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Onere della prova licenziamento: chi prova la dimensione?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13689/2025, ha stabilito un principio cruciale sull’onere della prova nel licenziamento. In caso di recesso per giustificato motivo oggettivo, spetta esclusivamente al datore di lavoro dimostrare che l’azienda ha un numero di dipendenti inferiore alla soglia per l’applicazione della tutela reale. Una semplice visura camerale, essendo un documento basato su dati forniti dall’azienda stessa, non è considerata una prova sufficiente. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva erroneamente invertito l’onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore, e ha rinviato il caso per un nuovo esame.

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Onere della Prova Licenziamento: La Visura Camerale Non Basta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro, chiarendo definitivamente l’onere della prova nel licenziamento quando è in discussione la dimensione dell’azienda. La Suprema Corte ha stabilito che spetta sempre e solo al datore di lavoro dimostrare di avere un numero di dipendenti inferiore alla soglia che garantisce la tutela reintegratoria. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Licenziamento e Opposizione

Un lavoratore, impiegato dal 2005 presso una società commerciale, veniva licenziato nel 2015 per giustificato motivo oggettivo, a causa di una presunta situazione economica e finanziaria irreversibile dell’azienda, che nel frattempo era stata posta in liquidazione. Il dipendente impugnava il licenziamento, sostenendone l’illegittimità.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano le richieste del lavoratore. In particolare, la Corte territoriale riteneva che una visura camerale, prodotta dall’azienda, costituisse un ‘indizio serio’ del fatto che l’impresa avesse meno di quindici dipendenti. Di conseguenza, i giudici d’appello avevano invertito l’onere della prova, affermando che spettasse al lavoratore dimostrare il contrario, ossia che l’azienda superasse la soglia dimensionale. Sulla base di questa premessa, la Corte d’Appello confermava la legittimità del recesso, escludendo il diritto del lavoratore alla reintegra.

L’Onere della Prova nel Licenziamento secondo la Cassazione

La questione è giunta all’attenzione della Corte di Cassazione, che ha completamente ribaltato la decisione precedente. I giudici supremi hanno censurato la statuizione della Corte d’Appello, definendola un errore di diritto. La Cassazione ha ricordato il suo orientamento ormai consolidato: in materia di licenziamenti, l’onere della prova licenziamento riguardo al requisito dimensionale grava interamente sul datore di lavoro.

L’Insufficienza della Visura Camerale

Il punto centrale della decisione è il valore probatorio della visura camerale. La Corte ha specificato che questo documento non è sufficiente a dimostrare il numero di dipendenti. Il motivo è semplice: la visura è meramente riproduttiva di dati comunicati unilateralmente dal datore di lavoro stesso, al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte di terzi. Considerarla un ‘indizio serio’ e, sulla base di ciò, invertire l’onere della prova è stato ritenuto un errore procedurale e sostanziale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha spiegato che il requisito dimensionale (avere più o meno di 15 dipendenti) non è un elemento costitutivo del diritto del lavoratore a impugnare il licenziamento. Al contrario, la dimensione ridotta dell’impresa è un ‘fatto impeditivo’ del diritto del lavoratore alla tutela più forte (la reintegrazione). In base ai principi generali del processo civile, chi eccepisce un fatto impeditivo ha l’onere di provarlo. In questo caso, è il datore di lavoro che deve provare di rientrare nella soglia dimensionale che esclude la reintegrazione. Affidare questo onere al lavoratore sarebbe eccessivamente gravoso, poiché egli non ha la stessa ‘disponibilità’ dei dati e dei documenti aziendali che ha il datore di lavoro. La Corte d’Appello ha quindi sbagliato ad accontentarsi di un singolo indizio (la visura) e a caricare il lavoratore di una prova che non gli competeva.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in esame ha importanti conseguenze pratiche. Riafferma con forza che il datore di lavoro che intende avvalersi delle tutele meno intense previste per le piccole imprese deve fornirne prova rigorosa, utilizzando scritture aziendali e documentazione certa, non una semplice autodichiarazione come la visura camerale. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta una garanzia fondamentale, evitando che il loro diritto alla tutela contro un licenziamento illegittimo venga vanificato da un’inversione dell’onere probatorio. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo principio, accertando con i giusti mezzi istruttori l’effettivo numero di dipendenti alla data del recesso.

A chi spetta l’onere della prova del requisito dimensionale in un licenziamento?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare che l’azienda ha un numero di dipendenti inferiore alla soglia per l’applicazione della tutela reale (reintegrazione) spetta esclusivamente al datore di lavoro.

Una visura camerale è una prova sufficiente per dimostrare il numero dei dipendenti di un’azienda?
No. La Corte ha stabilito che una mera visura camerale non è una prova sufficiente, in quanto si limita a riprodurre dati comunicati unilateralmente dallo stesso datore di lavoro e non soggetti a controllo esterno.

Cosa ha sbagliato la Corte d’Appello secondo la Cassazione?
La Corte d’Appello ha commesso due errori: primo, ha attribuito alla visura camerale il valore di ‘indizio serio’ quando non lo è; secondo, ha erroneamente invertito l’onere della prova, addossandolo al lavoratore anziché mantenerlo in capo al datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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