Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24679 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24679 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6621-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Rapporto lavoro privato -differenze retributive
R.G.N.6621/2021
COGNOME
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
avverso la sentenza n. 344/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 27/08/2020 R.G.N. 381/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Salerno ha accolto l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di differenze retributive rivendicate dei lavoratori indicati in epigrafe. Questi, dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice di servizi postali, con sentenza del Tribunale di Salerno n. 1179/2014 pronunciata in separato procedimento (e confermata dalla Corte d’appello con sentenza n. 402/2016), erano stati dichiarati dipendenti di Poste Italiane, ai sensi dell’art. 29 e 27 del d.lgs. 276 del 2003.
Precisava il giudice di appello che la richiamata sentenza aveva riconosciuto l’esistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze di Poste, sul presupposto della illegittimità dei contratti di somministrazione, ed il diritto dei lavoratori di percepire il trattamento corrisposto agli altri dipendenti della società; rilevava, peraltro, che nel ricorso in esame non erano stati specificati i presupposti utili a dimostrare il diritto alle specifiche differenze retributive rivendicate. Valutava infatti che non erano state dedotte e allegate le circostanze necessarie a dimostrare la dimensione temporale della prestazione svolta (full time/part time).
La Corte d’appello rilevava infine che, se pur si potessero ritenere sufficienti le deduzioni a sostegno teorico della spettanza della pretesa, la stessa era comunque infondata poiché rimasta indimostrata la quantità delle ore lavorate (i testi avevano dichiarato che le prestazioni dei somministrati erano di
varia entità e dunque non pacifica la prestazione full time), ed anche le somme percepite.
Avverso la sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Poste Italiane spa ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
I motivi di ricorso ripercorrono le censure già scrutinate da questa S.C. in una controversia sovrapponibile a quella in esame e definita con ordinanza n. 14475 del 2023, le cui argomentazioni sono condivise e fatte proprie da questo Collegio.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cc, degli artt. 29 e 27 d.lgs. n. 276/2003, 1 e 2 d.lgs. n. 61/2000, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 421 c.p.c. Parte ricorrente rileva che conseguenza naturale della sentenza accertativa della sussistenza del rapporto di lavoro è sempre il riconoscimento di un rapporto full time, trattandosi di effetto tipico della violazione del contratto di somministrazione. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha svolto un accertamento di merito basato sulle dichiarazioni dei testi escussi, attestativo di un utilizzo differenziato dei lavoratori ‘somministrati’, che non consentiva la certa identificazione della originaria prestazione svolta in favore della società. Il giudiz io così reso ha anche considerato l’assenza di prova, anche in sede di appello, con riguardo alla quantità della attività di lavoro prestato, sicché le conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale, tipiche del giudizio di merito, non possono essere rivalutate in questa sede di legittimità.
Pertanto, la presunzione invocata dai ricorrenti, collegata al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato in diretta dipendenza della società, è stata giudicata ed esclusa dal giudice del merito attraverso una valutazione specifica attestativa di una differente modalità della prestazione. Il motivo deve essere disatteso.
Con la seconda censura è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 29 e 27 d.lgs. n. 276/2003, 1 e 2 d.lgs. n. 61/2000, dell’art. 2697 c.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 co.1 n. 3 e n. 5 c.p.c.). Il motivo è diretto ad evidenziare come nel ricorso introduttivo della lite i lavoratori avessero evidenziato la loro avvenuta assunzione, da parte di Poste, con contratto a tempo pieno. La censura investe, nella sostanza, la valutazione del materiale probatorio, come eseguita dai giudici di appello, nel senso del difetto di prova della quantità di lavoro prestato dagli attuali ricorrenti e si rivela, come tale, inammissibile in quanto estranea al perimetro di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., come delineato dalle S.U. di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 c.c.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 co.1 n. 3 e n. 5 c.p.c.). I ricorrenti assumono essersi formato un giudicato, con la citata sentenza del tribunale di Salerno n. 1179/2014, confermata in appello, sullo svolgimento di un orario di lavoro giornaliero di cinque ore.
Il motivo è infondato atteso che la sentenza citata si è pronunciata sulla violazione degli artt. 27 e 29 del d.lgs. 276 del 2003 ed ha dichiarato costituito un rapporto di lavoro alle dirette dipendenze di Poste ma non ha accertato, con efficacia di giudicato, le modalità temporali della prestazione resa. Lo
stesso motivo di ricorso invoca l’efficacia del giudicato esterno sul presupposto della estensione dello stesso agli accertamenti in fatto che costituiscono l’antecedente logico necessario del decisum, requisito in realtà non configurabile quanto al rilievo dell’orario di lavoro rispetto alla appurata interposizione fittizia di manodopera.
Non è fondata la censura di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente e inammissibilmente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono il principio di soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.800,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto. Così deciso nell’adunanza camerale del 21 maggio 2025