Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8350 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8350 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21517-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3067/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/07/2022 R.G.N. 3550/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento per giusta
causa
R.G.N. 21517/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 20/11/2024
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli accoglieva il reclamo proposto da COGNOME contro la sentenza del Tribunale di Napoli Nord n. 5086/2021 che aveva rigettato la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, pure aveva rigettato la sua impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla convenuta Poste Italiane s.p.a. il 2.2.2018, a seguito di contestazione disciplinare ricevuta il 4.1.2018; la Corte, in riforma di detta sentenza, accoglieva la domanda e, per l’effetto, annullava il licenziamento suddetto e condannava Poste Italiane alla sua reintegrazione nel posto di lavoro da ultimo occupato, al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nei limiti delle dodici mensilità, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione nei limiti di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 30071970.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, riferiti i motivi di reclamo del lavoratore, premetteva che la nota di contestazione disciplinare gli addebitava in sintesi, quale operatore di sportello presso l’ufficio postale di Casandrino, di aver effettuato l’apertura del libretto di risparmio postale n. 48112055 intestato a NOME COGNOME per la quale operazione erano emerse irregolarità operative riportate in dettaglio nella relativa lunga nota (che la Corte trascriveva testualmente).
2.1. Considerava, quindi, la Corte che sostanzialmente le
contestazioni riguardavano il mancato rispetto delle procedure del Gestore code e del Gestore attese, dell’applicativo Oracolo, dell’applicativo NFEL del marzo 2017, della COI n. 88 del 18.3.2016 così come anche richiamata nella Pegasus mail del 13.1.2017.
Tanto considerato, riteneva la Corte territoriale che la datrice di lavoro non avesse assolto l’onere probatorio, sulla stessa incombente ex art. 5 L. n. 604/1966, di aver emanato delle circolari, delle direttive, dei regolamenti (o altri atti similari) che individuassero con precisione le procedure da seguire nel gestire la clientela, nell’identificazione del cliente, nella registrazione e nel controllo dei documenti identificativi, nella apertura dei libretti postali, nel controllo della veridicità dei titoli presentati all’incasso, nonché di aver adeguatamente pubblicizzato tali provvedimenti, di averne imposto il rispetto, di aver anche addestrato il personale al riconoscimento dei titoli contraffatti (notando che nella specie neanche era stato prodotto il titolo contraffatto).
3.1. Cosicché, secondo la Corte, dall’analisi della documentazione prodotta (che riguardava esclusivamente i giornali relativi alle operazioni compiute dal COGNOME nelle giornate oggetto di contestazione, le denunce presentate dai soggetti coinvolti, la relazione degli incaricati della Tutela Aziendale) non era dato comprendere se effettivamente il lavoratore fosse stato notiziato delle procedure da seguire e soprattutto se fosse stato avvisato della loro obbligatorietà e prima ancora non era dato conoscere quali fossero le procedure da seguire e, dunque, in che modo il COGNOME le avesse violate.
3.2. Inoltre, rilevava anche che non si comprendeva in
che modo le violazioni che venivano contestate (in particolare, quelle relative al gestore code e al gestore attese, oltre quelle relative all’applicativo Oracolo -della cui validità ed attendibilità vi era motivo di dubitare stante la documentazione prodotta dal reclamante) avessero consentito o agevolato il comportamento truffaldino.
In definitiva, concludeva la Corte di merito che non era stata in alcun modo provata la sussistenza del fatto contestato, perché non si poteva ritenere che il lavoratore avesse tenuto un comportamento in violazione delle norme disciplinanti il suo rapporto di lavoro.
Per la Corte, pertanto, doveva trovare applicazione in favore del lavoratore la tutela di cui all’art. 18, comma quarto, L. n. 300/1970, nei termini specificati in motivazione e in dispositivo.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.’. Deduce che il ‘primo vistoso motivo di impugnazione della sentenza de qua attiene all’omesso esame da parte della Corte di merito di una serie di elementi fattuali, certamente portati alla cognizione della stessa, che complessivamente valutati sostanziano il comportamento antigiuridico posto alla base del
recesso datoriale’.
Con un secondo motivo denuncia: ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’articolo 360, 1 co. n. 3 c.p.c.’. Assume che un ‘ulteriore vizio che caratterizza la decisione impugnata attiene alla violazione da parte della Corte di merito delle regole processuali in materia di prova e di disponibilità delle prove per la decisione della causa’. Secondo la ricorrente, tanto l’esistenza delle regole procedurali, quanto alla loro diffusione tra il personale degli uffici, non costituiscono affatto un elemento contestato da parte del lavoratore.
Con un terzo motivo denuncia: ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2016 c.c. e all’art. 18 co. 4 l. 300/70’. Per la ricorrente, il ragionamento svolto dalla Corte, viziato per l’omessa valutazione di svariati elementi fattuali indiziari, precisi, univoci e concordanti che ben legittimavano un giudizio di responsabilità disciplinare del dipendente e per aver ritenuto non provati fatti pacifici o comunque testimonialmente accertati, reca inevitabilmente in sé anche una palese violazione delle regole in tema di licenziamenti e relative sanzioni.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
6. Ebbene, nella censura in esame, come ben risulta dal suo esteso svolgimento (v. facciate dalla 8 alla 22 del ricorso, che consta di pagine non numerate), si fonda in sintesi su una completa rilettura delle risultanze processuali, peraltro, relativa ai fatti materiali contestati in senso stretto, e quindi
anche sostanzialmente estranea alla ratio decidendi , praticamente unica, della Corte di merito. Come risulta, invero, dalla narrativa innanzi riferita, la Corte non si è soffermata sui fatti materiali in senso stretto, bensì ha ritenuto che la datrice di lavoro non avesse assolto all’onere probatorio a suo carico di dimostrare di aver ‘emanato delle circolari, delle direttive, dei regolamenti (o altri atti similari) che individuassero con precisione le procedure da seguire nel gestire la clientela, nell’ide ntificazione del cliente, nella registrazione e nel controllo dei documenti identificativi, nella apertura dei libretti postali, nel controllo della veridicità dei titoli presentati all’incasso’.
In ogni caso, che la ricorrente proponga in realtà una rivalutazione complessiva dei fatti contestati è riprovato dalle considerazioni conclusive del primo motivo in cui viene evocato un ragionamento presuntivo, perché sussisterebbero ‘indizi gravi, precisi e concordanti’, che condurrebbero ‘in maniera incontrovertibile ad un giudizio di responsabilità disciplinare del dipendente, sol se si consideri che più di una fase procedurale posta consapevolmente in essere dal COGNOME, in contrasto con le diretti ve impartite ha costituito l’occasione per la negoziazione, e ha reso poi possibile l’incasso, di titoli poi risultati falsi’.
Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Invero, pure tale censura si basa in parte su una rilettura delle risultanze processuali (cfr. facciate dalla 27 alla 32 del ricorso); e l’assunto che ‘tanto l’esistenza delle regole procedurali, quanto la loro diffusione tra il personale, non costituiscono affatto un elemento contestato da parte del
lavoratore’, è sostenuto in termini del tutto generici, non indicandosi atti della controparte dai quali si dovrebbe desumere che il lavoratore non aveva contestato in giudizio quanto in proposito avrebbe allegato Poste Italiane s.p.a.
10. In proposito va ricordato che ‘L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione”, diventa inammissibile (Cass. 27490/2019; n. 3680/2019).
In ogni caso, la Corte territoriale nei motivi della propria decisione aveva riferito che l’allora reclamante aveva, tra l’altro, rimarcato che ‘la società non ha dato prova, nemmeno allegandole, delle disposizioni che il ricorrente avrebbe violato’, non essendo sufficiente a confermare il recesso -il riferimento al codice etico in vigore in azienda, ai doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c. c., come espressamente richiamati dall’art. 52 del C.C.N.L. del 14.04.2011 …’ (v. tra la facciata 3 e quella 4 della sua sentenza), e la Corte era chiamata ad esprimersi su tali deduzioni. Pertanto, non possono reputarsi non contestati i fatti relativi sia all’esistenza di regole apposite che il lavoratore dovesse nella specie seguire che alla conoscenza di queste regole da parte dello stesso lavoratore.
Anche il terzo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In particolare, la ricorrente critica la conclusione tratta dalla Corte di merito, secondo la quale non era ‘stata in alcun modo provata la sussistenza del fatto contestato (…) che comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità o rilevanza giuridica e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare, oltre che il fatto non imputabile al lavoratore’. Ma tale censura si fonda anzitutto sull’assunto che il ragionamento della Corte sarebbe ‘ ab origine viziato dalle omissioni e violazioni sopra descritte’, vale a dire, i vizi che la ricorrente ha dedotto nei precedenti due motivi di ricorso, e qui giudicati insussistenti.
In ogni caso, pure in questa doglianza è proposta una rilettura delle risultanze processuali (cfr. facciate 33-35 del ricorso), che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali
nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, e distrae in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del