Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9706 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9706 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30516/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del rappresentante legale in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di MILANO n. 1631/2020, depositata il 01/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/04/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE interveniva nell’esecuzione immobiliare n. 356 del 2016 r.g.e. del Tribunale di Como, sulla base della fattura n. 2/2017, emessa per un importo di euro 594.796 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, rispettivamente, per brevità RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), in relazione ad una serie di attività di ricerca, studio e valutazione di fattibilità, progetto di ristrutturazione immobiliare, coordinamento rilievi, scelta di materiali e soluzioni architettoniche, coordinamento di attività di cantiere, trasferte e trasferimenti, pagamenti tasse locali, manutenzione immobili.
La società RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Como ex art. 702 c.p.c. chiedendo l’accertamento negativo della sussistenza del credito, portato dalla suddetta fattura, escludendo che la RAGIONE_SOCIALE avesse svolto a suo favore l’attività ivi indicata, poiché quella si esauriva in un documento di formazione unilaterale, financo sprovvisto di estratto autentico notarile e comunque privo di rilevanza probatoria.
Nella contumacia della convenuta, il Tribunale di Como, in accoglimento della domanda attorea, accertava che la società RAGIONE_SOCIALE non era debitrice nei confronti di NOME COGNOME, titolare dell’impresa, della somma indicata nella suddetta fattura, condannando quest’ultimo alla rifusione delle spese processuali. Rilevava il giudice di primo grado che, secondo quanto disposto dall’art. 2697 c.c. (come interpretato da Cass n. 16917/2012; n. 26158/2014), l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, mentre nel caso di specie la convenuta non si era costituita e non aveva offerto la prova dell’esistenza della fonte della obbligazione (il contratto stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE) e dell’esecuzione dell’attività indicate nella fattura. Sul presupposto che la fattura fosse stata emessa per una operazione inesistente il giudice
di primo grado riteneva doverosa la trasmissione di copia della ordinanza alla locale Procura della Repubblica.
A seguito di appello dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, cui seguiva appello incidentale della società RAGIONE_SOCIALE (in relazione alla statuizione sull’ammontare delle spese), la corte territoriale – respinta la richiesta di remissione in istruttoria per l’espletamento di prove orali, ma acquisita la documentazione prodotta dalla ditta appellante – ribadiva, richiamando altri precedenti di questa Corte (Cass. n. 12700/2007, n. 22862/2010), che l’onere della prova del credito, anche in caso di azione di accertamento negativo, grava su colui che pretende il diritto contestato e tuttavia, alla luce della documentazione prodotta da parte appellante, riteneva non fondata la domanda di accertamento negativo della RAGIONE_SOCIALE: donde la riforma della sentenza di primo grado ed il rigetto della domanda attorea.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, ma il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria a sostegno del ricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La società RAGIONE_SOCIALE – dopo aver premesso che la corte territoriale ha ritenuto provato lo svolgimento dell’attività del resistente, senza spiegare da quale elemento aveva ricavato che il COGNOME avesse svolto le attività menzionate nella fattura azionata per gli importi ivi indicati e neppure quale elemento dimostrasse gli interventi di ristrutturazione eseguiti, nonché ha ritenuto indispensabili i mezzi di prova offerti dal Resistente, travisandoli, e non ha esaminato un fatto decisivo e cioè la mancata
produzione della documentazione attestante l’incarico conferito e gli importi concordati – articola in ricorso cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale non ha spiegato sulla base di quali risultanze processuali abbia ritenuto provato il conferimento dell’incarico per la gestione e la ristrutturazione delle ville e dei loro giardini.
