Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13689 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13689 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23722-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 3326/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/09/2023 R.G.N. 1317/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
In data 11.6.2015 veniva notificato dagli amministratori giudiziari della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al dipendente NOME COGNOME in servizio dal 21.7.2005 con la qualifica di
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 23722/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/02/2025
CC
impiegato (livello di inquadramento 1^), il licenziamento sul presupposto di una ‘perdurante e sempre più gravosa situazione economica e finanziaria ormai irreversibile e risultando il costo del personale dipendente non più sostenibile’.
Impugnato il recesso, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in fase sommaria, rigettava la domanda principale del lavoratore di illegittimità del licenziamento e dichiarava improponibile la istanza di riassunzione ex art. 8 legge n. 604/1966 proposta in via subordinata; in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012 lo stesso Tribunale, acquisita documentazione ex art. 421 cpc, rigettava il gravame nonché la domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 7 della l egge n. 604/1966 (mancato esperimento del tentativo di conciliazione) in assenza di prova della sussistenza del requisito dimensionale.
Proposto reclamo, la Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 3326/2023, rigettava il gravame. I giudici di seconde cure, in relazione ai motivi di impugnazione, rilevavano che: a) il recesso era stato motivato come era chiaramente desumibile dalla lettera di licenziamento; b) la dichiarazione alla Camera di Commercio, in quanto proveniente dall’imprenditore, costituiva un indizio serio circa le dimensioni dell’azienda e, quindi, era onere del lavoratore provare il contrario; c) la produzione non era da considerarsi tardiva in quanto si trattava di un documento accessibile a tutti e non vi era alcuna sorpresa nella sua produzione; d) dall’esame della stessa si rilevava che non solo vi era stata la CIGS e alla fine il licenziamento di tutti i dipendenti, ma anche che alla fine del 2015 nessun dipendente degli otto presenti era in attività; e) non vi era la prova di una continuazione dell’attività e che, in ogni caso, l’ordine di reintegra non avrebbe potuto essere disposto stante la cessazione dell’atti vità dell’azienda e la assenza di dipendenti; f) nessun indennizzo era possibile perché il tentativo di conciliazione, prima di adottare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, era obbligatorio solo per le aziende che avevano più di quindici dipendenti.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La società in liquidazione restava intimata.
Il ricorrente depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati, riportando per ciascuno di essi la stessa rubrica redatta da parte ricorrente.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, ‘Violazione dell’art. 18 della L. 300/70 -Sull’applicazione della tutela reale -diritto alla reintegra del lavoratore stante l’insussistenza dei motivi posti a base del licenziamento o anche in virtù della manifesta insussistenza dei motivi posti a base del licenziamento -Violazione degli artt. 115, 116, 421 e 437 cpc e degli artt. 1175, 1375, 2697 e 2699 c.c. e 2727 e ss. c.c. e all’art. 24 Cost nonché artt. 2, 3, 5, 7 e 8 della legge 604/66 in tema di tutela obbligatoria anche in applicazione, in via analogica, dei criteri di cui all’art. 5 l. 223/91 violazione dell’art. 205 del ccnl per i dipendenti delle aziende commerciali e terziario dell’1.7.2013 violazione del principio di corri spondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 115 cpc -Iudex iudicare debet secundum probata et alligata ‘. Si sostiene che la Corte territoriale aveva errato nell’attribuire alla visura camerale, tardivamente depositata, pieno valore di prova ai fini dell’accertamento del requisito dimensionale, onerando il lavoratore di dimostrare tale punto in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 2697 cc e 115 e 166 cpc; inoltre, aveva impropriamente attribuito alla stessa valore in ordine ai dati riporta ti che si riferivano all’ultimo trimestre del 2015 e non alla data del disposto licenziamento, atteso che vi erano dipendenti subordinati non indicati nelle scritture aziendali.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, ‘Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in particolare con riferimento alla parte in cui la
Corte territoriale, riconoscendo valore probatorio alla visura camerale tardivamente prodotta dalla società, ha ritenuto provato il motivo del licenziamento, la cessazione dell’attività aziendale e il requisito dimensionale da cui far dipendere la non applicazione della tutela reale’; si deduce, poi, che la Corte territoriale ha invertito erroneamente l’onere probatorio sul tema del requisito dimensionale ritenendo sussistente e giustificato il motivo oggettivo del recesso.
