Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30872 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30872 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7791/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME, COGNOME NOME, COGNOME Monica, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , presentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliati presso il loro recapito digitale con indirizzo pec;
-controricorrenti- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli n. 4338/2022, depositata il 18 ottobre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato in data 12 settembre 2014, NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna, in solido o ciascuno per quanto di rispettiva competenza, alla restituzione della complessiva somma di euro 216.200,00, o della diversa somma eventualmente accertata, oltre interessi, a titolo di mutuo, o, in via subordinata, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. In particolare, l’attore deduceva di avere versato ai convenuti, in più riprese, nel periodo dal febbraio al settembre 2010, i seguenti importi: euro 24.000,00 a NOME COGNOME; euro 76.000,00 a NOME COGNOME; euro 20.000,00 a NOME COGNOME; euro 86.000,00 alla RAGIONE_SOCIALE; ed euro 57.000,00 a NOME e NOME COGNOME e di avere ricevuto in restituzione solo la somma di euro 46.800,00. Precisava, altresì, che le somme erano state elargite, in accoglimento delle richieste di prestito di NOME COGNOME, sia per sé, che per i propri familiari e per le società da essi rappresentate.
Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e la condanna dello COGNOME al pagamento della somma di euro 33.000,00, indebitamente percepita a titolo di interessi usurari. I convenuti, in particolare, sostenevano di avere ricevuto dall’attore complessivamente euro 206.000,00, di cui: euro 76.000,00 pagati da NOME COGNOME a NOME COGNOME quale corrispettivo per lavori di ristrutturazione effettuati presso l’immobile di proprietà del primo; euro 86.000,00 pagati da NOME COGNOME a RAGIONE_SOCIALE a titolo di caparra per l’acquisto di un immobile sito in Napoli al INDIRIZZO poi incamerata dal promittente alienante perché il promissario acquirente non aveva versato la seconda rata impedendo la stipula del definitivo; euro 44.000,00 a titolo di prestito (in particolare, euro 24.000,00 a NOME COGNOME ed euro 20.000,00 a NOME COGNOME. In relazione a tale somma, come
riconosciuto dallo stesso attore, erano stati restituiti euro 46.800,00).
Depositata documentazione, ammessa ed espletata prova per testi, precisate le conclusioni, con sentenza n. 4491/2017 pubblicata il 18 aprile 2017, il Tribunale di Napoli condannava NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME la somma di euro 162.000,00 oltre interessi legali dal 26 luglio 2012 al soddisfo e condannava i convenuti a rimborsare all’attore le spese del giudizio.
-Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva appello.
Si costituiva NOME COGNOME contestando l’impugnazione proposta.
Si costituivano, inoltre, NOME COGNOME, COGNOME Monica e la RAGIONE_SOCIALE condividendo integralmente i motivi dell’appello formulati da NOME COGNOME e contestando le domande subordinate spiegate dall’appellato COGNOME.
La Corte d’Appello di Napol i, in parziale accoglimento della domanda formulata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME ha condannato quest’ultimo alla restituzione della somma di euro 22.000,00, oltre interessi dal 12 settembre 2014 al saldo; ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME; ha condannato NOME COGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME delle spese del doppio grado di giudizio e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE si sono costituiti con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.) per omessa valutazione di prova documentale in atti e violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. – Omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.) in merito alla richiesta di restituzione dell’importo di euro 76.000,00 ex art. 2033 cod. civ. Il ricorrente ha richiesto la restituzione della somma di euro 76.000,00 versata a NOME COGNOME, in INDIRIZZO subordinata, anche ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. in quanto priva di titolo giustificativo. Il versamento della somma è avvenuto a mezzo di versamenti eseguiti nel periodo dal febbraio al settembre 2010 ed è stato debitamente documentato. I convenuti NOME e NOME COGNOME hanno ammesso e riconosciuto la ricezione della somma, giustificandola tuttavia quale corrispettivo per l’esecuzione di lavori nell’immobile di proprietà dello Schiano e allegando alcune fatture datate 2008 a lui intestate per un totale di euro 76.800,00. COGNOME ha contestato le fatture e il titolo come indicato dai COGNOME e ha dedotto di avere appaltato interventi di ristrutturazione per un importo (di euro 44.500,00) notevolmente inferiore a quello indicato da controparte e, soprattutto, di avere integralmente corrisposto il suddetto importo, con versamenti effettuati nel corso del 2008 e del 2009, ulteriori e diversi da quelli per complessivi euro 76.000,00 effettuati nel corso del 2010 in favore di NOME COGNOME e oggetto di giudizio. Il corrispettivo per i lavori di ristrutturazione era stato preventivato in euro 22.800,00, iva compresa. Si evidenzia che agli atti è stato prodotto il preventivo emesso dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME per detto importo. In corso d’opera sono state eseguite alcune opere aggiuntive per circa ventimila euro e i lavori sono terminati nel 2009. Con versamenti effettuati nel corso del 2008 e del 2009 lo COGNOME e la di lui madre hanno versato complessivamente, a titolo di
corrispettivo, per tutti i lavori eseguiti e a saldo delle opere e del materiale, così come pattuito, la complessiva somma di euro 44.500,00. La Corte di Appello, esaminata unicamente la documentazione attestante i versamenti effettuati da COGNOME a NOME COGNOME nel 2010, ha ritenuto che potesse ritenersi raggiunta la prova della consegna a titolo di prestito per la somma di euro 22.000,00 versata con bonifico riportante la causale ‘prestito personale’, ma non per le ulteriori somme versate da COGNOME ne l 2010 (pari complessivamente a euro 54.000,00). La stessa Corte ha ritenuto che, in relazione alle suddette somme, non potesse nemmeno trovare accoglimento la domanda subordinata proposta ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. Incomprensibile, dunque, risulterebbe la conclusione cui giunge la Corte di merito secondo cui ‘in assenza di prova del contratto di mutuo da parte dell’attore le allegazioni del convenuto/odierna parte appellante, ribadito che l’onere della prova non può ritenersi invertito ed a carico di quest ‘ultimo appaiono sufficienti al fine di non ritenere ingiustificata la datio delle somme richieste in restituzione’.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 2719 cod. civ. e agli articoli 116 e 214 cod. proc. civ. – Omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.) – Motivazione contraddittoria, manifestamente illogica. Parte ricorrente deduce di avere versato alla RAGIONE_SOCIALE il complessivo importo di euro 86.000, di cui ha chiesto la restituzione, in via sub ordinata, anche ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. Controparte ha assunto che l’importo in questione era stato versato in adempimento di un contratto preliminare di compravendita che sarebbe intercorso tra l’attore e la RAGIONE_SOCIALE, prodotto agli atti in fotocopia e che è stato tempestivamente impugnato dallo COGNOME che ne ha contestato la conformità all’originale e disconosciuto le sottoscrizioni apposte in
calce. Il giudice di prima istanza ha rilevato che il suddetto contratto non poteva assurgere a fonte di prova in quanto depositato solo in fotocopia con firma tempestivamente disconosciuta. La Corte di Appello di Napoli ha invece ritenuto sufficiente ai fini probatori il contratto preliminare in questione ‘benché prodotto in copia e disconosciuto – in verità genericamente, quanto alla conformità all’originale -da parte di Schiano’ ed ha pertanto rigettato la richiesta formulata dallo Schiano in via subordinata di restituzione ex art. 2033 codice civile dell’importo di euro 86.000,00 ritenendo la dazione giustificata dal citato preliminare. La decisione sarebbe stata assunta in palese violazione delle previsioni di cui agli articoli 2719 codice civile e 214 codice di procedura civile. L’espresso e integrale disconoscimento (effettuato alla prima udienza di comparizione del 30 marzo 2015 fissata dal Tribunale di Napoli) priva la fotocopia di qualsivoglia valore probatorio o meramente indiziario; pertanto la stessa non potrebbe essere assunta quale idonea giustificazione della dazione della somma, il cui carattere di indebito sarebbe incontestabile.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 2033 cod. civ. – Nullità della sentenza (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.) – Omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3) – Motivazione contraddittoria, manifestamente illogica. La Corte di Appello con la sentenza impugnata sarebbe incorsa anche nella violazione dell’articolo 2033 codice civile e conseguentemen te la sentenza sarebbe invalida e/o nulla. Sul punto si deduce che il pagamento da parte dello COGNOME sia dell’importo di euro 54.000,00 (pari alla differenza tra euro 76.000,00 versati ed euro 22.000,00 di cui alla condanna di restituzione stabilita dalla Corte di Appello) eseguito in favore di NOME COGNOME che dell’importo di euro 86.000,00 eseguito in favore di RAGIONE_SOCIALE sarebbe avvenuto
senza alcun valido titolo giustificativo. La Corte di Appello di Napoli avrebbe ritenuto sussistenti dei titoli idonei (le fatture per i lavori all’immobile in INDIRIZZO e il contratto preliminare per diverso immobile) a trattenere tali somme sulla base di valutazioni superficiali ed erronee dei fatti e documenti di causa e comunque contrarie alle norme di legge. La motivazione sarebbe pertanto errata laddove esclude che l’azione di indebito possa trovare accoglimento in mancanza di prova di un diverso titolo idoneo a trattenere le somme fornito dalla controparte, non potendo costituire prova idonea il presunto contratto preliminare depositato da RAGIONE_SOCIALE solo in fotocopia disconosciuta, così come alcuna prova potrebbero costituire le fatture depositate da NOME COGNOME in giudizio, mai inviate prima e il cui pagamento non è stato mai sollecitato, a presunta giustificazione di lavori già pagati con diversi e ulteriori pagamenti dallo COGNOME come provato in giudizio.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
Il ricorrente ha fondato le sue pretese sull’esistenza di plurime dazioni di somme di denaro a titolo di prestito, effettuate a più riprese nei confronti dei soggetti convenuti, richiedendone eventualmente la restituzione a titolo di indebito oggettivo.
Secondo l’uniforme giurisprudenza di questa Corte, qualora l’attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, ma vuol dire negare il titolo posto a base della domanda, benché il convenuto riconosca di avere percepito una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l’onere probatorio a
carico dell’attore (Cass., Sez. II, 29 novembre 2018, n. 30944; Cass., Sez. III, 13 marzo 2013, n. 6295; Cass., Sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2653; Cass., Sez. III, 9 agosto 1996, n. 7343; Cass., Sez. III, 1 agosto 1995, n. 8394; Cass., Sez. III, 3 febbraio 1995, n. 1321; Cass., Sez. III, 13 aprile 1989, n. 1777; Cass., Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5691).
La datio di una somma di danaro non vale -pertanto – a fondare la richiesta di restituzione, allorquando, come nel caso di specie, ammessane la ricezione, l’ accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione e, anzi, ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione, ad opera dell’ accipiens , della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione (Cass., Sez. II, 29 novembre 2018, n. 30944; Cass., Sez. III, 22 aprile 2010, n. 9541).
Analogamente, riguardo alla domanda di ripetizione di indebito, formulata qui in via subordinata, opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass., Sez. II, 27 novembre 2018, n. 30713; Cass., Sez. IV, 13 novembre 2003, n. 17146; Cass., Sez. I, 22 giugno 1983, n. 4276). Qualora il titolo giustificativo del pagamento sia prospettato come ignoto dal solvens che agisce in ripetizione, egli può limitarsi ad invocare ed a provare l’inidoneità del titolo ipotizzato, fermo il suo onere di dimostrare l’inidoneità della diversa causa dell’attribuzione eventualmente indicata dal convenuto (Cass., Sez. III, 27 maggio 2024, n. 14788).
La Corte d’appello, in conformità alla giurisprudenza richiamata, esaminando le risultanze istruttorie, ha ritenuto non solo che lo
COGNOME non abbia soddisfatto l’onere della prova relativo all’esistenza del contratto di mutuo (prova non solo della materiale messa a disposizione del denaro in favore del mutuatario ma altresì del titolo giuridico da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione, Cass., Sez. II, 22 novembre 2021, n. 35959), ma neanche della mancanza di una causa che giustificasse i pagamenti effettuati, ad eccezione del solo bonifico del 17 giugno 2010 per un importo pari a euro 22.000,00 che riportava la causale ‘prestito personale’ . La deduzione di un diverso titolo, ad opera del convenuto, non configurandosi come eccezione in senso sostanziale, non vale quindi ad invertire l’onere della prova, per cui alcun onere gravava sui convenuti.
Sulla base di tali presupposti, priva di interesse è la contestazione riguardante il disconoscimento della copia del contratto preliminare, la cui censura risulta inammissibile non avendo parte ricorrente soddisfatto l’onere della prova su di lui gravante, mentre nessuna violazione del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. si riscontra riguardo alla motivazione della decisione impugnata.
2. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Poiché il ricorso è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione