Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6652 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6652 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9080/2019 R.G. proposto da:
BANCA MONTE PASCHI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 399/2018 depositata il 16/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– Il Tribunale di Padova, con sentenza del 19 luglio 2013, accolse le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante di Banca Antonveneta s.p.a., volte alla restituzione delle somme indebitamente percepite (per l’illegittimità delle pattuizioni relative al tasso degli interessi ultralegali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, alle commissioni di massimo scoperto e ad altre spese), pari ad € 469.868,19, in relazione al contratto di conto corrente concluso tra le parti.
– La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 16 febbraio 2018, ha respinto l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che: a) il conto corrente era affidato, come già opinato dal Tribunale, attesa la stessa affermazione, resa dalla banca nella comparsa di risposta in primo grado, secondo cui la società aveva continuato ad utilizzare per anni i fidi senza sollevare questioni; b) la lettera di diffida, inviata dalla correntista il 29 novembre 2000, atteneva ad ogni posta indebita, e non soltanto alla capitalizzazione degli interessi, ed era provata la ricezione da parte della banca mediante l’avviso di ricevimento dalla medesima sottoscritto, a nulla rilevando l’allegazione del riferirsi esso ad altra missiva, che neppure era stata identificata al fine di vincere la prova positiva della ricezione.
3. – Avverso la decisione vi è ricorso per cassazione del RAGIONE_SOCIALE dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sulla base di un motivo, cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE
4. – L’unico motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2033, 2697, 2935 e 2946 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., 117, commi 1 e 3, t.u.b., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di prescrizione della banca, reputando le rimesse come ripristinatorie, sulla base del mero valore confessorio di una deduzione difensiva in comparsa di risposta, così invertendo l’onere della prova.
5. – È stata formulata proposta di definizione anticipata ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. sulle considerazioni: « che il motivo è inammissibile, sotto plurimi profili; – che, invero, da un lato, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di ammissione dei fatti ad opera del difensore, al pari di quello di non contestazione, non può prescindere dalla trascrizione di tutti gli atti, dell’una e dell’altra parte, sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare (Cass. n. 943/2021; Cass. n. 942/2021; n. 24062/2017; n. 20637/2016; n. 17253/2009; n. 15961/2007); che, dall’altro lato, la sentenza impugnata, aderendo alla motivazione del primo giudice, ha fondato il suo convincimento circa l’esistenza dell’affidamento anche sull’efficacia ammissiva (non confessoria) attribuibile alle dichiarazioni contenute negli atti: ma la decisione è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale le dichiarazioni del procuratore degli attori possono essere utilizzate dal giudice come elementi indiziari ai sensi dell’art. 2729 c.c. (tra le tante, Cass. n. 23634/2018; n. 20701/2007; n.
4744/2005; n. 3686/1987); che, dall’altro lato ancora, il motivo finisce per richiedere di ripetere un accertamento, riservato al giudice del merito, circa l’efficacia di ammissione e della non contestazione di date dichiarazioni, rese dalla banca in primo grado, con riguardo alla circostanza di fatto dell’essere il conto affidato: ma si tratta di un accertamento che è riservato al giudice del merito e che è inammissibile ripetere in sede di legittimità (Cass. n. 1664/2021; n. 1466/2021; n. 1012/2021; n. 3306/2020; n. 27490/2019; n. 3680/2019; n. 12748/2016) ».
6. – La ricorrente ha chiesto la fissazione dell’udienza e depositato memoria con la quale ha replicato alla proposta di decisione anticipata osservando in sintesi che l’osservanza del principio di autosufficienza non richiede la trascrizione integrale degli atti e documenti, che la dichiarazione proveniente dal difensore della banca non poteva avere rilievo ammissivo dal momento che detta dichiarazione si poneva in contrasto con la complessiva linea difensiva da essa banca spiegata, che la censura non era diretta a provocare una rinnovazione del giudizio sul merito.
7. – Il ricorso è inammissibile.
