Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32530 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32530 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2500/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 672/2017 depositata il 12/12/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Matera NOME COGNOME per ottenere il rilascio di alcuni locali all’interno di un immobile, che egli assumeva essere occupati dal convenuto senza
titolo, mentre egli vantava un acquisto a titolo derivativo dell’immobile (un contratto di compravendita del 2000).
Dichiarato interrotto il processo per la morte del convenuto e riassunto nei confronti degli eredi, questi ultimi domandavano in via riconvenzionale l’accertamento dell’acquisto della proprietà per usucapione.
Il Tribunale di Matera accoglieva la domanda, ritenendo che l’attore avesse assolto il proprio onere probatorio, poiché aveva prodotto in giudizio il contratto di compravendita, ma la Corte di appello, con sentenza n. 672/2017, ha invece rigettato la domanda, accogliendo il secondo motivo di appello con cui la parte convenuta ha denunciato che l’azione dovesse essere qualificata come di rivendicazione, per cui l’attore è tenuto a provare un acquisto a titolo originario.
Ricorre in cassazione l’attore con due motivi.
Rimane intimata la parte convenuta.
Il consigliere delegato ha proposto di definire il ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. Il ricorrente ne ha chiesto la decisione.
E’ pervenuta memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, si rileva che del collegio giudicante fa legittimamente parte il Consigliere NOME COGNOME che ha redatto la proposta di definizione. Infatti, come di recente affermato da Cass. SU 9611/2024, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c.,
atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
2. – Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia che la Corte di appello ha erroneamente riqualificato la domanda come di rivendicazione, mentre l’attore aveva correttamente proposto un’azione personale di rilascio sulla base di un acquisto a titolo derivativo. Con ciò la Corte ha esorbitato dal potere di interpretare la domanda giudiziale, che è da esercitare alla stregua dei fatti allegati, delle ragioni esposte e delle richieste formulate dall’attore, e non, in particolare, alla stregua dell’atteggiamento difensivo della parte convenuta. Si deduce violazione dell’art. 948 c.c.
Il primo motivo è infondato.
Come costantemente affermato da questa Corte, non dà luogo ad un’azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione la domanda con cui l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, (così, Cass. 705/2013, 18050/2023).
La Corte d’Appello, dopo avere riportato una serie di massime, ha tuttavia rilevato (v. pagg. 4 e 5) che nel caso in esame, non si verte in ipotesi di consegna in base ad un titolo poi venuto meno (a differenza del caso esaminato in cass. n. 13605/2000 relativa ad ipotesi di comodato) e che difetta l’elemento del possesso ad usucapionem successivo all’acquisto dell’attore, avendo i convenuti eccepito di
possedere animo domini da trent’anni ì, quando l’acquisto dell’attore è databile al 1° agosto 2000.
E’ quindi giuridicamente corretto l’inquadramento nello schema della revindica.
Il primo motivo è quindi rigettato.
– Il secondo motivo censura sempre ex art. 948 c.c. la sentenza rilevandosi che la Corte territoriale, dopo aver qualificato come rivendicazione l’azione proposta, ha posto a carico dell’attore l’onere di provare, oltre al suo titolo d’acquisto, anche tutti i precedenti titoli sino a giungere ad un acquisto a titolo originario. In particolare, ci si duole che la Corte di appello non abbia considerato che la prova della proprietà può essere ravvisata anche nell’ammissione o nella mancanza di contestazione del titolo in capo al rivendicante.
Il motivo è fondato.
Nella parte censurata della sentenza, la Corte di appello ha argomentato che la parte convenuta ha allegato un possesso trentennale anteriore al titolo di acquisto vantato dall’attore, per cui non si applica l’attenuazione dell’onere probatorio dell’attore rivendicante che la giurisprudenza di legittimità riconosce nel caso in cui il convenuto vanti un possesso iniziato successivamente alla data del titolo di acquisto fatto valere dall’attore. In questo senso, cfr. Cass. 8215/2016: « ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un’eccezione riconvenzionale, invocando un possesso ad usucapionem iniziato successivamente al perfezionarsi dell’acquisto ad opera dell’attore in rivendica (o del suo dante causa), l’onere probatorio gravante su quest’ultimo si riduce alla prova del suo titolo d’acquisto, nonché della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto del bene medesimo da parte dell’attore » .
Tuttavia, la parte ricorrente rileva che nel caso attuale il convenuto originario (dante causa dei convenuti in riassunzione) non solo non
aveva contestato il suo titolo di proprietà, ma anzi lo aveva espressamente riconosciuto, tanto da promettere la liberazione dell’immobile e la sua restituzione in favore del legittimo proprietario. Inoltre, rileva che il convenuto originario non si era neppure costituito in giudizio, che anche i suoi eredi non avevano contestato la validità del suo titolo di acquisto, essendosi limitati ad opporre il loro acquisto ad usucapionem, e che era stata articolata prova testimoniale volta a provare tali circostanze.
Dal testo della sentenza non emerge che la Corte di appello si sia confrontata con tali argomenti, per cui va data continuità al seguente principio: essendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo»; tuttavia, è altrettanto vero che: «Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere. Per contro, la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell’attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari
proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall’attore (v. tra le varie, Cass. 28865/2021).
Ne segue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
In sede di rinvio, la Corte territoriale dovrà analizzare le difese della parte convenuta e verificare se questa abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato l’appartenenza del bene ai danti causa della parte attrice all’epoca in cui aveva iniziato a possedere.
– È accolto il secondo motivo di ricorso, è rigettato il primo motivo, è cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, ed è rinviata la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.