrare la fondatezza delle sue pretese.

Di conseguenza, la domanda doveva intendersi come un’azione di accertamento negativo basata sulla nullità di specifiche clausole di contratti esistenti, e non come una domanda di nullità radicale del rapporto per vizio di forma. In un simile scenario, l’onere della prova nullità contratto, o meglio delle sue singole clausole, grava su chi agisce in giudizio per farla valere. Il correntista, avendo agito per l’accertamento del saldo e la ripetizione dell’indebito, avrebbe dovuto dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, ossia l’invalidità delle clausole che avevano generato gli addebiti contestati. Non avendolo fatto, la sua domanda è stata correttamente respinta.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la corretta qualificazione della domanda giudiziale è cruciale per determinare su chi ricada l’onere della prova. Se un cliente contesta la validità di specifiche clausole (interessi, commissioni, etc.) all’interno di un rapporto contrattuale, spetta a lui fornire la prova di tale nullità. La situazione sarebbe diversa solo nel caso in cui la contestazione riguardasse l’assenza assoluta della forma scritta del contratto, un’ipotesi che però non è stata riscontrata nel caso di specie. Questa decisione serve da monito sull’importanza di una strategia processuale chiara e ben definita fin dal primo atto del giudizio.

A chi spetta l’onere della prova se si contesta la nullità di una clausola di un contratto bancario?
Secondo la Corte, l’onere della prova spetta al cliente che agisce in giudizio per far dichiarare la nullità della clausola e ottenere la restituzione delle somme.

Qual è la differenza tra contestare la nullità dell’intero contratto per vizio di forma e quella di singole clausole?
Contestare l’intero contratto per mancanza della forma scritta è una domanda di nullità radicale del rapporto. Contestare singole clausole (es. interessi ultralegali) presuppone l’esistenza del contratto e mira a far dichiarare invalide solo quelle specifiche pattuizioni. L’onere della prova si atteggia diversamente nei due casi.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso del correntista?
La Corte ha ritenuto che il motivo del ricorso si basasse su un’errata interpretazione della domanda originaria. La domanda non verteva sulla mancanza del contratto scritto, ma sulla nullità di clausole specifiche. Pertanto, la Corte d’Appello aveva correttamente attribuito l’onere della prova al correntista, e la censura mossa in Cassazione era inconcludente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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