Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23929 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29811-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 498/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 16/06/2020 R.G.N. 318/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Disconoscimento rapporto di lavoro agricolo prova
R.G.N. 29811/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto da COGNOME NOME volto a contestare la cancellazione del proprio nominativo dall’elenco dei braccianti agricoli del Comune di residenza, relativo agli anni dal 2008 al 2013, disposto da INPS a seguito di accertamento ispettivo condotto presso l’azienda Lettieri Savina per la quale il ricorrente assumeva di aver lavorato.
Avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto non superabili le risultanze ispettive a fronte della prova testimoniale raccolta in giudizio dalla quale non risultava dimostrata l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro, il Praino insisteva, in appello, asserendo di aver assolto al proprio onere probatorio attraverso la produzione di precedenti verbali di accertamento, di buste paga, modelli CUD e modelli DMag, e che la pronuncia del giudice di primo grado presentava lacune e contraddizioni, e concludeva per la riforma della sentenza e per la condanna di INPS alla reiscrizione del proprio nominativo nell’elenco dei braccianti agricoli.
La Corte territoriale, ritenuto di non poter utilizzare la prova documentale non menzionata nei verbali di primo grado e tardivamente prodotta in secondo grado, e di non aver sopravvalutato le risultanze ispettive, ha respinto l’appello previo prudente apprezzamento degli elementi probatori acquisiti ed ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni testimoniali, generiche e contraddittorie.
Avverso la sentenza COGNOME NOME propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi, a cui INPS resiste con controricorso illustrato da successiva memoria.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 12/6/2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del principio del giusto processo, violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., per non avere la Corte territoriale consentito la produzione, di cui era stata chiesta l’autorizzazione nelle note di trattazione scritta, della sentenza di primo grado che aveva definito il giudizio promosso dalla datrice COGNOME NOME contro INPS avverso il verbale ispettivo del 2013, e per avere quindi deciso nonostante il ricorrente non avesse rinunciato alla discussione orale.
Con il secondo motivo deduce, in reazione agli artt. 360 co.1 n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere la Corte di merito considerato la richiesta comparazione tra i verbali ispettivi prodotti in giudizio dai quali risulterebbero smentite le conclusioni cui è pervenuto l’INPS nel disporre la cancellazione dei dipendenti dall’elenco bracciantile; all’uopo, rimanda all’orientamento della Suprema Corte secondo il quale quando l’ente contesti l’esistenza dell’attività lavorativa e del vincolo di subordinazione ha l’onere di fornire la relativa prova, senza fermarsi alle sole risultanze del verbale per l’anno 2013, ed emergendo invece che la COGNOME aveva la disponibilità dei terreni, che non erano emerse irregolarità, che alcuni lavoratori erano stati trovati presenti sui terreni,
che l’azienda era stata sanzionata per avere corrisposto ad un dipendente una tariffa retributiva inferiore a quella contrattuale vigente.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., l’omesso esame degli elementi istruttori e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito reso una motivazione inidonea a consentire il controllo degli elementi posti a fondamento della domanda. In particolare, la Corte aveva asserito che le dichiarazioni rese dai testimoni erano generiche, mentre ciascun teste aveva riferito sulle mansioni che aveva visto svolgere dal ricorrente, e si trattava di una motivazione apparente evincibile dalla eccepita inattendibilità dei testi. L’omessa valutazione dei verbali costituiva omesso esame circa un fatto decisivo, non v’era alcun riferimento all’accesso sui terreni da parte degli ispettori, e disattendendo la prova documentale fornita in giudizio non si era contemperato il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale a cui è ispirato il rito del lavoro.
Nel controricorso INPS eccepisce l’inammissibilità del primo motivo poiché all’epoca del giudizio in appello vigeva la disposizione speciale dell’art. 83 lett. H d.l. n.18/2000 sull’udienza figurata, consentita in bilanciamento d’ interessi; anche il secondo motivo sarebbe inammissibile perché non autosufficiente mancando anomalia motivazionale e non risultando violato l’art. 115 c.p.c. per non avere la Corte giudicato in base a prove non introdotte dalle parti. Anche il terzo motivo sarebbe privo di specificità e non risulterebbe
violato il minimo costituzionale per la motivazione articolata su apprezzamenti di fatto rimessi al giudice di merito.
Il ricorso è complessivamente inammissibile.
