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Onere della prova: la Cassazione su mansioni identiche

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14135/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di alcuni dirigenti medici che chiedevano un adeguamento retributivo basato sulla presunta identità di mansioni con colleghi meglio pagati. La decisione sottolinea che l’onere della prova spetta al lavoratore, il quale deve fornire allegazioni specifiche e dettagliate, non potendo fare affidamento sul principio di non contestazione a fronte di affermazioni generiche.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Onere della Prova: la Cassazione sulla Parità di Mansioni e Retribuzione

Nel contesto del diritto del lavoro, la questione della parità di trattamento retributivo tra dipendenti che svolgono mansioni identiche è una tematica ricorrente e di grande importanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sul concetto di onere della prova, specificando quali siano gli obblighi del lavoratore che rivendica un adeguamento economico. L’ordinanza stabilisce che affermazioni generiche non sono sufficienti per attivare il principio di non contestazione a carico del datore di lavoro. Vediamo nel dettaglio i fatti e le conclusioni della Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una controversia promossa da alcuni dirigenti medici di un’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP). I professionisti lamentavano una disparità di trattamento economico rispetto ad altri colleghi. Nello specifico, contestavano le delibere aziendali che avevano stabilito la “pesatura” delle funzioni dirigenziali, sostenendo di aver diritto a un punteggio più alto, identico a quello riconosciuto ad altri dirigenti che, a loro dire, svolgevano mansioni e funzioni identiche.

Le loro richieste includevano:
1. L’accertamento dell’illegittimità delle delibere sulla graduazione delle funzioni.
2. Il riconoscimento del diritto a una valutazione di 51 punti.
3. La condanna dell’azienda a corrispondere le differenze retributive relative al trattamento economico di posizione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le domande, ritenendo che i ricorrenti non avessero fornito una prova adeguata dell’identità delle mansioni svolte.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova

I dirigenti medici hanno quindi proposto ricorso per cassazione, basando le proprie doglianze su diversi motivi, tra cui la violazione del principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.) e delle norme sull’onere della prova. Sostenevano che, a fronte delle loro allegazioni, l’azienda non avesse specificamente contestato l’identità delle mansioni, e che quindi tale fatto dovesse considerarsi provato.

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi (principale e incidentale) inammissibili, confermando le decisioni dei giudici di merito. La Corte ha ribadito un principio fondamentale del processo civile e del lavoro: l’onere della prova grava su chi agisce in giudizio per far valere un proprio diritto.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Suprema Corte sono state chiare e articolate. I ricorsi sono stati giudicati inammissibili principalmente per la loro estrema genericità. La Corte ha spiegato che il principio di non contestazione non può essere invocato quando le affermazioni della parte che agisce sono vaghe e non circostanziate. Nel caso di specie, i medici si erano limitati a sostenere di svolgere mansioni “identiche” a quelle di altri colleghi, senza però fornire dettagli specifici e concreti che permettessero una reale comparazione.

I giudici hanno sottolineato che, proprio a causa di questa genericità, non sussisteva per il datore di lavoro un onere di contestazione specifica. Non si può chiedere a una parte di contestare puntualmente un’affermazione che è essa stessa priva di punti specifici. La Corte ha inoltre evidenziato che i ricorrenti avevano criticato la valutazione delle prove operata dai giudici di merito, un’attività che esula dal perimetro del giudizio di legittimità della Cassazione, la quale non può sostituire la propria valutazione a quella dei tribunali di grado inferiore.

In sostanza, non è stato fornito alcun elemento probatorio concreto che dimostrasse né l’attribuzione formale degli incarichi vantati, né l’effettivo esercizio delle relative mansioni. Le doglianze relative alla violazione delle procedure di graduazione e alla disparità di trattamento sono state anch’esse ritenute generiche e, pertanto, inammissibili.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cardine del nostro ordinamento processuale: chiunque voglia far valere un diritto in tribunale deve assumersi l’onere della prova, fornendo allegazioni chiare, specifiche e supportate da elementi concreti. Non è sufficiente affermare genericamente di aver subito un torto o una disparità di trattamento. Nel diritto del lavoro, questo significa che il dipendente che chiede un adeguamento retributivo sulla base della parità di mansioni deve descrivere in modo analitico e comparativo le attività svolte, mettendo il giudice e la controparte nelle condizioni di verificare l’effettiva sovrapponibilità dei ruoli. In assenza di tale specificità, il ricorso rischia di essere rigettato per carenza di prova, senza che si possa invocare la mancata contestazione da parte del datore di lavoro.

Chi ha l’onere della prova in una causa per il riconoscimento di mansioni identiche e differenze retributive?
L’onere della prova grava interamente sul lavoratore che agisce in giudizio. Egli deve dimostrare in modo specifico e dettagliato l’identità delle mansioni svolte rispetto a quelle dei colleghi che percepiscono una retribuzione maggiore.

Il principio di non contestazione si applica se il datore di lavoro non nega genericamente le affermazioni del dipendente?
No. La Corte ha chiarito che il principio di non contestazione presuppone che le allegazioni della parte attrice siano specifiche e dettagliate. Se le affermazioni sono generiche, come nel caso di specie, non sorge per il datore di lavoro un onere di contestazione specifica, e il fatto non può considerarsi provato.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, non può riesaminare e valutare il materiale istruttorio o sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito sui fatti della causa, a meno che non vi sia un vizio di motivazione radicale o una violazione di legge nel ragionamento probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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