Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32698 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32698 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27348-2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1656/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/08/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.7.2017 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Siena, proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 749/2017, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore dell’opposto, della somma di € 8.837,90 portata dalla fattura n. 19 del 2015, relativa al saldo di alcuni lavori di imbiancatura e verniciatura eseguiti in un immobile di proprietà dell’opponente. Quest’ultimo allegava l’esistenza di vizi e difetti, regolarmente denunziati al COGNOME il quale aveva abbandonato il cantiere, non completando l’opera e costringendo l’opponente a rivolgersi ad altra ditta per il completamento dei lavori.
Si costituiva il COGNOME, contestando l’opposizione ed insistendo nella sua pretesa creditoria.
Con sentenza n. 922/2018 il Tribunale rigettava l’opposizione, ritenendo pacifico il fatto che il COGNOME avesse abbandonato il cantiere a febbraio 2014, come dallo stesso riconosciuto, e tardiva la contestazione dei vizi e difetti allegati da parte opponente, in quanto avvenuta dopo la scadenza del termine decadenziale di 8 giorni, e di prescrizione di un anno, previsti dall’art. 2226 c.c. e decorrenti dal momento del predetto abbandono.
Con la sentenza impugnata, n. 1656/2022, la Corte di Appello di Firenze rigettava il gravame interposto dall’COGNOME avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115, 116, 132 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c. perché la Corte distrettuale avrebbe reso una motivazione carente e comunque inficiata da irragionevole contrasto logico, dapprima affermando che la contestazione dei vizi era av venuta soltanto a distanza di due anni dall’abbandono del cantiere da parte del COGNOME, e poi dando atto che la ridetta contestazione aveva riguardato anche l’indicazione dei giorni ed ore di lavoro effettuate dal COGNOME e l’abbandono del cantiere da parte dello stesso; in tal modo, la Corte distrettuale avrebbe dato atto che la contestazione non aveva avuto ad oggetto soltanto l’esistenza di vizi e difetti dell’opera, ma anche l’esistenza stessa della pretesa creditoria azionata dal COGNOME.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 115, 116, 645 c.p.c., e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe invertito l’onere della prova, attribuendo alla parte opponente il compito di fornire la dimostrazione negativa dell’inesistenza della pretesa creditoria.
Le censure sono fondate.
La Corte di Appello ha affermato che l’COGNOME avrebbe contestato la prestazione del COGNOME ‘… solo in ordine alla presenza di vizi oltre due anni dopo l’ultimazione dei lavori’ (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) ed ha ritenuto detta contestazione tardiva perché proposta dopo i termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 2226, secondo comma, c.c., calcolando questi ultimi dal febbraio 2014, data in cui il
COGNOME avrebbe ultimato la propria opera. La Corte del gravame ha poi evidenziato che l’odierno ricorrente aveva contestato solo genericamente il lavoro svolto dal COGNOME, allegando che costui non aveva prestato la propria attività lavorativa per i giorni e le ore esposte in fattura, senza formulare alcuna istanza istruttoria a sostegno delle proprie tesi difensive.
La statuizione della Corte distrettuale non considera che l’COGNOME non si era limitato ad eccepire la presenza di vizi e difetti nell’opera fornita dal COGNOME, ma aveva contestato anche l’effettiva esecuzione delle ore e dei giorni di lavoro che quest’ultimo aveva indicato nella fattura posta a base del decreto ingiuntivo opposto.
La doglianza concernente il mancato esame delle contestazioni mosse dall’odierno ricorrente all’ an ed al quantum della pretesa creditoria esercitata dal COGNOME è fondata, in quanto, trattandosi di contestazioni concernenti l’adempimento delle opere per le quali il creditore COGNOME pretendeva di essere retribuito, il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare che spe ttava al prestatore d’opera fornire la prova positiva dell’esecuzione dei lavori e della quantità di ore lavorate, e non invece all’Olmi, commi ttente, offrire la prova negativa della mancata esecuzione delle prestazioni predette. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di p rova dall’opposto’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19944 del 12/07/2023, Rv. 668145; conf. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30309 del 14/10/2022, Rv. 665971; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5827 del 27/02/2023, Rv. 667208; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5915 del 11/03/2011, Rv. 617411; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del
03/03/2009, Rv. 606941; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5573 del 23/06/1997, Rv. 505362). Infatti ‘Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa. Pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura e l’estratto delle scritture contabili, già costituenti titolo idoneo per l’emissione del decreto, non costituisce fonte di prova in favore della parte che li ha emessi; ne’ è sufficiente la mancata contestazione dell’opponente, occorrendo, affinché un fatto possa considerarsi pacifico, che esso sia esplicitamente ammesso o che la difesa sia stata impostata su circostanze incompatibili con il disconoscimento e, con riferimento al comportamento extraprocessuale, non il mero silenzio, ma atti e fatti obiettivi di concludenza e serietà tali da assurgere a indizi non equivoci idonei, in concorso con altri, a fondare il convincimento del giudice’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17371 del 17/11/2003, Rv. 568223). Poiché nel caso di specie la pretesa creditoria era stata contestata e non vi era stato un esplicito riconoscimento, da parte dell’odierno ricorrente, circa l’esecuzione dei lavori nella quantità indicata dal COGNOME era quest ‘ultimo che avrebbe dovuto fornire prova idonea del proprio credito, secondo le regole ordinarie, non potendosi applicare, a suo favore, il principio di non contestazione.