Osserva che la documentazione prodotta dalla controparte in appello consiste in procure ad acquistare e in rogiti, cioè in documenti che nulla dicono, se non in ordine al conferimento del suddetto incarico, comunque all’entità del corrispettivo previsto per il suo espletamento (ed anzi menzionano un incarico a titolo gratuito) e soprattutto all’effettivo espletamento delle relative attività; che, oltre tutto, detti documenti fanno esclusivo riferimento ad immobili siti in Italia (per cui nulla da essi si evince in ordine alla presunta attività svolta per un immobile in Combleux), ma non si riferiscono alla villa di Plesio; il documento 8, che avrebbe dovuto dimostrare gli interventi di ristrutturazione sulla villa di Pianello del Lario, non è mai stato prodotto dalla controparte, che pur ad esso fa riferimento; dai documenti prodotti non risulta nulla circa la fornitura di piante che sarebbero state consegnate per il tramite di RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Con il secondo motivo, strettamente connesso a quello che precede, la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha omesso di esaminare: a) la fonte dell’obbligazione, ossia il contratto sulla base del quale il COGNOME aveva richiesto il compenso, b) l’adempimento di tale obbligazione, viste le contestazioni, contenute nella formulazione della domanda di accertamento negativo, svolta da essa
ricorrente; c) la conformità dei corrispettivi indicati in fattura e la loro determinazione ad opera delle parti.
1.3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto indispensabili, in relazione all’art. 702 quater c.p.c., i documenti prodotti in secondo grado dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Osserva che in giudizio sono stati prodotti due procure notarili ad acquistare (docc. 4 e 6), con incarico da svolgersi a titolo gratuito, due rogiti di acquisto (docc. 5 e 7 prodotti da RAGIONE_SOCIALE con l’atto di citazione in appello) e delle note pro forma che, anche alla luce delle sue contestazioni, non dimostrano affatto né il conferimento di incarico per lo svolgimento di tali attività, né la prova sull’effettivo svolgimento delle stesse, né, tanto meno, la presunta pattuizione sui relativi compensi, attività e compensi che, allo stato, sono indimostrati.
1.4. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che il conferimento dell’incarico per la gestione e ristrutturazione delle ville di Pianello del Lario, Plesio e Combleux (Francia), nonché il relativo compenso, fossero provati da due procure notarili per l’acquisto rispettivamente della villa di Pianello del Lario e Plesio, ove l’incarico venne conferito a titolo gratuito, nonché dai rogiti di acquisto delle relative ville e da un documento, in particolare il numero 8), mai prodotto agli atti.
1.5. Con il quinto motivo, proposto in via subordinata, la società ricorrente denuncia: <>
Premette di aver promosso azione a seguito dell’iniziativa del sig. COGNOME che, tramite la fattura NUMERO_DOCUMENTO, aveva provato ad intervenire in una procedura esecutiva, sulla base di un documento di formazione unilaterale, quale è la fattura, neanche provvisto di estratto autentico notarile.
Osserva che la fattura, essendo atto a contenuto partecipativo, non ha valore probatorio con la conseguenza che da sola non può fornire la prova dell’avvenuta conclusione del contratto sotteso ad essa.
Si duole che la corte territoriale ha errato nel ritenere provata: a) l’attività di gestione e di ristrutturazione, nonché l’entità del corrispettivo pattuito e l’attività relativa ad un immobile in Francia, sulla base dei docc. 4-5-6-7, relativi alla sola attività di acquisto delle ville di Pianello del Lario e di Plesio; b) l’attività di gestione, ristrutturazione e sistemazione dei giardini asseritamente svolta dal RAGIONE_SOCIALE richiamando un documento, precisamente il numero 8, mai prodotto da parte resistente.
I primi quattro motivi, tra loro connessi, sono fondati nei termini di seguito indicati.
2.1. Occorre premettere che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio – affermato ad es. in materia di rapporto di lavoro (Cass. n. 22862/2010 e n. 16917/2012), di polizza fideiussoria (Cass. n. 26158/2014) e di contratto di somministrazione (Cass. n. 19154/2018; 297/2020; n. 15771/2022; 28984/2023) – per cui, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo.
Invero, anche nel caso di azione di accertamento negativo, le regole di distribuzione dell’onere della prova, di cui ai due commi dell’art. 2967 c.c., si fondano sul criterio di natura sostanziale relativo
al tipo di efficacia dei fatti incidenti sul diritto oggetto del giudizio e sull’interesse delle parti.