Sul primo motivo, questa Corte ha già affermato che ‘i n tema di legislazione emergenziale di contrasto alla pandemia da Covid-19, la decisione del giudice di disporre la trattazione scritta, nonostante la richiesta della parte di discussione orale, è legittima, ove il predetto giudice -effettuato un bilanciamento tra il diritto della parte a discutere la controversia oralmente con quello di assicurare la tempestiva definizione della controversia stessa – espliciti le ragioni organizzative che hanno giustificato una tale scelta ‘ (cfr. Cass. ord. n. 594/2024). Nel caso in esame l’impugnata sentenza riporta, in epigrafe, il decreto del Presidente della Corte d’appello di Catanzaro che aveva dato applicazione alla disciplina legale dell’udienza in trattazione scritta di cui all’art. 83 co.7 lett.h) del d.l. n.18/2020 (trattasi di decreti organizzativi adottati dai capi degli uffici giudiziari ‘per assicurare le finalità di cui al comma 6’, ossia per contrastare l’emergenza epidemiologica, concernenti le modalità di
5.1 – In ambito di rapporto di lavoro agricolo, colui che intende far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, per l’effetto, la valida attivazione del rapporto previdenzialeassicurativo, deve provare in modo certo l’elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione ‘ (cfr. Cass. ord. n. 809/2021). L’onere probatorio per l’accertamento dello status di lavoratore agricolo disconosciuto da INPS spetta, dunque, al lavoratore (‘ L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli assolve una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza di un rapporto di lavoro
esercitando una propria facoltà, che trova fondamento nell’art. 9 del d.lgs. n. 375 del 1993, con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previde nziale fatto valere in giudizio’, Cass. sent. n. 12001/2018, e sent. n. 2739/2016); invero, il disconoscimento del rapporto di lavoro produce i suoi effetti sulla cancellazione dal l’e lenco dei braccianti agricoli, e quindi sull’annullamento dei periodi di lavoro dichiarat i dal datore ai fini dell’accredito contributivo, e rientra nel corretto riparto dell’onere probatorio assegnare al lavoratore il compito di allegare, e dimostrare, l’esistenza del rapporto che l’INPS, attraverso i rilievi ispettivi compiuti sull’azienda riportati in verbale di accertamento, ha inteso disconoscere.
5.2 – Non si riscontra, dunque, alcuna violazione della regola di riparto dell’onere probatorio dettata dall’art. 2697 c.c., laddove il ricorrente si duole non già di un’alterazione della regola di giudizio sull ‘ allegazione e prova di fatti costitutivi o impeditivi o estintivi, ma della stessa valutazione compiuta dal giudice di merito nel non aver compiuto una comparazione tra i verbali INPS prodotti. Trattasi, peraltro, di un rilievo che neppure scalfisce il principio di disponibilità delle prove e secondo il prudente apprezzamento nella loro valutazione da parte del giudice. Le valutazioni giudiziali compiute in grado di appello sulla congruenza dei rilievi ispettivi dai quali desumere gli elementi fattuali che hanno costituito la base per misurare l’attendibilità dei testi, sulla inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali e sulla dissonanza fra quanto emerso in istruttoria e le allegazioni attoree, non sono rinnovabili in sede di
legittimità, né rientra nel perimetro giudiziale di questa fase l’introduzione di ulteriori elementi di valutazione che non fossero già presenti agli atti di causa, laddove non viene censurato l’omesso esame circa un fatto decisivo, e sempreché si tratti di rilievi decisivi (di cui però non è offerta alcuna dimostrazione sul risultato che sarebbe stato raggiunto). Il motivo di ricorso, dunque, come articolato, orienta le censure in diritto verso una rivalutazione delle prove raccolte nel giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità.
6. Infine, anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
6.1 La censura di omesso esame, inquadrata nell’ambito dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il principio, espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, è stato più volte ripreso in altre pronunce della Corte di cassazione, con la precisazione che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ord. n.27415 del 2018 e n.17005 del 2024). Ed ancora, questa Corte ha precisato che nel paradigma del vizio denunciabile ai sensi del n.5 dell’art. 360 c.p.c. non è inquadrabile la censura concernente l ‘ omessa valutazione di deduzioni difensive (sent. 14802/2017), e che il vizio deve essere riferito ad un fatto inteso quale specifico accadimento storico-naturalistico (ord. n.24035/2018) la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (ord. 13024/2022).
6.2 -Nel caso in esame, la censura mossa dal ricorrente alla pronuncia di merito, invero, non indica i fatti, appartenuti alla causa, oggetto di discussione fra le parti, di cui non sia stata operata valutazione di merito; dichiarazioni testimoniali e risultanze tratte dal verbale ispettivo sono state esaminate, scrutinate e valutate nelle fasi di merito, conducendo, in una pronuncia cd. doppia conforme, al rigetto della domanda attorea. Non si ravvisa, quindi, un fatto decisivo nel senso di fatto idoneo a determinare una diversa soluzione della controversia in esame.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Seguono, per soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali liquidate come da dispositivo, e le determinazioni sul contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della presente fase, che si liquidano in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di rito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME