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Onere della prova: la difesa che ammette il ruolo

Un professionista, citato per danni edilizi, viene condannato in quanto la sua linea difensiva iniziale, basata sul merito del suo operato, è stata ritenuta dalla Cassazione un’ammissione implicita del suo ruolo. La Corte ha stabilito che tale condotta solleva l’attore dall’onere della prova circa il coinvolgimento del convenuto, rendendo tardiva la successiva negazione della propria responsabilità.

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Onere della Prova: Quando la Difesa Sbagliata Costa il Processo

Nel contesto di una causa civile, la strategia difensiva adottata fin dal primo grado di giudizio è cruciale. Una scelta errata può avere conseguenze irreversibili, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso analizzato chiarisce come la condotta processuale del convenuto possa influire sull’onere della prova, arrivando a sollevare l’attore dal dimostrare fatti che altrimenti sarebbero a suo carico. La vicenda riguarda la responsabilità di un professionista in un caso di vizi edilizi e la sua tardiva contestazione del proprio coinvolgimento.

La Vicenda: Sconfinamenti Edilizi e Responsabilità Professionale

Alcuni proprietari immobiliari citavano in giudizio una società costruttrice a causa di sconfinamenti e violazioni delle distanze legali realizzati durante l’edificazione di un fabbricato. Tali opere avevano reso difficoltoso l’accesso ai loro garage. La società costruttrice, a sua volta, chiamava in causa l’ingegnere direttore dei lavori, estendendo di fatto la domanda di risarcimento anche nei suoi confronti.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, condannando in solido la società e il professionista al ripristino dei luoghi e al risarcimento dei danni. La decisione veniva confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello, che rigettava sia l’appello principale dell’ingegnere sia quello incidentale della società.

La Difesa in Appello e l’Onere della Prova

Il punto centrale del ricorso in Cassazione si fondava sulla presunta violazione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.). Il professionista sosteneva di aver semplicemente negato la propria titolarità passiva, cioè di non essere il soggetto responsabile, affermando che la sua competenza escludeva gli aspetti strutturali dell’opera, affidati a un altro tecnico. Secondo la sua tesi, questa era una mera difesa, e quindi spettava ai proprietari danneggiati provare il suo effettivo coinvolgimento e la sua colpa.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato questa impostazione, evidenziando una cruciale contraddizione nella sua linea difensiva. Mentre in appello e in Cassazione cercava di negare il proprio ruolo, in primo grado si era difeso nel merito, sostenendo, ad esempio, che la committenza aveva pienamente accettato il suo elaborato progettuale e richiamando ordini di servizio da lui impartiti come Direttore dei Lavori.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha richiamato un principio fondamentale stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 2951/2016): la titolarità della posizione soggettiva (attiva o passiva) è un elemento costitutivo della domanda e, di norma, deve essere provata dall’attore. Tuttavia, questo onere della prova a carico dell’attore viene meno quando la difesa del convenuto si rivela incompatibile con la negazione della propria titolarità.

Nel caso specifico, difendersi argomentando sull’accettazione del proprio progetto equivale a un’ammissione implicita del proprio ruolo e coinvolgimento. Tale comportamento processuale, secondo i giudici, “indirizza inequivocamente la difesa in senso irreversibile”, sottraendo dal dibattito la questione stessa della titolarità del rapporto. In altre parole, il professionista, difendendosi nel merito, ha implicitamente riconosciuto di essere la persona giusta da cui pretendere una responsabilità, anche se poi ne contestava il fondamento.

Di conseguenza, il suo tentativo di scaricare la responsabilità su un altro collega, operato solo in fase di appello, è stato considerato tardivo e inammissibile. La sua condotta processuale iniziale aveva già consolidato il quadro probatorio a suo sfavore, rendendo superflua ogni ulteriore prova da parte degli attori sul suo coinvolgimento.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito strategico: la linea difensiva deve essere coerente sin dalle prime fasi del giudizio. Un convenuto non può prima difendersi nel merito delle accuse, riconoscendo implicitamente il proprio ruolo, e poi, in un secondo momento, tentare di negare la propria legittimazione passiva. Tale comportamento non solo è processualmente scorretto, ma, come dimostra la Corte, ha l’effetto di alleggerire l’onere della prova per la controparte. La scelta di una difesa “sul merito” preclude la possibilità di contestare successivamente il proprio coinvolgimento, cristallizzando la posizione delle parti in modo irreversibile.

Chi deve provare il coinvolgimento di un convenuto in una causa?
Di regola, l’onere della prova spetta all’attore, cioè a chi avvia la causa. Egli deve dimostrare i fatti su cui si fonda il suo diritto, inclusa la titolarità passiva del convenuto, ovvero che quest’ultimo è il soggetto corretto contro cui è rivolta la domanda.

La condotta del convenuto può modificare l’onere della prova?
Sì. La sentenza chiarisce che se il convenuto adotta una linea difensiva incompatibile con la negazione del proprio coinvolgimento (ad esempio, difendendosi nel merito del suo operato), l’attore viene sollevato dall’onere di provare tale coinvolgimento. La difesa del convenuto diventa, in sostanza, una prova a favore dell’attore.

È possibile cambiare strategia difensiva tra il primo grado e l’appello?
Non se il cambiamento è radicale e contraddittorio. La decisione afferma che la scelta di difendersi nel merito in primo grado è una presa di posizione che rende irreversibile il riconoscimento del proprio ruolo nel rapporto controverso. Non è quindi possibile, in appello, negare per la prima volta la propria titolarità passiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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