Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25923 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25923 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2557/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale p.t., COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 797/2022, depositata il 05/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
RAGIONE_SOCIALE, premesso di essere stata autorizzata alla voltura dell’autorizzazione e dell’accreditamento del RAGIONE_SOCIALE, e di avere stipulato una convenzione, ex art. 8 quinquies d.lgs. 502/1992, per l’erogazione delle prestazioni sanitarie per tutto il 2013, il cui art. 3, comma 3.2, ricomprendeva le prestazioni già erogate nel corso del 2013 nel tetto massimo annuo, citava in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al pagamento delle prestazioni erogate nel 2013, ma prima della stipulazione della convenzione, pari all’importo di euro 66.619,68, oltre al risarcimento del danno, denunciando l’inadempimento contrattuale e la violazione dei doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione della convenzione, nonché, in via subordinata, l’indebito arricchimento ex art. 2041 cod.civ.
La convenuta, costituitasi, oltre a chiedere il rigetto delle domande attoree, in via riconvenzionale, domandava che fosse accertata la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano la remunerazione delle prestazioni per il periodo antecedente il rinnovo dell’accreditamento.
Con sentenza n. 2241/2019, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE respingeva la domanda attrice, ritenendo non remunerabili le prestazioni erogate quando ancora non era stata autorizzata la voltura dell’accreditamento ed anzi sussistevano gli impedimenti all’autorizzazione, non potendo l’amministrazione RAGIONE_SOCIALE acquistare prestazioni da una struttura privata non accreditata; accoglieva la domanda riconvenzionale e dichiarava la nullità
dell’art. 3.2. e, in parte, dell’art. 9.1.del contratto, per contrarietà a norme imperative.
Infine, rigettava la domanda ex art. 2041 cod.civ., non ravvisando l’impoverimento non remunerato in base ad una giusta causa, non potendosi aggirare il divieto della struttura privata non accreditata di erogare prestazioni con oneri a carico del SSN, non avendo l’attrice invocato l’indennità di cui all’art. 2041 cod.civ., ma solo il pagamento del corrispettivo, oltre agli interessi di mora.
La Corte di Appello, con la sentenza n. 797/2022, depositata il 05/07/2022, applicando il principio della ragione più liquida, ha rilevato che ‘presupposto del complessivo impianto difensivo della RAGIONE_SOCIALE era l’avere eseguito un determinato volume di prestazioni sanitarie di cui chiedeva la remunerazione, che la determinazione del quantum e la ( teorica ) individuazione delle prestazioni di cui si chiedeva il pagamento era avvenuta con la prima memoria ex art. 183 VI comma cod.proc.civ. nella quale, tuttavia, si richiamavano fatture di cui si predicava la già avvenuta allegazione, ma di detta produzione in atti non vi era traccia’. Ha concluso che, sebbene l’impianto difensivo della ASP convenuta si fosse incentrato sulla eccezione relativa alla mancanza dell’accreditamento, ‘dopo il deposito della memoria della RAGIONE_SOCIALE sopra citata, l’RAGIONE_SOCIALE con l’ultima memoria ex art. 183 VI comma cod.proc.civ. ha espressamente preso posizione anche sul quantum deducendo di avere tempestivamente contestato tutte le fatture del 2013 e producendo la nota della direttrice dei servizi Finanziari con la quale si comunica l’avvenuta contestazione. Tutto questo per evidenziare che sul volume e l’ammontare delle prestazioni rese non può ritenersi esistente la non contestazione ex art. 115 cod.proc.civ. Deriva da tanto che, indipendentemente dalla fondatezza dei motivi di censura, la Corte non potrebbe mai arrivare all’accoglimento della domanda nei termini formulati ovvero pagamento dell’importo di euro 66.619,68 non avendo
alcun riscontro obiettivo in ordine alla natura e al volume delle prestazioni rese. Tale carenza probatoria, peraltro, appare parimenti ostativa all’accoglimento anche della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento il cui presupposto fattuale è comunque costituito dall’erogazione delle medesime prestazioni’.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi.
Resiste con controricorso l’ RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e della violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.
Ciò che viene imputato alla Corte d’appello è di aver deciso la causa secondo la ragione asseritamente più liquida, non tenendo in minima considerazione i fatti di causa pacifici fra le parti e, anzi, disattendendoli apertamente. I n specie, la ricorrente rappresenta che: a) aveva dettagliatamente elencato – fin dall’atto di citazione di primo grado – le singole fatture per le prestazioni erogate, con specifica indicazione del rispettivo importo in euro, nonché del n. di protocollo assegnato dall’ASP all’atto della relativa consegna, b) l’RAGIONE_SOCIALE, in tutti i suoi atti e scritti (fin dalla comparsa di costituzione e risposta in primo grado) aveva contestato sempre e solo unicamente la debenza e/o esigibilità -mai l’effettiva erogazione, mai nemmeno la relativa quantificazione – dandone, anzi, per pacifica l’effettiva erogazione, c) le stesse parti avevano dato atto dell’effettiva erogazione delle prestazioni 2013 nel
contratto stipulato ai sensi dell’art. 8 quinquies D.Lgs. 502/92 per il relativo anno, depositato in atti, d) lo stesso Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, nella motivazione della sentenza di primo grado, dava -correttamente – esplicitamente atto della pacifica erogazione delle prestazioni per cui è causa.
Il motivo è inammissibile.
Esso non ha i caratteri di un vizio cassatorio, ma semmai di un errore di fatto revocatorio. Quest’ultimo ricorre, infatti, quando: i) a decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; il) il fatto su cui cade l’errore non ha costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato, perché l’errore presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza agli atti e documenti processuali sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 329 cod.proc.civ., dell’art. 2909 cod.civ. e dell’art. 112 cod.proc.civ.;
La tesi della ricorrente è che sia passata in giudicato la statuizione con cui il Tribunale aveva ritenuta che l’RAGIONE_SOCIALE avesse incamerato le prestazioni rese nel corso 2013, non essendo essa stata fatta oggetto di appello incidentale (in appello la Asp aveva chiesto di confermare la sentenza di prime cure, insistendo sulla non remunerabilità delle prestazioni rese quando ancora non era accreditata, sicché la decisione della Corte d’Appello si porrebbe in aperto contrasto con gli artt. 329 cod.proc.civ. e 2909 cod.civ., per aver violato il giudicato conseguente all’acquiescenza dell’appellato al capo della sentenza che riconosceva l’erogazione delle prestazioni sanitarie nell’ammontare richiesto. Il giudice di appello,
infatti, ha modificato la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, che aveva formato oggetto di giudicato fra le parti, come tale intangibile e insuscettibile di riforma da parte del giudice superiore, che avrebbe dovuto decidere sul presupposto – pacifico fra le parti e oggetto di giudicato tra le stesse – che le prestazioni sanitarie richieste fossero state erogate nell’ammontare richiesto.
In aggiunta il fatto che la Corte d’Appello si sia pronunciata in merito alla sussistenza o meno della non contestazione ex art. 115 cod.proc.civ. costituirebbe una palese violazione del principio di corrsponfra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod.proc.civ., poiché ha definito il giudizio pronunciandosi oltre il limite delle eccezioni fatte valere dall’RAGIONE_SOCIALE, al quale in nessun atto aveva mai contestato l’erogazione delle prestazioni sanitarie o aveva mai chiesto il rigetto della pretesa attorea per mancanza di prova circa l’effettiva erogazione delle prestazioni sanitarie.
E ancora il giudice a quo non si sarebbe pronunciato sulla domanda attrice, privandola del tutto del riesame di merito della questione affrontata in primo grado, violando – anche in questo caso – l’art. 112 cod.proc.civ.
Il motivo è infondato in ogni sua articolazione.
2.1. Il potere-dovere di qualificazione della domanda da parte del giudice incontra il limite, che nel caso di specie non è stato superato, dell’invarianza del bene della vita domandato.
La questione relativa alla novità, o meno, di una domanda giudiziale è correlata, infatti, all’individuazione del bene della vita in relazione al quale la tutela è richiesta, per cui non può esservi mutamento della domanda solo ove si sia in presenza di un ipotetico concorso di norme, a presidio dell’unico diritto azionato, presupponendo il cambiamento della domanda la mutazione del corrispondente diritto, non già della sua qualificazione giuridica. Ne consegue che se l’attore invoca, a fondamento della propria pretesa, un presidio normativo ulteriore rispetto a quello
originariamente richiamato, fermi i fatti che ne costituiscono il fondamento, resta invariato il diritto soggettivo del quale è richiesta la tutela, per cui non si può denunciare la sussistenza di una domanda nuova. alterato gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum e causa petendi ) e, sostituito i fatti costitutivi della pretesa, emettendo un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato) ovvero attribuendo o negando un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato) ovvero se si sia limitata -non essendo obbligata ad attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni -a valutare gli elementi documentali e processuali, necessari per la decisione (Cass. 11/06/2021, n. 16608), ad esercitare il potere di qualificazione in diritto dei fatti, ritenendo fondata la domanda o l’eccezione per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte, sulla base dei fatti per come accertati e senza confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto.
La censura con cui la ricorrente si duole della infrapetizione è infondata. La gravata sentenza si è basata sul principio della ragione più liquida, ritenendo assorbite le questioni non esaminate. Detto assorbimento, che questa Corte definisce improprio in quanto ‘la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande’, non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento’ (Cass. 22/06/2020, n. 12193).
In tal caso, per lamentare l’omessa pronuncia sarebbe stato necessario misurarsi con la statuizione del giudice a quo di ritenere
assorbite le questioni non esaminate. In altri termini, per lamentare l’omessa pronuncia il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che l’assorbimento era stato illegittimamente pronunciato, escludendo la ricorrenza delle condizioni dell’assorbimento (Cass. 10/05/2024, n. 12917 ).
2.2) Va rigettata anche la censura di violazione del giudicato interno ex art. 2909 cod.civ.
La sentenza del Tribunale si è pronunciata sulla non rimborsabilità delle prestazioni rese dalla struttura quando non era accreditata e sulla nullità delle clausole del contratto che prevedevano il diritto al rimborso delle prestazioni rese anche prima dell’ottenimento dell’accreditamento nonchè sulla domanda di arricchimento ingiustificato, rigettandola, tra l’altro, per il fatto di non integrare le prestazioni rese dalla struttura privata un arricchimento senza causa.
Le suddette affermazioni costituivano la premessa logica giustificativa della decisione reiettiva, erano in altri termini funzionali alla decisione assunta dal Tribunale.
Ne deriva che la cosa giudicata interna per mancata impugnazione si poteva formare sull’assenza dei presupposti per condannare la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle prestazioni rese sia a titolo contrattuale sia ex art. 2041 cod.civ. La cosa giudicata interna, viceversa, non poteva formarsi sulle premesse rappresentate dal fatto che la ricorrente avesse erogato le prestazioni per cui è causa.
Viene al riguardo in rilievo il principio di diritto secondo cui “Costituisce capo autonomo della sentenza – come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno – solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, si da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello (ricorrente nella specie) relativo ad affermazioni che
costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata”: Cass.2 0/12/2011, n.27555; Cass. 08/05/2023, n.12159 2.3) Va altresì escluso che la Corte d’appello sia incorsa nel vizio di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per avere rigettato l’appello sulla scorta di ragioni diverse da quelle prospettate dalle parti e giustificative della decisione reiettiva del Tribunale. Come si è già chiarito, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante; né incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi , confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass. 15/06/2020, n.11466).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo a favore dell’RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, a favore dell’ufficio di merito competente, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della