Con il terzo motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, ‘Omessa pronuncia in ordine alla subordinata domanda tesa all’applicazione della tutela obbligatoria in favore del lavoratore -Violazione art. 2, 3 ed 8 della legge 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dalla legge n. 92/2012 nonché degli artt. 115 e 116 cpc nonché 437 cpc e 2727 cc anche con riferimento alla mancata comunicazione dei motivi di licenziamento -ulteriore violazione dell’art. 2697 cc e dell’art. 5 della legge n. 604/196 6 e succ. modd. violazione degli artt. 115 e 116 cpc’.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati, per quanto di ragione, nei sensi di cui si dirà in seguito.
Da rigettare sono senza dubbio le doglianze riguardanti la legittimità formale del provvedimento di recesso, con riguardo alla asserita mancanza della comunicazione dei motivi che, invece, come correttamente precisato dalla Corte territoriale, erano stati specificati nella lettera di licenziamento.
Analogamente, sono infondate le censure riguardanti la sussistenza del giustificato motivo oggettivo e l’osservanza dell’obbligo di repêchage, desunti dalla Corte di appello dalla documentazione in atti richiamando, evidentemente, quanto accertato in prime cure con riferimento alla messa in liquidazione della società da parte degli amministratori giudiziari, con il conseguente riconoscimento della Cassa Integrazione per tutti i lavoratori e successiva stipula del contratto di concessione del godimento, con la RAGIONE_SOCIALE, con diritto di acquisto della consistenza immobiliare a destinazione industriale in Pignataro Maggiore.
Censurabile, invece, è la statuizione adottata dalla Corte territoriale in relazione alle conclusioni che ha tratto, sul requisito dimensionale, dal solo esame della dichiarazione alla Camera di Commercio relativa alla fine dell’anno 2015.
Questa Corte ha più volte sottolineato, con un orientamento ormai consolidato, che in materia di licenziamenti, l’assenza dei presupposti per l’applicazione della tutela reale avverso il licenziamento illegittimo deve essere provata dal datore di lavoro con scritture aziendali, dovendosi escludere che la dimostrazione del numero dei dipendenti, inferiore al limite di legge per la tutela reale, possa essere fornita con una mera visura camerale storica, in sé meramente riproduttiva dei dati comunicati dal datore al di fuori della possibilità di controllo (Cass. n. 22371/2021; Cass. n. 3026/2014).
Inoltre, è stato precisato che, in tema di riparto dell’onere probatorio, ai fini dell’applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, sono fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento, esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 St. lav., costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi che devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. L’assolvimento di un siffatto onere probatorio consente a quest’ultimo di dimostrare, ex art. 1218 c.c., che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio da lui esercitato al risarcimento pecuniario, perseguendo, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa (Cass. n. 9867/2017).
Orbene, nella fattispecie concreta, l’errore di diritto in cui è incorsa la gravata pronuncia è consistito nell’avere, da un lato,
attribuito alla dichiarazione alla Camera di Commercio la natura di ‘indizio serio’ circa la dimensione della stessa e, dall’altro, nell’avere onerato il lavoratore di provare il contrario.
Errato, infatti, per ritenere dimostrato il requisito dimensionale dell’azienda è il riferimento alla sussistenza di un solo indizio e non a più indizi, gravi, precisi e concordanti, ed inesatto è l’avere attribuito, poi al lavoratore l’onere di provare un a circostanza che non era tenuto a dimostrare.
In una situazione di semiplena probatio , l’acquisizione della relazione degli amministratori giudiziari avrebbe potuto integrare la pista probatoria così come l’assunzione di ufficio di prove orali o l’acquisizione di ulteriore documentazione, valida al giugno 2015, onde accertare l’effettivo n umero dei dipendenti occupati a quella data e valutare, conseguentemente, la questione della necessità di effettuare il tentativo di conciliazione prima di adottare il licenziamento.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione.
La gravata sentenza deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto di quanto sopra indicato ai fini di accertare il requisito dimensionale, alla data del recesso, in ordine alla questione sulla necessità o meno di svolgere il tentativo di conciliazione prima del licenziamento e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2025