Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8235 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8235 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26532/2021 R.G. proposto da:
NOME, (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, presso il cui studio di quest’ultimo in ROMA in INDIRIZZO è elettivamente domiciliato, e COGNOME NOME, giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), tutte rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), presso il cui studio in INDIRIZZO INDIRIZZO, sono elettivamente domiciliate, come da procura in atti;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimato –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME; -intimati – avverso la sentenza n. 3885/2021 della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 26.05.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Viterbo, accolta la domanda di riduzione in pristino (per sconfinamenti e violazione di distanze) proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannò, ravvisandone la responsabilità concorrente e solidale, la RAGIONE_SOCIALE e l’COGNOME NOME COGNOME a ripristinare i luoghi, eseguendo le opere specificate dal consulente del giudice, ovvero, in difetto, a corrispondere il costo dell’intervento, quantificato in €. 25.000,00; nonché a risarcire il danno, quantificato in €. 7.500,00.
1.1. Le attrici avevano convenuto in giudizio, oltre alla società RAGIONE_SOCIALE anzidetta, anche NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, lamentando che i convenuti (la RAGIONE_SOCIALE quale impresa edile), nel far luogo a edificazione avevano sconfinato nel fondo attoreo, procurando, a causa di ciò, difficoltà d’accesso ai garage delle attrici.
Chiamato in causa dalla NOME l’COGNOME NOME COGNOME, nei suoi confronti veniva estesa la domanda dalle originarie attrici.
La Corte d’appello di Roma rigettò l’appello principale di NOME COGNOME e quello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE
2.1. Il COGNOME, con l’atto d’appello, si era doluto della affermazione della sua responsabilità, nonostante avesse rivestito solo il ruolo di <>; strutture, per le quali la società si era avvalsa dell’opera dell’COGNOME NOME COGNOME, tenuto, secondo il COGNOME, a <>.
2.2. La Corte territoriale disattese il motivo sopra riportato, osservando <>.
Il COGNOME propone ricorso per cassazione.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale ha violato la regola dell’onere della prova, avendo la addossato all’esponente, in spregio all’art. 2697 cod. civ.: osserva che la pretesa azionata contro di lui si fondava sul ruolo che avrebbe avuto come professionista; in appello, quest’ultimo aveva <>.
L’eccezione in parola non era altro che una mera difesa, in senso lato, con la quale il ricorrente aveva negato la titolarità passiva del rapporto controverso, con la conseguenza che sarebbe spettato agli attori dare prova del loro asserito diritto e quindi del suo coinvolgimento.
A suo dire, quindi, se la Corte d’appello avesse fatto corretta applicazione della regola sopra enunciata avrebbe dovuto rigettare la domanda.
Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite con sentenza n. 2951, 16/2/2016, hanno affermato che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (massima Rv. 638371 -01; conf., ex multis, Cass. nn. 14652/2016, 15037/2016, 22525/2018).
Con l’ulteriore e conseguente corollario che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi
od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Rv. 638372 -01; conf. ex multis, Cass. nn. 30545/2017, 3765/2021).
L’onere dell’attore di provare il proprio diritto (la titolarità attiva), quindi, viene meno, come specifica la prima massima, allorquando la difesa della controparte ne renda inutile l’assolvimento, attraverso condotta esplicita (riconoscimento) o implicita (difesa incompatibile con una tale negazione).
Infatti, la sentenza delle S.U. immediatamente sopra richiamata, in motivazione (pag. 15) puntualizza inequivocamente: <>.
Nel caso in esame, come riporta testualmente la Corte d’Appello a pag. 4 della sentenza, in primo grado il COGNOME si difese evidenziando -<>. Alle pagine 12 e 13 della sentenza si richiamano inoltre ordini di servizio riguardanti rimozioni e riduzioni in pristino impartiti dal predetto in qualità di Direttore dei Lavori.
Né il ricorrente risulta aver mai asserito l’erroneità della riportata ricostruzione.
A ciò aggiungasi che in sintonia con una tale difesa il COGNOME non risulta aver evocato la responsabilità di un altro professionista e, proprio per ciò, non allegò prove a sostegno di una siffatta tesi.
Solo con il primo motivo dell’atto d’appello, come si è sopra riportato, ha addebitato al collega COGNOME la condotta lesiva dei diritti fatti valere dalle attrici e ha chiesto ammettersi produzione documentale, giudicata tardiva dalla Corte di merito.
La presa di posizione del convenuto in primo grado, il quale non contesti la propria titolarità passiva, difendendosi nel merito (nella specie adducendo espressamente l’accettazione del progetto da parte della committenza per ottenere il rigetto della domanda formulata nei suoi confronti), indirizza inequivocamente la difesa della controparte (l’attore) in senso irreversibile, sottraendo dal tema della contesa la questione della titolarità del rapporto, che, ove fosse successivamente posta, menomerebbe irreversibilmente il diritto di difesa della controparte.
Sula scorta del principio affermato dalle SSUU e della linea difensiva dell’odierno ricorrente come sopra ricostruita, la decisione impugnata si sottrae alla critica e il ricorso va respinto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza.
Nessuna pronuncia va emessa nei confronti delle parti rimaste intimate.
7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 6