In tal senso depone:
lo stesso tenore letterale dell’art. 2697 c.c. (‘Chi vuol far valere un diritto in giudizio …’), che adotta come inderogabile punto di partenza che si agisca pur sempre per far valere un diritto (nel caso di accertamento negativo, a non subire le conseguenze giuridiche dell’altrui pretesa) e non per negare un diritto altrui;
b) la necessità di non aggravare ingiustificatamente la posizione di soggetti indotti o praticamente costretti a promuovere un’azione di accertamento negativo dalle circostanze e specificamente da iniziative stragiudiziali o giudiziali della controparte: non di rado colui che agisce in via di accertamento negativo lo fa perché praticamente costretto dalla minaccia di attuazione, o anche da concreti atti di esercizio, del diritto vantato dalla controparte;
il rilievo che – al fine di escludere eventuali azioni di accertamento negativo che siano meramente vessatorie, emulative o comunque prive di oggettiva giustificazione – deve valere (non la regola sull’onere della prova, ma) la necessità d’un interesse ad agire concreto, attuale e giuridicamente apprezzabile (previsto dall’art. 100 c.p.c.) quale condizione dell’azione.
D’altra parte, ove nelle azioni di accertamento negativo, si volesse dar rilievo alla posizione processuale delle parti:
nell’ambito del medesimo processo e di un’unica questione di fatto, entrambe le parti potrebbero essere paradossalmente gravate del medesimo onus probandi nei casi in cui le posizioni processuali delle parti sono reciproche (come nel caso in cui alla domanda principale di accertamento negativo d’un dato diritto segua, in riconvenzionale, la richiesta di condannare l’attore ad eseguire la prestazione oggetto del rapporto dall’attore negato ovvero nel caso in cui due domande meramente dichiarative -una negativa, l’altra positiva -siano
pressoché contestualmente esperite in via principale in separate sedi, con conseguente riunione dei giudizi o, se del caso, dichiarazione di litispendenza;
il soggetto passivo del rapporto sarebbe gravato dall’onere di provare fatti negativi: vero è che la prova di tali fatti è astrattamente possibile (mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo: Cass. n. 14854/2013, n. 384/2007; n. 23229/2004 e n. 5427/2002), ma è altrettanto vero che in concreto non sempre è agevole;
svanirebbero i criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza ai fini della distinzione tra fatti costitutivi e fatti impeditivi, e, in particolare, quello secondo il quale è maggiormente ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui è più vicino il fatto da provare.
Per le ragioni che precedono, va qui ribadito che i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla natura dell’azione esperita, con la conseguenza che, in caso di azione di accertamento negativo del credito, sono a carico del creditore le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa creditoria.
2.2. Orbene, di tali principi entrambi i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione nel caso di specie, nel quale la società RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi nel giudizio di appello, ribadendo la tesi sostenuta nel giudizio di primo grado, aveva dedotto:
di non aver conferito alcun incarico al RAGIONE_SOCIALE per la gestione e la ristrutturazione delle ville e dei loro giardini;
che il COGNOME non aveva provato né l’esistenza del contratto e neppure l’esecuzione delle attività indicate nella fattura azionata;
c) di non aver mai ricevuto le fatture pro forma 1/2008, 1/2009, 1/2010 e 1/2011, che erano confluite nella fattura n. 2/2017, che il RAGIONE_SOCIALE aveva illecitamente emesso e nel quale si faceva riferimento anche ad un immobile sito in Francia.
2.3. La corte territoriale, nella impugnata sentenza – dopo aver dato atto dell’avvenuta rituale acquisizione degli elementi documentali introdotti in appello dalla RAGIONE_SOCIALE con la sua costituzione (procura speciale per l’acquisto di villa di Pianello del Lario e relativo atto di vendita, procura speciale per l’acquisto della villa di Plesio e vendita di detta villa e del box) – ha ritenuto che – a fronte di detti elementi documentali – le difese della società RAGIONE_SOCIALE apparivano <> e, sulla base di detti elementi documentali, ha ritenuto non fondata (ed ha pertanto rigettato) la domanda di accertamento negativo svolta dalla RAGIONE_SOCIALE e, quindi, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, ha ritenuto che la società RAGIONE_SOCIALE era debitrice verso la RAGIONE_SOCIALE della somma indicata nella fattura n. 2 del 12 giugno 2017.
