Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29639 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 29639 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/11/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 28360/2022 R.G., proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
e contro
CONDOMINIO DI INDIRIZZO
– intimato – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 5620/2022 pubblicata il
14.9.2022;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 19.9.2025 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietaria di un magazzino sito in Roma, INDIRIZZO, convenne in giudizio NOME COGNOME e il Condominio di INDIRIZZO dinanzi al Tribunale di Roma, deducendo che il primo – titolare di unità immobiliare adiacente al proprio magazzino, cui aveva accorpato una porzione in realtà di proprietà del Condominio (ove insistevano molteplici scarichi fognari) -nell’ anno 2005 aveva effettuato dei lavori di ristrutturazione, che avevano reso impossibile l’esecuzione dei lavori di ripristino dell’impianto fognario a servizio del proprio magazzino , deliberati dal Condominio nell’anno 2008, con conseguente impossibilità di utilizzo del proprio immobile. L’attrice chiese quindi, previo accertamento dell’occlusione dell’impianto fognario a servizio del wc del proprio magazzino, di condannare i convenuti al ripristino dell’impianto, nonché al risarcimento di tutti i danni. Si costituì NOME COGNOME, contestando le avverse domande, mentre il Condominio rimase contumace. Istruita la causa, anche mediante acquisizione di una relazione di CTU espletata in un procedimento ex art. 1172 c.c. già avviato dal COGNOME contro il Condominio, e comunque disposta nuova CTU, l’adito Tribunale, con sentenza del 22.5.2017, accolse parzialmente la domanda, condannando il COGNOME al ripristino dello status quo ante e rigettando nel resto le domande attoree, pure regolando le spese.
NOME COGNOME propose dunque appello e, nella resistenza della sola NOME COGNOME (e nella contumacia del Condominio), la Corte d’appello di Roma,
con sentenza del 14.9.2022, lo accolse, integralmente riformando la prima decisione e rigettando le domande attoree. Osservò la Corte capitolina che, trattandosi di domanda ex art. 2043 c.c., l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, sia sul piano oggettivo, che soggettivo, grava sul preteso danneggiato e che, nella specie, la COGNOME non l’aveva assolto. Infatti, al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale, non risultava provato né il comportamento illecito del COGNOME, né il nesso causale tra questo e gli asseriti danni, neppure essendosi trovata traccia del wc a servizio del magazzino, e neanche essendo possibile stabilire fino a quando esso fosse stato in funzione; inoltre, lo scarico che si assumeva danneggiato dal COGNOME non era regolare dal punto di vista amministrativo. Ha pure aggiunto che la prova della condotta illecita del COGNOME difettava del tutto, tanto più che la COGNOME era decaduta dalla chiesta prova testimoniale.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME, sulla base di due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso NOME COGNOME. Il Condominio non ha svolto difese. Il Collegio ha riservato il deposito della ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si denuncia la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 e 1043 cod. civ., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione della sentenza su un fatto decisivo per il giudizio e in ordine ad errore di fatto (art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 c.p.c.) ‘. Si sostiene che l’occlusione del tratto fognario nella proprietà COGNOME risultava dalla CTU raccolta nel diverso giudizio, ed era stata asseverata dal CTU nominato dal Tribunale nel giudizio di primo grado; che
N. 28360/22 R.G.
comunque dagli atti di causa risultava inequivocamente che i locali di essa ricorrente erano dotati di wc e di condotta fognaria; che anche i testi COGNOME e COGNOME avevano confermato le circostanze dell’occlusione; che l’esistenza del wc risultava da atti pubblici; che l’esistenza dello scarico fognario risultava dal regolamento del Condominio intimato.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e in ordine alla ripartizione dell’onere della prova sul fatto costitutivo della domanda (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ‘ . Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe comunque dovuto condannare il COGNOME quale custode dell’impianto fognario a servizio del proprio immobile, ai sensi dell’art. 2051 c.c.
2.1 -Preliminarmente, va rilevato che la produzione documentale effettuata dalla ricorrente con la memoria illustrativa è inammissibile, perché anzitutto tardiva, in relazione al termine fissato dal l’art. 372 c.p.c. ; in secondo luogo, perché una simile produzione non è consentita dalla stessa disposizione, in quanto non diretta a sostegno dell’ammissibilità del ricorso, ma a provarne la fondatezza.
Va pure evidenziato che, con la memoria, la ricorrente introduce argomenti e questioni non contenute nel ricorso, a partire dalla rubrica del primo motivo, ma inammissibilmente, noto essendo che la memoria ‘ non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione ‘ (così, ex multis , Cass. n. 8949/2023).
3.1 -Ciò posto, il primo motivo è palesemente inammissibile.
A parte l’incomprensibile riferimento, in rubrica, all’art. 1043 c.c., e la denuncia del vizio motivazionale in guisa non più consentita dal vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., a far data dalla riforma operatane nel 2012, il mezzo non si sofferma affatto su quaestiones iuris , ma si risolve in una lunga dissertazione sulla sussistenza di elementi istruttori che il giudice d’appello, al contrario di quello di primo grado, non avrebbe preso in considerazione, onde ritenere sussistente la prova del fatto colposo imputabile al COGNOME.
Tuttavia, il motivo -pur a prescindere dalla normativa che si assume violata e dai profili specificamente rubricati , in essi compreso il preteso ‘errore di fatto’ (che, di regola, giustifica la revocazione ex art. 395 n. 4, c.p.c., non certo il ricorso per cassazione) -non rispetta comunque i criteri che, sul tema della valutazione dei mezzi istruttori e sulla stessa loro selezione demandata al giudice di merito, sono stati segnati da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020 (e successiva giurisprudenza conforme), che ha precisato i limiti di giustiziabilità della violazione degli artt. 115 e/o 116 c.p.c. in questa sede di legittimità, limiti che il mezzo in esame non rispetta.
4.1 -Il secondo motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Anzitutto, la ricorrente discute di una pretesa mancata applicazione del l’art. 2051 c.c., quando invece sia il Tribunale, sia la C orte d’appello, hanno chiaramente delibato la sola azione per responsabilità aquiliana tout court , ex art. 2043 c.c., proposta dalla COGNOME.
Il mezzo, dunque, introduce un tema d’indagine mai prima affrontato, perché afferente ad una azione diversa e di cui, da quanto risulta dagli atti
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legittimamente consultabili da questa Corte , nel giudizio di merito non s’è mai discusso.
In ogni caso, sia che la vicenda sia sussunta nell’ambito dell’art. 2043, sia che lo sia nell’ambito dell’art. 2051 c.c., resta il fatto che difetta la prova del nesso di causalità tra la condotta imputata al COGNOME (o alla res dallo stesso custodita) e i danni lamentati dalla COGNOME, il cui onere non può che comunque gravare sulla pretesa danneggiata (quanto alla responsabilità da custodia, in particolare, v. per tutte Cass. n. 8346/2024).
Il relativo accertamento fattuale operato dal giudice di merito, al quale la valutazione è riservata, non è stato adeguatamente censurato in questa sede, donde l’inammissibilità anche per tal verso.
5.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla va disposto in relazione all ‘ intimato, che non ha svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso , può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi , oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 19.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME