Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21085 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21085 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13369/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7641/2021 depositata il 17/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Consigliere COGNOME NOME;
FATTI DI CAUSA
1.A seguito di ricorso monitorio della società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del locale sito in INDIRIZZO – che
ingiuntivo in materia locatizia. Domanda di manleva nei confronti del terzo chiamato.
Ad. 27 giugno 2024 CC
era stato concesso in locazione a COGNOME NOME (per uso bar, pasticceria, tavola calda), la quale aveva ceduto (come comunicato) il ramo di azienda alla società RAGIONE_SOCIALE – il Tribunale di Roma – che già aveva emesso provvedimento di convalida di sfratto per morosità e decreto ingiuntivo nei confronti della società con decreto n. 6050/2013 ingiungeva a COGNOME NOME (in qualità di cessionaria e coobbligata della società RAGIONE_SOCIALE) il pagamento della somma di euro 48.879,95, a titolo di canoni scaduti e da scadere.
Avverso detto decreto proponeva opposizione la COGNOME, la quale: in via preliminare, eccepiva il difetto di legittimazione passiva e la inammissibilità dell’azione ex adverso proposta; in via subordinata, chiedeva la riduzione degli importi, con condanna della terza chiamata a manlevarla da ogni pretesa; in via di ulteriore subordine, chiedeva dichiararsi il suo diritto di rivalsa nei confronti della terza chiamata per qualsiasi somma che lei avesse dovuto corrispondere all’opposta. In particolare, nell’intestazione dell’atto di opposizione la COGNOME faceva espressa istanza di chiamata di terzo, e nel corpo dell’atto, dopo aver dedotto che la società cessionaria RAGIONE_SOCIALE non era una litisconsorte necessaria, formulava richiesta di chiamata in causa della stessa ‘ai fini della rivalsa e manleva … con fissazione di nuova udienza ex art. 420 9 comma c.p.c.’
Non essendo intervenuta in sede di decreto di fissazione dell’udienza alcuna limitazione dell’onere di notifica, la COGNOME provvedeva a notificare il ricorso alla società RAGIONE_SOCIALE ed alla società RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE si costituiva mentre la società RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa, rimaneva contumace.
Istruita la causa mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti (la COGNOME si limitava a depositare copia di atto di transazione e quietanza e verbale di riconsegna di altro immobile da lei detenuto, nonché due atti di intervento di detta società nelle esecuzioni
immobiliari, la corrispondenza intercorsa con l’opposta, due estratti polisweb di procedura esecutiva) il Tribunale di Roma con sentenza n. 11713/2016 dichiarava cessata la materia del contendere quanto alla pretesa creditoria azionata in via monitoria e revocava il decreto ingiuntivo opposto.
Avverso detta sentenza proponeva appello la COGNOME che, in parziale riforma della stessa, chiedeva che fosse dichiarata valida e legittima la chiamata in causa della società RAGIONE_SOCIALE e, in accoglimento della domanda da essa proposta in via subordinata, chiedeva che quest’ultima fosse condannata a rimborsarle l’importo di euro 20 mila, oltre interessi legali dai singoli versamenti; il tutto con vittoria delle spese processuali.
In particolare, secondo la COGNOME, erroneamente era stata dichiarata la nullità della chiamata di terzo (e quindi rigettata la sua domanda di manleva): sia perché, pur avendo con ricorso espressamente richiesto la chiamata in causa del terzo ‘con fissazione di nuova udienza ex art. 420 9 comma c.p.c.’ il giudice non aveva statuito alcunché, ragion per cui doveva essere inteso che la chiamata era stata valutata ammissibile; sia perché nessuna eccezione era stata sollevata dalle parti in giudizio.
Nel giudizio di appello la società RAGIONE_SOCIALE non si costituiva.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n.7641/2021, riteneva erronea la dichiarazione di nullità della chiamata di terzo, ma rigettava l’appello, ritenendo non provata la domanda di rimborso. In particolare, la corte di merito riteneva non provato che la società RAGIONE_SOCIALE: a) era subentrata nel contratto di locazione per effetto della cessione; b) era in capo di quest’ultima l’onere di corrispondere il canone di locazione; c) nulla aveva pagato (circostanze queste che avrebbero potuto essere provate con la produzione della comunicazione di subentro della cessionaria, del provvedimento di convalida di sfratto e
del decreto con il quale era stato ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento dei canoni scaduti).
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la COGNOME.
Non ha svolto difese la società RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ed il Difensore di parte ricorrente non ha depositato memoria a sostegno del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La COGNOME articola in ricorso un solo motivo con il quale denuncia: <>.
Invocando il principio affermato da Cass. n. 21909/2013 e da Cass. n. 23455/2018, sostiene che la corte di merito, verificata la mancata costituzione della società appellata RAGIONE_SOCIALE, avendo ritenuto decisiva l’acquisizione del fascicolo di parte monitoria prodotto in primo grado da quest’ultima (che lo aveva poi ritirato), non avrebbe dovuto rigettare la domanda per difetto di prova, ma avrebbe dovuto avvalersi dei suoi poteri istruttori e quindi ordinare ad essa appellante il deposito di copia di detto fascicolo, anche previa eventuale rimessione della causa sul ruolo.
Il motivo è inammissibile.
Invero – assumendo l’illustrazione come oggetto di critica la motivazione della sentenza per come riprodotta nelle pagine 8-9 e, quindi, passando all’enunciazione del motivo e così correlandosi questo a ciò si è riprodotto – emerge, procedendo alla lettura della sentenza, che in realtà la vera motivazione – tenuto conto di quello che succede alla parte riprodotta nel ricorso – risulta del tutto priva di critica.
In particolare, la sentenza impugnata nella parte finale che segue quella riprodotta, cioè quella esposta alla pag. 7 dal rigo 9 fino alla successiva ai primi quattro righi della successiva, assume come giustificazione della decisione, evocando un precedente di questa Corte, che <>.
Orbene, è l’applicazione del principio di diritto evocato, che ha giustificato la decisione, ma il motivo non rivolge alcuna critica a esso, che, peraltro, va qui ribadito, in quanto pienamente condivisibile.
Sicché, tutto l’argomentare del motivo, al di là della dubbia evocazione dell’art. 437 c.p.c., risulta non correlato alla motivazione e, pertanto, inammissibile alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, ribadito, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass. Sez. Un., n. 7074 del 2017.
Alla inammissibilità del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in difetto di difese da parte della società intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024, nella camera di consiglio