Senonché – dato atto che la contestazione di detta ratio decidendi da parte della odierna ricorrente si desume dagli argomenti complessivamente esposti a sostegno dei motivi e che nel corpo del ricorso si rinviene una descrizione dei documenti, di volta in volta considerati, da reputarsi idonea ai fini della illustrazione delle censure – la corte territoriale:
a) non ha spiegato le ragioni per le quali dai documenti nn. 4-7 prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (contratti e procure, per l’appunto, il cui contenuto viene trascritto in ricorso, relativi esclusivamente alla villa di Pianello del Lario ed alla villa di Plesio), il cui contenuto viene ripercorso in ricorso, ha desunto la prova della contestata attività di gestione e ristrutturazione delle suddette ville di Pianello del Lario e di Plesio;
ha ritenuto provati gli interventi di ristrutturazione sulla villa di Pianello del Lario sulla base del documento 8, che non risulta essere mai stato prodotto;
ha accolto la domanda anche relativamente all’immobile in Francia ed in ordine alla fornitura di piante, che sarebbero state consegnate per il tramite di RAGIONE_SOCIALE, in difetto di qualsivoglia documentazione;
non ha indicato su quale elemento ha fondato il proprio convincimento circa l’avvenuta pattuizione di un compenso di euro 4500 mensili dal momento che la documentazione, da cui ha tratto il convincimento circa lo svolgimento di attività di consulenza, consistevano due procure notarili ad acquistare con incarico da svolgersi a titolo gratuito;
ha incongruamente reputato non significativa la piena e completa contestazione, da parte dell’originaria attrice in accertamento negativo, delle allegazioni della presunta creditrice, che restava onerata della compiuta prova dei fatti costitutivi della sua pretesa: così illegittimamente ribaltando sul preteso debitore un onere di specifica deduzione e prova di circostanze a lui invece estranee.
D’altronde, il fatto che la documentazione prodotta (note pro forma, procure e rogiti) fosse non idonea a dimostrare il concreto svolgimento della successiva attività di gestione e ristrutturazione delle ville (nonché di sistemazione dei giardini, anche in relazione all’immobile sito in Francia), non deve essere sfuggito alla difesa della RAGIONE_SOCIALE che aveva per l’appunto richiesto di provare tramite testimoni la suddetta attività.
Infine – contrariamente a quanto afferma la corte territoriale, senza spiegarlo – i documenti prodotti in secondo grado dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (due procure notarili ad acquistare, con incarico da svolgersi a titolo gratuito, nonché due rogiti di acquisto e quattro note pro forma) non erano (e non sono) affatto indispensabili.
Occorre qui ribadire che prove indispensabili sono quelle idonee ad eliminare ogni possibile incertezza in ordine alla ricostruzione dei fatti, risultando perciò decisive per il giudizio, tali cioè da determinare la decisione del giudice di merito in un senso o in un altro.
Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale la documentazione prodotta (oltretutto, soltanto in grado di appello) non era neppure direttamente rilevante ai fini della decisione proprio perché di per sé non provava (e non prova) affatto: né il conferimento dell’incarico a svolgere le attività in contestazione; né l’effettivo svolgimento dell’attività in contestazione e, meno che meno, la presunta pattuizione sui relativi compensi ed il relativo specifico contenuto.
Tanto assorbe ogni ulteriore questione sulla configurabilità o meno del dedotto travisamento della prova, la quale avrebbe dovuto impostarsi alla stregua della recentissima Cass. Sez. U. 5792/24.
Il quinto motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi quattro: ciò che preclude quindi il rilievo della sua inammissibilità, sia perché involge una violazione degli artt. 115-116 c.p.c. al di fuori dei criteri fissati da questa Corte (come puntualizzati, tra le altre, da Cass. Sez. U. 16598/16), sia perché la supposizione come esistente di un documento invece non presente in atti integra un errore da far valere esclusivamente ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c.
In definitiva, per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa rinviata alla stessa corte territoriale in diversa composizione, che darà applicazione ai principi di diritto sopra richiamati, beninteso previa valutazione della proponibilità, in pendenza di procedura esecutiva e dinanzi al carattere chiuso ed esclusivo del sistema di rimedi ad esso interni, di un’autonoma azione di contestazione del credito (questione sempre rilevabile di ufficio, a meno di un esplicito contrario giudicato
interno, invece qui mancante), che ha formato oggetto di intervento nella procedura medesima.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P. Q. M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i primi quattro motivi di ricorso e, per l’effetto, assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione personale.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2024, nella camera di consiglio