Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3402 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3402 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 811-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, NOME COGNOME, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 956/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/11/2022 R.G.N. 1378/2021;
Oggetto
Licenziamenti ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 811/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 17/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Nella gravata sentenza si legge che, con lettera del 23.4.2020, veniva contestato dalla Telecom Italia spa al dipendente NOME COGNOME di avere effettuato, in determinati giorni, illegittime consultazioni su alcune utenze telefoniche, tra cui quelle di un dipendente TIM, nonché bloccato utenze, sebbene non gli fosse stato assegnato alcun ticket : il tutto in violazione dei generali doveri di collaborazione, diligenza e professionalità richiesti nell’interesse dell’azienda nonché delle prescrizioni del Codic e etico e di condotta del Gruppo.
A seguito delle giustificazioni rese, ritenute non idonee a chiarire i fatti, con lettera del 20.5.2020 veniva intimato all’Amodio licenziamento per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 cc e dell’art. 48 lett. b del CCNL di categoria.
Impugnato il recesso, il Tribunale di Milano, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, ha annullato il licenziamento e ha condannato la società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondergli una indennità risarcitoria parametrata alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento all’effettiva reintegr a.
Proposto reclamo, la Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 956/2022, confermava la pronuncia di prime cure evidenziando che: a) nel rapporto di lavoro e nel procedimento disciplinare non operavano le disposizioni del Codice dell’Amministrazione D igitale; b) la società non aveva dimostrato che i dati contenuti nei documenti, su cui si fondavano gli addebiti disciplinari, erano stati estrapolati dal sistema in maniera corretta; c) la parzialità dell’indagine svolta dalla datrice di lavoro non dimost rava l’abusività delle operazioni oggetto della contestazione nel senso di operazioni non assegnate dal sistema; d) i fatti addebitati erano, pertanto, insussistenti così come la giusta causa.
Avverso la sentenza di secondo grado RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 132 co. 2 n. 4 cpc, dell’art. 2697 cc, dell’art. 5 legge n. 604/1966, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale errato: a) nell’avere attribu ito alla perizia elaborata da una società informatica, su incarico della RAGIONE_SOCIALE, un valore probatorio diverso da quello di una perizia ordinaria; b) nell’avere considerato ininfluente la prova testimoniale del responsabile della detta società; c) nel non avere ritenuto idonea a dimostrare l’ascrivibilità delle condotte contestate all’COGNOME la deposizione della teste COGNOME responsabile dall’anno 2020 del servizio 187; d) per avere ritenuto necessario, a tal fine, effettuare una verifica completa dell’intera giornata lavorativa dell’COGNOME.
Il motivo non è fondato.
La gravata pronuncia, che non ha attribuito alla consulenza di parte lo stesso valore probatorio di quella disposta di ufficio, è in linea con i principi di legittimità secondo cui la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello (Cass. n. 13902/2013; Cass. n. 20347/2017; Cass. 1614/2022).
Correttamente, quindi, la Corte distrettuale ha sottolineato che i risultati delle operazioni tecniche di parte avrebbero potuto essere oggetto di una prova testimoniale del tecnico che aveva svolto l’incarico, ma la Telecom RAGIONE_SOCIALE non aveva inteso ci tare quale teste il consulente stesso e, quindi, i fatti che la società intendeva dimostrare andavano esaminati alla luce della sola testimonianza della teste NOME ritenuta, però, insufficiente a tale scopo.
Per il resto le censure, al di là delle denunciate violazioni di legge, tendono ad una inammissibile rivalutazione delle prove e ad una diversa ricostruzione della vicenda, che sono attività non consentite in sede di legittimità.
E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
Va inoltre precisato, in relazione alle altre denunciate violazioni di legge, che non sussiste la denunciata violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc e 118 disp. att. cpc perché, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dalle suddette disposizioni è rilevabile quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione né disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 25866/2010).
Nella fattispecie tale eventualità non è ravvisabile essendo chiara la ratio decidendi della gravata pronuncia ed argomentata in modo dettagliato e completo, in ordine alla decisiva circostanza della mancata prova sul fatto che le operazioni contestate non fossero state assegnate dal sistema all’Amodio e ciò perché non era stata effettuata una verifica completa dell’intera giornata lavorativa del dipendente, mettendo a confronto non solo le operazioni in back office ma anche
quelle in front end e non solo quelle assegnate dal sistema NGASP ma anche dagli altri sistemi.
Deve, poi, ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art . 360 n. 5 cpc (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili.
Nella fattispecie in esame, invece, vi è stata solo una valutazione delle prove orali e documentali, senza alcuna violazione del principio dell’onere della prova come sopra delineato.
In tema, inoltre, di ricorso per cassazione, la questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 cpc non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 20867 del 2020; Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): anche in questo caso le suddette ipotesi non sono ravvisabili nel caso in esame perché vi è stata, da parte dei giudici di seconde cure, una completa disamina delle prove documentali prodotte dalla società e della deposizione della teste Leone da cui è stato desunto che la riferita possibilità del lavoratore di operare contemporaneamente su più utenze, indipendentemente dall’assegnazione dell’operazione da parte del sistema, era rimasta confinata nell’ambito delle supposizioni.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2024
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME