Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12975 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 33206-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– resistente con mandato –
Oggetto
R.G.N.33206/2019
COGNOME
Rep.
Ud.25/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 348/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 05/11/2018 R.G.N. 290/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME Antonio aveva proposto davanti al Tribunale di Taranto opposizione avverso decreto ingiuntivo notificatogli dall’INPS in data 8 maggio 1998 per contributi (e relative somme aggiuntive) omessi in relazione alla ditta RAGIONE_SOCIALE, opposizione fondata sulle circostanze che: detto decreto era stato emesso sulla base della mera attestazione del responsabile dell’Ufficio; prima del ricorso monitorio l’INPS non aveva richiesto in altro modo i contributi; il verbale di ispezione non gli era mai stato notificato; comunque, era maturata la prescrizione.
L’INPS , costituendosi a seguito dell’opposizione , aveva prodotto il verbale ispettivo, del 18 giugno 1993, sul quale risultava ‘la consegna al titolare della ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE. La CTU contabile disposta in primo grado aveva ridotto l’importo; il Tribunale, disattendendola , aveva respinto l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo opposto. Il COGNOME aveva proposto quattro motivi di gravame, che la Corte d’appello di Lecce, sezione staccata di Taranto, ha respinto con la sentenza n. 348/2018 qui gravata.
COGNOME Antonio avanza due motivi di ricorso.
INPS non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 25 febbraio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
COGNOME NOME censura la sentenza sulla base di due motivi. I)violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ., degli artt. 416, 424, 445 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto assolto l’onere probatorio a carico dell’INPS con la mera produzione del verbale ispettivo, avvenuta solo nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo, anche con riferimento al quantum debeatur, nonostante nel verbale non fossero quantificate le sanzioni civili e l’opponente avesse posto in essere un’azione di ac certamento negativo.
II) omessa pronuncia in ordine ad una delle domande o eccezioni di merito ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 112 e 132, n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte omesso qualsiasi decisione su uno specifico motivo e sulla relativa domanda che avrebbero portato, quanto meno, alla riduzione del quantum.
Premesso che il ricorso è tempestivo perché il termine semestrale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., per come novellato dall’art. 46, della legge n. 69/2009, si applica, ai sensi dell’art. 58, l. cit., ai giudizi instaurati a decorrere dal 4.7.2009, dovendo pertanto ritenersi ancora vigente il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a tale data (Cass. n. 6784/2012, n. 12603/2016), non sono state sollevate contestazioni in ordine al fatto che la Corte ha ritenuto
ritualmente consegnato all’interessato il verbale ispettivo e, quindi, ha escluso fosse maturata prescrizione, e dalla lettura dei motivi si evince che le censure si appuntano esclusivamente sul profilo del quantum debeatur .
Così delineato il perimetro del giudizio, il ricorso deve essere respinto.
Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe concluso che il verbale ispettivo INPS fosse piena prova anche del quantum preteso, in particolare del quantum relativo alle sanzioni -nonostante egli avesse ‘contestato in modo specifico il ridetto verbale’ in tal modo, di fatto, violando i principi di riparto dell’onere della prova. Inoltre, a fronte di un verbale ispettivo in cui non erano presenti ‘i conteg gi nonché i criteri di calcolo relativi alle sanzioni civili’, sarebbe stato necessario un accertamento peritale, che era stato, infatti, inizialmente ammesso e disposto dal primo giudice ma poi non considerato in sentenza, nè in primo né in secondo grado.
La Corte ha, innanzitutto, richiamato il valore probatorio dei verbali ispettivi: peraltro, tale richiamo è funzionale non ad affermare che, nella specie, il verbale facesse piena prova anche dell’importo richiesto bensì solo al fine di confermare la valutazione del primo giudice in ordine al fatto che, essendo in detto verbale attestata la rituale consegna al Sannino, sotto questo profilo sarebbe stato onere di quest’ultimo impugnarlo con querela di falso.
Quanto al resto, la Corte ha, in primis , motivato sulla base del principio di non contestazione: ‘a fronte del decreto ingiuntivo, nell’atto di opposizione non risultano contestati i dettagliati fatti costitutivi del diritto affermati dall’Inps né risultano precise e
specifiche contestazioni neppure a seguito della costituzione in giudizio dell’istituto, come correttamente rilevato dal Tribunale con motivazione che la Corte condivide’, richiamando, quindi, la giurisprudenza di legittimità che, sul punto, richiede che il convenuto debba prendere posizione in maniera precisa ‘e non limitata ad una generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda’.
Dopo aver argomentato in ordine alla correttezza della motivazione di rigetto dell’eccezione di prescrizione da parte del primo Giudice, ha, infine, aggiunto che ‘altrettanto adeguato e privo di vizi logici è il giudizio del Tribunale riguardo alla CTU contabile, inammissibilmente disposta con la formulazione di un quesito esplorativo ed indeterminato, rilevato che la stessa non può essere utilizzata per colmare le lacune difensive di una delle parti e non può mirare -peraltro con applicazione da parte del CTU di principi errati al rifacimento dell’attività legittimamente svolta dagli ispettori, pur avendo lo stesso CTU dato atto della certezza dei dati verbalizzati in sede ispettiva perché ricavati dai libri aziendali e quindi nemmeno contestabili dal Sa nnino’.
Dalla lettura della motivazione si ricava, quindi, innanzitutto che la sentenza impugnata non contiene affermazioni in contrasto con il principio per cui «i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell’Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti» ( ex plurimis , Cass. nr. 9251 del 2010), poichè la Corte
territoriale non ha escluso la possibilità che le risultanze del verbale ispettivo potessero essere contrastate con altri esiti istruttori raccolti in corso di causa, né ha attribuito a detto verbale un valore probatorio che non gli compete in punto quantificazione delle sanzioni, ma ha motivato vuoi richiamando il principio di non contestazione (specifica) vuoi evidenziando la inammissibilità di una CTU contabile che era stata, inizialmente, disposta con un quesito ritenuto generico ed esplorativo e che, c omunque, proprio in virtù dell’assenza di specifiche contestazioni, non avrebbe potuto essere utilizzata, in quanto sarebbe divenuta lo strumento per colmare lacune difensive della parte.
Come lo stesso ricorso di legittimità riporta a pagina 9, in punto sanzioni il verbale ispettivo era chiaro: ‘sui contributi omessi sono dovute le sanzioni civili previste dall’art. 4 L. n. 48/88, così come sono dovute ai sensi dell’art. 8 d.l. 15.09.90 n. 259 sugli sgravi e le fiscalizzazioni operate indebitamente in misura maggiore di quelle spettanti o decaduti ai sensi dell’art. 6, comma 9, lettera b, c, L. 389/89. Si fa riserva di addebitare le sanzioni sugli sgravi e la fiscalizzazione relativa ai periodi a cui sono stati estesi gli effetti dell’inosservanza, ai sensi dell’art. 6, comma 10, della citata legge’.
Posta la contribuzione non versata, le sanzioni civili sono ex lege conseguenti, di tal chè, coerentemente, la riserva di quantificazione concerneva solo le, diverse, sanzioni su sgravi e fiscalizzazioni.
Del resto, nello stralcio del ricorso monitorio trascritto sempre a pagina 9 del ricorso in cassazione si legge chiaramente l’importo richiesto a titolo di sanzioni: ‘somme aggiuntive ex l.48/88, art. 4, co.1, lett. C, comma 2, calcolate fino al 26.02.98 l ire 622.662.791’.
A fronte di tale puntuale quantificazione contenuta nel ricorso per decreto ingiuntivo, neppure in questa sede viene esplicitato perché detto importo sarebbe errato, non viene, cioè, dettagliato dove risiederebbe ed in cosa consisterebbe l’errore. Il Sannino sostiene, a pagina 7, di aver contestato in modo specifico il verbale nelle note conclusionali (che, peraltro, non trascrive) a fronte di una sentenza in cui viene, al contrario, affermato che le contestazioni erano generiche: anche a questa Corte non si offrono elementi per apprezzare la censura, poiché le contestazioni non sono riportate e non vengono esplicati, in ossequio alla necessaria autosufficienza del ricorso, gli elementi da cui desumere per quanto ed in relazione a quali motivi l’importo preteso dall’Istituto sarebbe da considerarsi eccessivo. Dalla motivazione della sentenza come sopra riportata si ricava, altresì, che la Corte territoriale non ha violato il dictum dell’art. 2697 cc poiché non ha posto a carico dell’opponente l’onere di provare ciò che non gli compete.
E’ stata, infatti, non correttamente invocata la violazione dell’art. 2697 cod. civ., avendo il collegio, in parte qua , proceduto all’accertamento del fatto controverso e, quindi, deciso la causa senza applicare la regola di giudizio basata sull’onere della prova (v., in argomento, ex plurimis , Cass. n. 13395/2018).
«Secondo la giurisprudenza della Corte, inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod.civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito
della prova, sindacabile in sede di legittimità solo secondo il paradigma del novellato art. 360, n. 5, c.p.c. (fra tante, Cass. n. 17313 del 2020)» (Cass. n. 24439/2023).
Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul motivo di appello volto a contenere la condanna nella minor somma di lire 477.473.000 (motivo che è riportato in stralcio in ricorso, con allegazione dell’atto di appello, indentificato quanto a posizione nel fascicolo, sia pur in difetto della pronuncia di prime cure).
La censura è infondata.
Non si riscontra il vizio denunziato e non si può parlare nella specie di omessa pronuncia, avendo, viceversa, la Corte rigettato lo specifico motivo di appello, motivando.
Infatti, la sentenza dà atto di tale (ultimo) motivo a pagina 4, dopo aver illustrato le precedenti ragioni di censura: ‘si duole l’appellante pure dell’errore del Tribunale riguardo all’onere della prova, incombente all’INPS, dei fatti giustificativi del preteso e credito e, soprattutto, del quantum debeatur, in assenza di specifica indicazione delle somme aggiuntive e dei relativi criteri di calcolo, dovendosi al più ritenere quale somma dovuta all’INPS quella contenuta in lire 477.473.000, rispetto alla minore somma determinata dal CTU in lire 329.249.000 così maggiorata di lire 49.408.000 a titolo di contributi omessi per mancato adeguamento delle retribuzioni contrattuali e di lire 98.816.000 pari al doppio dei contributi omessi’.
Sempre a pag. 4, prima di passare all’esp osizione delle singole ragioni di rigetto, la Corte, con affermazione che abbraccia tutte le doglianze precedentemente elencate , scrive che ‘ Le censure mosse dall’appellante sono infondate’.
Infine, a pagina 5/6 così espressamente motiva, in coerenza con quanto in precedenza argomentato in ordine all’originario difetto di specifiche contestazioni da parte dell’opponente: ‘altrettanto adeguato e privo di vizi logici è il giudizio del Tribunale riguardo alla CTU contabile, inammissibilmente disposta con la formulazione di un quesito esplorativo e indeterminato, rilevato che la stessa non può essere utilizzata per colmare le lacune difensive di una delle parti e non può mirare -peraltro con l’app licazione da parte del CTU di principi errati -al rifacimento dell’attività legittimamente svolta dagli ispettori, pur avendo lo stesso CTU dato atto della certezza dei dati verbalizzati in sede ispettiva poiché ricavati dai libri aziendali e quindi nemmeno contestabili dal COGNOME‘.
Alla luce di quanto sopra, neppure si potrebbe ravvisare un vizio motivazionale, comunque in questa sede non contestato, poiché la Corte ha esplicitato le ragioni a fondamento del decisum .
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Non fa seguito condanna alle spese, stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’Istituto previdenziale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 febbraio