La Corte distrettuale, dunque, avrebbe dovuto verificare se il COGNOME avesse dimostrato, in concreto, le opere effettivamente svolte e se sussistesse o meno, ed in quale misura, in relazione a dette opere,
il credito fatto valere in sede monitoria, tenendo conto che l’onere della prova, sia in punto di an che in relazione al quantum del credito incombeva esclusivamente al prestatore d’opera.
Del pari erronea è la statuizione della Corte distrettuale, nella parte in cui quest’ultima ha computato i termini di decadenza e prescrizione dell’azione per vizi dell’opera previsti dall’art. 2226, secondo comma, c.c. dal febbraio 2014, data in cui il COGNOME ha cessato la sua prestazione di lavoro. L’odierno ricorrente aveva infatti evidenziato, nelle proprie difese, che il COGNOME aveva eseguito solo in parte l’opera che gli era stata commissionata, ed aveva poi abbandonato il cantiere. Di tale circostanza si dà atto nel ricorso, laddove si riportano stralci delle difese svolte dall’odierno ricorrente nel giudizio di merito, dalle quali emerge che l’COGNOME aveva riconosciuto che il COGNOME, a fronte delle 244 ore di lavoro esposte in fattura, aveva in realtà lavorato soltanto per 14 ore, distribuite in due/tre giorni (cfr. pag. 11 del ricorso). L’esistenza di detta contestazione emerge anche dal controricorso, nel quale vengono riportate le richieste di prova orale che l’COGNOME aveva proposto in primo grado (cfr . pag. 11 del controricorso).
Di fronte alla contestazione concernente la mancata ultimazione dell’opera e l’ abbandono del cantiere, non è corretto far decorrere sic et simpliciter i termini di cui all’art. 2226, secondo comma, c.c. dalla data di interruzione della prestazione, poiché la norma fa riferimento, quanto al termine di decadenza, alla scoperta del vizio, e, quanto al termine di prescrizione, alla consegna dell’opera. La C orte di Appello avrebbe dunque dovuto indagare, da un lato, se, alla data in cui il COGNOME aveva interrotto la sua prestazione, i vizi erano evidenti, o comunque erano stati scoperti, dall’odierno ricorrente, o meno, al fine di verificare la tempestività d ella loro denuncia. Dall’altro lato, avrebbe
dovuto accertare se, in ragione della natura ed entità delle opere svolte dal COGNOME, si potesse ritenere che queste ultime fossero state consegnate, al fine di individuare il dies a quo per il computo del termine di prescrizione. Sia quanto al primo, che quanto al secondo, profilo, invece, la Corte di merito ha fatto riferimento alla sola interruzione della prestazione, che rappresenta, di per sè, un momento non significativo ai fini della verifica dei ridetti termini di decadenza e prescrizione dell’azione per vizi di cui all’art. 2226 c.c.
Al riguardo, va anche considerato il principio secondo cui ‘In tema di inadempimento del contratto d’appalto, laddove l’opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all’appaltatore le difformità ed i vizi dell’opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell’ultimo comma dell’art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all’art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed indipendentemente dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell’e ccezione in esame’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7041 del 09/03/2023, Rv. 667011; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9333 del 17/05/2004, Rv. 572910). Il principio, esteso di recente anche all’ipotesi di prestazione d’opera (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19979 del 19/07/2024, Rv. 671974) impone la verifica della tempestività della denuncia del vizio, ai fini del rispetto del termine di decadenza, poiché solo in presenza di tempestiva denuncia la garanzia per vizi può essere eccepita, ancorché sia decorso il ter mine di prescrizione dell’azione, in applicazione del principio generale per cui inadimplenti non est adimplendum . Anche sotto tale profilo, dunque, la Corte distrettuale
avrebbe dovuto verificare la tempestività della denuncia dei vizi eccepiti dall’COGNOME.
In definitiva, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione, affinché sia verificato se il prestatore d’opera abbia fornito, o meno, la prova di aver effettivamente svolto le ore di lavoro per le quali egli chiedeva di essere retribuito; e se sia, di conseguenza, dimostrato, ed in quale misura, il credito dal medesimo fatto valere in sede monitoria. Inoltre, il giudice del rinvio dovrà valutare se, ai fini de l computo del termine di decadenza di cui all’art. 2226, secondo comma, c.c., i vizi lamentati dal committente fossero palesi, alla data di interruzione della prestazione, avvenuta a febbraio 2014, o in alternativa se il committente abbia dimostrato il momento in cui essi siano stati scoperti. Infine, dovrà essere considerato se, nel caso specifico, sia possibile individuare il momento della consegna dell’opera, ai fini del computo del termine di prescrizione indicato dal sopra richiamato art. 2226, secondo comma, c.c.
Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione.
Così deciso, a seguito di riconvocazione in data 29 novembre