Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26590 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26590 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8599-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 14/2022 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 24/01/2022 R.G.N. 197/2021;
Oggetto
Licenziamento individuale
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con comunicazione del 29 luglio 2020 la RAGIONE_SOCIALE comunicava al dipendente NOME COGNOME licenziamento per giusta causa per l’ingiustificata assenza dalla sede di lavoro di Livorno nei giorni 22, 24, 27, 28 e 29 luglio 2020 nonché per essersi posto autonomamente, senza autorizzazione, in ‘ferie/cassa integrazione ordinaria’ dal 22 al 31 luglio 2020.
Impugnato il provvedimento di recesso, l’adito Tribunale di Gela annullava il licenziamento condannando la società alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, RAGIONE_SOCIALEnte la corresponsione di una indennità, parametrata alla retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per il periodo dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre alla regolarizzazione contributiva ed assistenziale.
In particolare, il primo giudice riteneva che la datrice di lavoro non avesse soddisfatto l’onere probatorio, su di essa gravante, circa l’effettiva ricezione, da parte del dipendente, della mail di convocazione presso il cantiere di Livorno del 17 luglio 2020 e, di conseguenza, circa la stessa conoscenza da parte dello stesso di dovere riprendere l’attività lavorativa con decorrenza dal 22 luglio successivo.
La Corte di appello di Caltanissetta, con la sentenza n. 14 del 2022, ha rigettato il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE confermando la pronuncia di prime cure.
La Corte distrettuale, in sintesi, condivideva il fatto che non vi era stata alcuna dimostrazione che il COGNOME avesse avuto contezza, pur avendone la possibilità, della comunicazione di ripresa dell’attività lavorativa presso il cantiere di Livorno e che vi era una serie di elementi per cui lo stesso poteva fare legittimo affidamento sulla circostanza di trovarsi anche egli collocato in ferie/permessi/cassa integrazione fino al 31 luglio 2020, al pari di tutti gli altri dipendenti
RAGIONE_SOCIALE che si trovavano nelle sue stesse condizioni, con la conseguenza che i fatti contestati erano da considerarsi insussistenti ex art. 3 co. 2 del d.lgs. n. 23/2015.
Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidato a due motivi cui resisteva con controricorso NOME COGNOME.
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo articolato motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, la violazione ed errata applicazione degli artt. 2104 e 2697 cc, dell’art. 64 n. 1 e n. 3 del CCNL RAGIONE_SOCIALE e, conseguentemente, dell’art. 3 co. 2 del D.lgs. n. 23 del 2015, in relazione al mancato esame di documenti essenziali ai fini della valutazione del dovere di diligenza ed illegittima inversione dell’onere probatorio, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Essa rileva che, quando viene assegnato un indirizzo di posta elettronica aziendale, sussiste l’obbligo del lavoratore di attivarlo e tenerlo attivo, soprattutto in considerazione della distanza tra sede operativa della datrice di lavoro e la sede di lavoro del dipendente; precisa che la directory del COGNOME sull’ account aziendale era attiva tanto è che era stata utilizzata nell’interesse del lavoratore sia per la ricezione che per l’invio di altri atti; obietta che essa società non avrebb e potuto fornire la prova della ricezione della corrispondenza per ragioni di privacy e che aveva l’obbligo di disattivare la casella di posta elettronica a seguito di licenziamento.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. n. 3 cpc, la violazione ed errata applicazione degli artt. 1335 e 2729 cc, anche in relazione all’art. 2697 cc, alla presunzione di conoscenza della posta elettronica inviata sull’ account aziendale e alla natura di presunzione semplice dell’avvenuta ricezione dei documenti notificati
sulla posta elettronica nonché l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 3 co. 2 D.lgs. n. 23 del 2015. Si deduce che, quand’anche il COGNOME non avesse ricevuto la comunicazione aziendale per non avere attiva to, per sua colpa, l’ account aziendale, comunque tale circostanza poteva essere addebitata solo a sua colpa e che, pertanto, i giudici di seconde cure erano incorsi nella violazione delle disposizioni in tema di presunzioni semplici desumendo la mancata ricezione della comunicazione solo dal fatto che non ne era stata data prova, non considerando che il legale del COGNOME, in sede di impugnazione del licenziamento, era a conoscenza che l’ account era attivo; inoltre, si evidenza che, sempre attraverso una errata applicazione delle norme in tema di presunzioni e attraverso una errata valutazione dei documenti prodotti, la Corte distrettuale aveva ritenuto non provata dalla società la ricezione (e no n l’invio) sull’ account aziendale della comunicazione di ripresa dell’attività nonostante il lavoratore non avesse mai lamentato alcun malfunzionamento dell’account stesso.
I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Sono inammissibili le doglianze che tendono ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).
Nella specie i giudici di secondo grado, sul presupposto del passaggio in giudicato, non contestato in questa sede, del punto della sentenza di primo grado in virtù del quale, nel caso in esame, occorreva la prova della ricezione della lettera e non solo dell’invio, non trattandosi di missiva trasmessa via EMAIL, hanno ritenuto che non era stato dimostrato che il lavoratore avesse avuto conoscenza della comunicazione del 17 luglio 2020 di convocazione presso il cantiere di Livorno a fronte dell’eccezione mo ssa in merito al mancato funzionamento dell’ account aziendale e al fatto che le comunicazioni tra le parti fossero avvenute esclusivamente a mezzo della mail personale dello stesso dipendente nonché, talvolta, attraverso contatti telefonici o via whatsapp , con la ulteriore conseguenza che non poteva contestarsi allo stesso di non essersi presentato ingiustificatamente in servizio il 22 luglio 2020 e i giorni successivi e che era ragionevole che il lavoratore facesse affidamento sul fatto di trovarsi anche egli collocato in ferie/permessi/cassa integrazione fino al 31 luglio 2020, come tutti i suoi colleghi.
Si tratta di un accertamento di merito, svolto con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, per cui non vi è spazio per alcun sindacato in sede di legittimità.
Inoltre, va evidenziato che l ‘omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici, come detto nel caso in esame, sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018) avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente sulle problematiche riguardanti l’ account aziendale in uso al COGNOME.
Sotto questo, profilo deve, poi, osservarsi, da un lato, che si verte in una ipotesi di c.d. doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5 cpc ove la ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste
a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse fossero tra loro diverse; dall’altro , è opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Inammissibile, perché nuova, è inoltre la questione della impossibilità di fornire, da parte della società, la prova della ricezione della mail , per ragioni di privacy , o della necessità di chiudere l’ account aziendale, dopo il licenziamento, che è un fatto, invece, irrilevante ai fini del decidere.
In punto di diritto, poi, è opportuno ribadire che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo appr ezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili: la asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ, per come formulata, è quindi infondata.
Infine, non è ravvisabile alcun vizio del ragionamento presuntivo posto a base della decisione in quanto, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove
adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 22366/2021).
Nel caso de quo , entrambi i giudici di merito hanno sottolineato che la mancata prova della ricezione della comunicazione di convocazione del luglio 2020 nella sfera giuridica del destinatario non avrebbe potuto desumersi, neanche in via presuntiva, dalle quattro mail prodotte dalla società, inviate nel corso del rapporto di lavoro, all’ account aziendale del COGNOME: è un ragionamento logico e plausibile perché l’invio di precedenti mail non può essere dirimente per ritenere che, poi, anche quella relativa alla comunicazione della convocazione, oggetto della contestazione disciplinare, fosse giunta a conoscenza dell’incolpato.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente che ha dichiarato di essere antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11 settembre 2024