Tra i diversi profili di inammissibilità del motivo individuati nella proposta di definizione anticipata, è sufficiente soffermarsi sull’ultimo, concernente il carattere, come talora si dice nelle decisioni di questa Corte, « meritale » della censura: ultimo avuto riguardo all’ordine di trattazione contenuto nella proposta di decisione anticipata, ma evidentemente principale, dal punto di vista dell’importanza, giacché sollecita un radicale sviamento della funzione istituzionale della Corte di cassazione, che, come non è superfluo rammentare, è un giudice di legittimità, e non di merito.
È difatti cosa nota che le ammissioni contenute negli scritti difensivi, pur non avendo valore di confessione, costituiscono
tuttavia elementi indiziari che, da soli o in concorso con altri elementi processualmente acquisiti, possono essere liberamente valutati dal giudice ai fini della formazione del suo convincimento (Cass. 21 maggio 1983, n. 3521; Cass. 8 aprile 1987, n. 3465).
Ora, come emerge chiaramente dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale non ha attribuito valore confessorio alla dichiarazione del difensore della banca, sicché è destituita di fondamento la censura in esame laddove denuncia, a pagina 18, la violazione dell’articolo 2730 c.c., ma, appunto, valore meramente indiziario: difatti, se la Corte d’appello avesse ritenuto che la dichiarazione del difensore possedesse natura di confessione, naturalmente giudiziale, in quanto contenuto in un atto del processo, non avrebbe potuto apprezzarla, giacché la confessione fa « piena prova », ha cioè valore di prova legale ai sensi dell’articolo 2733, secondo comma, c.c., mentre, nel caso in esame, la sentenza impugnata, disattendendo il motivo della banca secondo la quale detta dichiarazione non avrebbe potuto fondare una valutazione di ammissione che il conto era affidato, ha viceversa concordato sull’apprezzamento, sul prudente apprezzamento, già operato dal primo giudice.
Ciò detto, com’è dunque palese che il giudice di merito ha accertato in fatto, sulla base della menzionata dichiarazione, l’esistenza dell’affidamento del conto, è altrettanto palese che la censura mira allo scopo di rimettere in discussione detto accertamento: ed è ovvio che sia perciò inammissibile.
Nella memoria illustrativa la ricorrente obietta che, in realtà, la censura non scivolerebbe nel merito, ma si collocherebbe sul piano « delle regole di riparto dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., in quanto la Corte territoriale ha gravato la Banca di provare la natura solutoria delle rimesse che assumeva prescritte »; ora, questa affermazione non è condivisibile, giacché discorrere nella specie di violazione dell’articolo 2697 c.c. è inappropriato: com’è noto, la
violazione di detta norma si concretizza esclusivamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia operato un ribaltamento del riparto degli oneri probatori, facendo gravare sull’attore quell’onere probatorio che invece è del convenuto, o viceversa; ma un simile ribaltamento si verifica appunto quando la decisione sia stata adottata sulla base di detto principio, e cioè quando, non avendo l’attore (o a parti invertite il convenuto) provato ciò che doveva provare, la soluzione di perdurante incertezza giuridica sul fatto viene risolta in suo sfavore; va da sé che nell’ipotesi, come l’attuale, di accertamento effettuato in concreto, per avere il Tribunale e la Corte d’appello conformemente ritenuto positivamente provato che il conto fosse affidato, discorrere di inosservanza dell’articolo 2697 è un non -senso.
Dopodiché, è appena il caso di aggiungere che il ricorso richiama una silloge delle norme processuali più comunemente adoperate per il fine di sollecitare quello sviamento della funzione istituzionale della Corte di cassazione di cui poc’anzi si diceva:
-) l’articolo 112 c.p.c., quantunque sia scontato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum , rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo ( causa petendi ) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio
2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868): il che non ha nulla a che vedere con la vicenda in esame;
-) gli articoli 115 e 116 c.p.c., quantunque sia scontato che: a) per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; b) la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo « prudente apprezzamento », pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
-) l’articolo 2697 c.c., quantunque sia scontato, come si diceva, che la sua violazione si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non
anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949).
8. – Le spese seguono la soccombenza. Va fatta applicazione come in dispositivo dei commi terzo e quarto dell’articolo 96 c.p.c.. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 13.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, ed inoltre al pagamento, in favore della stessa parte controricorrente, della somma di € 13.000,00, nonché, in favore della cassa delle ammende, di quella di € 2.500,00, dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis . Così deciso in Roma, il 5 marzo 2024.