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Onere della prova: la contumacia non è ammissione

La Corte d’Appello conferma che la mancata costituzione in giudizio (contumacia) del convenuto non esonera l’attore dal suo onere della prova. In un caso di mancato pagamento per prestazioni professionali, la Corte ha ritenuto sufficiente la copiosa documentazione prodotta dal creditore (cedolini, modelli 770) per dimostrare il proprio diritto, respingendo l’appello. Viene inoltre chiarito che le eccezioni di nullità della CTU per vizi procedurali devono essere sollevate tempestivamente in primo grado e non per la prima volta in appello.

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Pubblicato il 5 maggio 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova: La Contumacia del Convenuto Non Equivale ad Ammissione

Nel mondo dei contenziosi civili, uno dei pilastri fondamentali è il principio dell’onere della prova, sancito dall’articolo 2697 del Codice Civile. Chi fa valere un diritto deve dimostrare i fatti su cui tale diritto si fonda. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha ribadito questo concetto, chiarendo come la mancata costituzione in giudizio del convenuto (contumacia) non alteri questa regola fondamentale. Analizziamo il caso di uno studio professionale che ha dovuto lottare per vedere riconosciuto il proprio compenso, nonostante la passività della controparte.

I Fatti del Caso: Una Consulenza Non Pagata

Uno studio associato specializzato in consulenza del lavoro citava in giudizio una società sua cliente, lamentando il mancato pagamento di anni di prestazioni professionali, svolte dal 2007 al 2014. Nonostante il rapporto si fosse interrotto, lo studio non aveva mai ricevuto il saldo delle proprie competenze, quantificate in oltre 8.000 euro.

In primo grado, il Tribunale si trovava di fronte a una situazione particolare: la società convenuta, pur regolarmente notificata, decideva di non costituirsi in giudizio, rimanendo contumace. Il giudice, basandosi sulla cospicua documentazione prodotta dallo studio (cedolini paga, modelli 770, etc.) e su una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) contabile, accoglieva la domanda, condannando la società a pagare circa 5.400 euro, oltre interessi e spese legali.

I Motivi dell’Appello: Prova Insufficiente e CTU Niente

La società, a questo punto, decideva di appellare la sentenza, sollevando due questioni principali:
1. Violazione dell’onere della prova: Secondo l’appellante, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente interpretato la sua contumacia come una sorta di ammissione dei fatti, ritenendo fondata la domanda dello studio senza che questo avesse fornito prove sufficienti.
2. Nullità della CTU: L’appellante sosteneva che la perizia contabile fosse nulla, in quanto basata su documenti che lo studio avrebbe prodotto tardivamente, oltre i termini consentiti dalla legge, e acquisiti dal CTU in violazione delle regole procedurali.

L’Onere della Prova e il Comportamento Processuale

La Corte d’Appello ha rigettato il primo motivo, offrendo un’importante lezione sull’onere della prova. I giudici hanno chiarito che il Tribunale non aveva affatto attribuito alla contumacia un valore di confessione. Al contrario, la decisione si fondava su una valutazione complessiva degli elementi acquisiti. La copiosa documentazione prodotta dallo studio professionale è stata ritenuta prova sufficiente dell’attività svolta. Il possesso di tali documenti (buste paga, modelli fiscali) presuppone necessariamente l’esistenza di un incarico professionale.

La contumacia e il silenzio serbato dalla società, anche di fronte alla messa in mora ricevuta prima della causa, sono stati considerati non come prova principale, ma come elementi rafforzativi del convincimento del giudice, valutati unitamente alle prove documentali.

La Gestione della Prova in Caso di Contumacia

La sentenza sottolinea che la scelta di non partecipare al giudizio è un comportamento processuale neutro, che non inverte l’onere della prova. Tuttavia, non impedisce al giudice di valutare questo comportamento insieme a tutte le altre prove raccolte. L’attore deve sempre e comunque dimostrare la fondatezza della sua pretesa.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione con motivazioni chiare e fondate su principi procedurali consolidati. Sul primo punto, ha stabilito che l’assolvimento dell’onere della prova da parte dello studio professionale era stato adeguatamente verificato dal primo giudice. La produzione di documenti dettagliati come cedolini paga annuali e modelli 770 costituiva una prova solida e sufficiente del lavoro svolto. La contumacia della società non poteva essere interpretata come un’ammissione, ma il suo comportamento complessivo, unito alle prove documentali, formava un quadro probatorio convincente.

Sul secondo motivo, relativo alla presunta nullità della CTU, la Corte ha dichiarato la censura inammissibile prima ancora che infondata. La nullità derivante dall’acquisizione di documenti oltre i termini è una ‘nullità relativa’. Questo significa che deve essere eccepita dalla parte interessata nella prima difesa utile successiva al verificarsi del vizio. Poiché la società era rimasta contumace in primo grado, non aveva mai sollevato tale eccezione e, pertanto, aveva perso il diritto di farla valere per la prima volta in appello. Citando le Sezioni Unite della Cassazione (sentenze n. 3086/2022 e 5624/2022), la Corte ha inoltre ricordato che il CTU, specialmente in materia contabile, ha il potere di acquisire documenti necessari a completare il quadro probatorio, purché non introduca fatti principali nuovi che le parti avrebbero dovuto allegare.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti insegnamenti pratici. In primo luogo, per i professionisti e le imprese che agiscono in giudizio per il recupero di un credito, è fondamentale costruire un solido impianto probatorio documentale fin dall’inizio. Non si può fare affidamento sulla possibile passività della controparte. In secondo luogo, per chi viene citato in giudizio, la scelta della contumacia è rischiosa: sebbene non equivalga a un’ammissione di colpa, impedisce di difendersi attivamente e, soprattutto, preclude la possibilità di sollevare in un secondo momento eccezioni procedurali che, se proposte tempestivamente, avrebbero potuto cambiare l’esito della causa. La tempestività nel far valere i propri diritti e nel contestare gli atti processuali è un elemento cruciale della strategia difensiva.

Se un convenuto non si presenta in tribunale (contumacia), l’attore vince automaticamente la causa?
No. La contumacia è un comportamento processuale neutro e non esonera l’attore dall’onere della prova. L’attore deve comunque dimostrare con prove adeguate i fatti su cui si fonda la sua richiesta. La contumacia può essere valutata dal giudice insieme alle altre prove, ma non costituisce di per sé un’ammissione di colpa.

È possibile produrre nuove prove durante una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) se i termini sono scaduti?
Sì, ma con dei limiti. Secondo la giurisprudenza citata (Cass. n. 3086/2022), il consulente tecnico può acquisire documenti per rispondere ai quesiti del giudice, specialmente per completare un quadro probatorio già delineato. Tuttavia, non può introdurre fatti principali nuovi che erano onere delle parti allegare nei termini di legge.

Un’obiezione sulla nullità di un atto processuale può essere sollevata per la prima volta in appello?
No, se si tratta di una ‘nullità relativa’. La sentenza chiarisce che i vizi procedurali, come la tardiva acquisizione di documenti, devono essere eccepiti dalla parte interessata nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato. Se una parte rimane contumace in primo grado, perde la possibilità di sollevare tale eccezione per la prima volta in appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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