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Onere della prova licenziamento: la notifica via email

Un’azienda licenzia un dipendente per assenza ingiustificata, sostenendo di averlo convocato tramite email aziendale. Il lavoratore nega di aver ricevuto la comunicazione. La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento, stabilendo che l’onere della prova della ricezione dell’email spetta al datore di lavoro, il quale non può presumerla solo perché l’account era attivo.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della prova nel licenziamento: la notifica via email non basta

La comunicazione di rientro al lavoro inviata tramite email aziendale non è sufficiente a giustificare un licenziamento per assenza ingiustificata se il datore non dimostra l’effettiva ricezione da parte del dipendente. In questi casi, l’onere della prova ricade interamente sull’azienda. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, confermando le decisioni dei giudici di merito e rigettando il ricorso di una società.

I fatti del caso

Una società licenziava per giusta causa un proprio dipendente, accusandolo di essersi assentato ingiustificatamente dal cantiere di lavoro per diversi giorni. Secondo l’azienda, il lavoratore si era collocato autonomamente in ferie o cassa integrazione senza alcuna autorizzazione.

La controversia nasceva da una comunicazione inviata via email il 17 luglio, con cui si convocava il dipendente a riprendere servizio a partire dal 22 luglio. Il lavoratore, tuttavia, ha sempre sostenuto di non aver mai ricevuto tale email e di aver fatto legittimo affidamento sulla circostanza di essere, al pari dei suoi colleghi, in cassa integrazione fino al 31 luglio.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, annullando il licenziamento e condannando la società alla reintegrazione e al risarcimento del danno. I giudici hanno ritenuto che l’azienda non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare l’effettiva ricezione della mail di convocazione da parte del dipendente.

La questione dell’onere della prova nella comunicazione aziendale

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, con la società ricorrente che ha basato la sua difesa su due motivi principali. In primo luogo, ha sostenuto che il lavoratore avesse l’obbligo di mantenere attivo e controllare il proprio account di posta elettronica aziendale. In secondo luogo, ha lamentato la violazione delle norme sulla presunzione di conoscenza, affermando che la mancata ricezione fosse addebitabile solo alla colpa del dipendente.

Secondo l’azienda, i giudici di merito avrebbero errato nel non applicare una presunzione di conoscenza della comunicazione, desumendo la mancata ricezione solo dal fatto che non ne era stata data prova diretta. Questo, secondo la ricorrente, costituiva un’inversione dell’onere della prova.

L’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, definendo i motivi in parte inammissibili e in parte infondati. I giudici hanno chiarito che la valutazione delle prove è un compito riservato al giudice di merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione che in questo caso non sussistevano.

La Corte ha confermato il principio per cui, non trattandosi di una comunicazione inviata via PEC (Posta Elettronica Certificata), l’onere della prova della ricezione della lettera di convocazione spettava esclusivamente al datore di lavoro. Non è sufficiente dimostrare l’invio, ma è necessario provare che il destinatario sia stato messo in condizione di conoscere il contenuto della comunicazione.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su diversi pilastri argomentativi. Innanzitutto, i giudici hanno dato peso al fatto che le comunicazioni abituali tra le parti avvenissero tramite canali diversi dall’email aziendale, come email personali, contatti telefonici o messaggistica istantanea. Questo elemento ha indebolito la tesi dell’azienda secondo cui il lavoratore avrebbe dovuto necessariamente controllare la casella di posta elettronica aziendale.

Inoltre, la Corte ha ritenuto ragionevole che il lavoratore facesse affidamento sulla circostanza di essere collocato in cassa integrazione fino alla fine del mese, come tutti gli altri colleghi. Di conseguenza, la sua assenza non poteva essere considerata ingiustificata.

La Cassazione ha poi smontato l’argomentazione basata sulla presunzione di conoscenza. L’invio di precedenti email allo stesso account in passato non può costituire un fatto noto da cui desumere, in via presuntiva, che anche la specifica comunicazione di convocazione fosse stata ricevuta. Si tratta, secondo la Corte, di un accertamento di merito, svolto dai giudici delle precedenti istanze in modo logico e privo di vizi.

Infine, sono state dichiarate inammissibili le nuove questioni sollevate dalla società, come l’impossibilità di fornire la prova della ricezione per motivi di privacy, in quanto non erano state presentate nei precedenti gradi di giudizio.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di comunicazioni nel rapporto di lavoro: chi invia una comunicazione con un mezzo che non garantisce la prova legale della ricezione, come un’email ordinaria, si assume il rischio della mancata consegna. L’onere della prova della ricezione grava interamente sul mittente, ovvero sul datore di lavoro.

Questa sentenza rappresenta un importante monito per le aziende sull’importanza di utilizzare strumenti di comunicazione tracciabili e sicuri per le notifiche ufficiali ai dipendenti, come la Posta Elettronica Certificata (PEC) o la raccomandata con avviso di ricevimento. Affidarsi a canali informali o a email ordinarie può rendere estremamente difficile, se non impossibile, dimostrare l’avvenuta conoscenza di una comunicazione da parte del lavoratore, con conseguenze potenzialmente gravi come l’annullamento di un licenziamento.

A chi spetta l’onere della prova della ricezione di una comunicazione via email non PEC inviata al lavoratore?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare l’effettiva ricezione di una comunicazione inviata tramite email ordinaria spetta interamente al datore di lavoro. Non è sufficiente dimostrare di averla inviata.

L’invio di una comunicazione all’account email aziendale è sufficiente a provare che il lavoratore ne sia venuto a conoscenza?
No. La Corte ha stabilito che l’invio, anche se a un account aziendale attivo, non è sufficiente a generare una presunzione di conoscenza. La prova della ricezione deve essere fornita dal datore di lavoro, specialmente se le comunicazioni tra le parti avvenivano abitualmente tramite altri canali.

Può un lavoratore essere licenziato per assenza ingiustificata se non ha ricevuto la convocazione per rientrare al lavoro?
No. Se il datore di lavoro non riesce a dimostrare che il dipendente ha effettivamente ricevuto la convocazione per rientrare in servizio, l’assenza non può essere considerata ingiustificata e il licenziamento basato su tale motivo è illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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